Deledda, scuole, subalternità culturale?

Deledda, scuole, subalternità culturale?

Deledda, scuole, subalternità culturale?

Ad uso delle scuole

Catene, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers & Mariano Grossi©

Deledda, scuole, subalternità culturale?

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Seguendo l’iniziativa del giornalista della Nuova Luciano Piras nel suo sito @ddurudduru, che implica l’invito a pubblicare una lettera ideale a Grazia Deledda, ci imbattiamo nella lettera della signora Silvia Bianco, insegnante di Giuncana che si lamenta che la Deledda, assieme ad artiste come Artemisia Gentileschi, Frida Kahlo o Maria Lai vengano ignorate dai programmi ministeriali perché donne:

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Le donne erano sempre un passo indietro rispetto ai loro uomini e agli altri artisti, infatti, a scuola non si studiano artiste donne, come Artemisia Gentileschi, Frida Kahlo o Maria Lai. Loro non facevano arte, come tu non facevi Letteratura. La tua, era mero passatempo. Eppure, credo, che tu meriti quel posto nei libri scolastici. Te lo meriti eccome. E sicuramente non sono l’unica a pensarlo.

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E ancora Vanna Fois di Ilisso Edizioni:

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Personalmente ho sempre creduto in te, sfiorandoti prima con lievi approcci – ahimè la scuola non ti ha considerato adeguatamente nei programmi – più decisamente poi, quando la voglia di Editore mi ha spinto a cercarti ripetutamente per capirti meglio e contribuire a farti conoscere…

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Si può dire che questa sia davvero una mezza verità. Grazia Deledda non ha davvero bisogno della Ilisso per farsi conoscere, dato che è già ben nota ovunque, sia oggi che alla sua epoca, perciò tutto questo lamentio appare ingiustificato. Tipico poi degli editori nostrani è l’ostinarsi a far conoscere il già universalmente noto, spacciandolo come novità editoriale frutto di non si sa quali ricerche bibliografiche.
Non ce la sentiamo di dire che la Deledda, assieme alle altre citate, sia una grande esclusa. Infatti molti istituti scolastici sono intitolati a suo nome, e in qualche modo, se non è presente in molte antologie che prediligono il verismo verghiano, entra continuamente dalla finestra delle proposte di lettura. Insomma la Deledda si studia generalmente a scuola, non è affatto un’autrice dimenticata, noi la abbiamo studiata. La conoscono tutti perché ha vinto il prestigioso premio creato da un perfezionatore di bombe. Il motivo semmai della parziale esclusione della Deledda dalle antologie e dai programmi ufficiali, non è dato solo dal fatto che sia una donna, troppo semplice, ma dal fatto che la scuola italiana è profondamente cattolica. Chiunque abbia un minimo di familiarità con l’opera deleddiana, sa benissimo che tutto quel mondo sotterraneo, oscuro di presenze, di folletti, di spiriti che aleggiano nell’aria, tutto quell’animismo primitivo che la scrittrice descrive, quella sorta di cristianesimo paganeggiante, non può essere bene accolto da una scuola in cui il principale obiettivo è fare il lavaggio del cervello ai giovani, garantendo loro che l’unica vera religione sia quella cattolica, per cui la Deledda viene citata con riserva nelle antologie, depotenziata del suo potere pagano, in versione soft-depurata. A complicare il tutto poi c’è anche la sua appartenenza al genere femminile, che certo in Italia non aiuta. Ma la medesima sorte subiscono anche gli uomini, quando le loro idee non si accordano con il catto-scolasticismo dominante della scuola italiota, infatti di Rabelais le antologie fanno regolarmente scempio, per non parlare delle edizioni ridotte, dove viene eliminato tutto quello che potrebbe recare offesa ai delicati sensi di un catto-moralista. Il continuo sconcacar rabelaisiano, in un’ottica religiosa in cui il corpo è concepito come atrocemente impuro, dinamica del peccato più profondo, non si può accettare, come è inconcepibile il Satyricon di Petronio, le commedie aristofanee e plautine (Plauto trova spazio come classico solo all’ultimo anno dei Licei Classici, Aristofane è totalmente bandito); alcune parti dell’Asino d’oro di Apuleio e del Decamerone di Boccaccio, sono considerate improponibili, solo per citarne alcuni.
Così si coltivano generazioni di studenti che crescono con la convinzione che la letteratura e l’arte, purgate di ogni elemento scabroso, siano un corso per educande, che abbiano compiti eminentemente moralizzatori, laddove, invece, alla vera arte, di moralizzare alcunché non importa il classico fico secco, essendo l’espressione artistico-creativa, per sua stessa natura, esagerata, tracimante, spesso persino amorale.
In sintesi alla Deledda così come alla Gentileschi e alla Kahlo, è andata più che bene, se pensiamo che gli studenti italiani non sanno nemmeno chi sia Lucrezia Marinelli o Ipazia o Maria Anne Mozart.
Se si studiano più autori uomini che donne non dipende dal fatto che gli uomini siano più intelligenti o dotati, come sostengono gli idioti, è che hanno semplicemente avuto più accesso alla cultura fin dai tempi antichi, laddove la donna veniva relegata ad un ruolo marginale, domestico, quindi, storicamente, alle donne veniva impedita l’attività culturale. Basti pensare alla sorella di Mozart, Maria Anna, una musicista totalmente dimenticata e che, di certo, essendo donna, non ha avuto le stesse possibilità del fratello, nonostante il suo talento e nonostante suonasse a meraviglia il clavicembalo. Suonò in concerto col fratello fino al 1769, epoca in cui non le fu più permesso di suonare con Amadeus, poiché aveva raggiunto un’età da marito.
Oggi che anche le donne partecipano, almeno quelle di estrazione sociale alta, le uniche che riescono a sfondare spesso con l’aiuto di un uomo, i programmi ministeriali continuano a proporre più autori uomini, perché la scuola è sempre stata anacronistica, un’illusione artificiale di cultura che ha profondi limiti causati da religione e mentalità.
Comunque i grandi esclusi non sono solo donne.
Quanti escono dalla scuola dell’obbligo e sanno chi è Faldella? In quanti hanno letto la sua Serenata ai morti? La maggior parte non sa nemmeno chi sia. Lo stesso dicasi per Luigi Bartolini, forse perché le sue considerazioni sulla liberazione dell’Italia mai veramente liberata o sullo stato di asservimento della stampa italiana al potere finanziario, non sono argomenti che possano essere appresi a scuola? Sono troppo scomodi?
A scuola non si studia la letteratura perché tutto viene filtrato dalla riduzione impietosa delle antologie in cui non solo si selezionano gli autori funzionali al potere, uomini e poche donne, ma si propongono versioni tagliate ed edulcorate “ad uso delle scuole” per una cultura mutila e ipocrita.
Il resto, la mannaia per la relegazione della Deledda a stato di subalternità culturale può solo ascriversi al provincialismo vieto e becero connesso ai luoghi natali, ma l’interessata ebbe precocemente il fiuto di sottrarvisi e la scelta di Roma e del marito funzionario ministeriale prima e press agent personale dopo, il caro Madesani, riteniamo siano stati ottimi escamotage per suturare le ferite patite ratione loci. Opere come “Canne al vento”, in verità, lo meritavano in pieno… ma le Forche Caudine del potere e delle giuste chiavi d’accesso il soggetto crediamo dovesse conoscerle compiutamente.
Davvero se la Deledda non fosse stata figlia di un ricco proprietario e non avesse avuto i mezzi economici per trasferirsi a Roma e sposare Madesani, oggi saremmo qui a parlare di lei?
Il talento basta per essere riconosciuti come autori?

Noi pensiamo di no.

Ci vogliono soldi e conoscenze. Ed è sempre stato così solo che nessuno ne parla, sappiamo che sembra davvero brutto da dire e si rischia in un amen di essere tacciati di invidia, ma non ci importa perché non siamo responsabili di ciò che pensano gli altri di noi e non abbiamo paura della verità anche se non è vero che rende liberi, tutt’altro.

 

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