Bronzetto, Vulci, simbologia, trecce

Bronzetto, Vulci, simbologia, trecce

Bronzetto, Vulci, simbologia, trecce

Bronzetto, Vulci, simbologia, trecce

Bronzetto di Vulci, disegno di Tiziana Fenu©

 

Tiziana Fenu©

Simbologia delle trecce nel Bronzetto sardo di Vulci.

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Bronzetto “nuragico” di Vulci, risalente all’850-820 a.C, ritrovato in una tomba estrusca nella necropoli del Mandrione di Cavalupo, nella provincia di Viterbo.
Faceva parte di un ricco corredo funerario risalente ad una donna, e ad una bimba, le cui ceneri si trovavano in un’urna cineraria, posta all’interno di una struttura in pietra.
I bronzetti erano in tutto tre, tra i quali spicca per manifattura e particolari, uno molto particolare e rifinito: un copricapo pileato e conico, con carattere rituale, fatto in origine con una pelle di pecora non rasata, e poi in feltro o pelle, attribuito in epoche passate agli sciamani e poi attribuito, insieme al manto, alle figure religiose di potere, come i pontefici.
In Grecia era considerato un cappello da viaggio, e attributo specifico dei Dioscuri, i figli del Cigno, di Zeus, che si trasformò in cigno per sedurre la bellissima Leda.
I Dioscuri, i gemelli Castore e Polluce, naviganti come gli Shardana, protettori dei naviganti.
La costellazione del Cigno è importante per gli Antichi Sardi, perché la sua stella più brillante Deneb, era la stella Polare 12.000 anni fa, e la cui croce astrologica è una delle tre croci del cielo, sulla via Lattea, di Ascensione verso il Divino.
Un bronzetto bellissimo.
Disegnando le trecce dello stesso mi rendo conto di una cosa.
Che il “verso” dell’intreccio è diverso da una treccia all’altra.
Il “verso dell’intreccio, nella sua treccia di sinistra, punta i vertici dell’intreccio verso l’alto.
Invece la treccia della sua destra, punta i vertici dell’intreccio verso il basso.
Ora, c’è da considerare due cose.
Che sotto il gonnellino sono ben visibili degli attributi maschili, e che quindi si tratta senza possibilità di replica di una figura maschile.
Un Sacerdote Guerriero, visto che le trecce, erano prerogativa di certe figure importanti come sacerdoti e sciamani.
Ma c’è da considerare anche un altro fattore.
È praticamente impossibile realizzare una treccia, con un intreccio che parte dall’alto verso il basso, con degli intrecci che creino delle angolature a “V” che puntino verso l’alto, poiché il verso, sarà sempre quello del vertice verso il basso.
Provate ad intrecciare qualcosa, e vi renderete conto di come l’intreccio ha sempre il vertice verso il basso, come la sua treccia destra.
Il lato destro, che indica il Maschile, che ospita un intreccio, che indica, con il vertice verso il basso, il femminile (il triangolo con la punta verso il basso indica il vertice pubico femminile, il grembo, la coppa, il Sacro Graal).
Ma per realizzare la sua treccia sinistra, sul lato sinistro che indica il femminile, abbiamo una treccia “controcorrente”, con i vertici che puntano verso l’alto, quindi che indicano un maschile (il triangolo con la punta verso l’alto indica il maschile).
Per realizzare una treccia del genere, avrebbero dovuta intrecciarla partendo dal basso, dall’estremità dei capelli, cosa impossibile da realizzare.

Quindi, credo proprio che queste due trecce siano veicolo, nella loro diversità di direzione, di un messaggio importantissimo.
Sono due trecce che veicolano il concetto di complementarietà tra le due energie opposte, il Mascolino e il Femminino, in cui, l’elemento portante, è guida, sta proprio in quella parte destra, il Mascolino, che “ospita” la treccia per il giusto e ‘fisiologico”, verso, quello verso il basso, nella coppa del Femminino.
Perché il “creare”, anche se solo una treccia, è pur sempre femminile.
Si crea quando l’energia maschile, elettrica, scende nell’athanor, nel grembo buio, umido, fertile, magnetico, femminile.
L’altra treccia controcorrente, con direzione maschile, sul lato sinistro, femminile, indica un omaggio maschile al lato sinistro femminile, quello che regge quello strano scudo ellittico protettivo.
Perché il femminile è protezione, è custodia, mentre il lato destro è difesa, attacco, presenza, imponenza maschile.
Protettivo come lo scudo arcuato che tiene sulla testa il Gigante di Mont’e Prama, l’arco del Cielo.
Infatti il lato destro è caratterizzato anche da una imponente mano più grande del normale, che presenta, appesa al polso, quella che molti studiosi hanno decodificato come un’appendice concava e borchiata, protettiva, attaccata, ma mobile, alla protezione dell’avambraccio, come quella che hanno i nostri Giganti di Mont’e Prama di Cabras.

La mano in questa posizione indica quello che è il saluto che contraddistingue tutti i bronzetti sardi.
“Sa prama”, il palmo della mano.
In questo simbolo appaiono le sacre lettere ebraiche Nun e Dalet, gli Archetipi Sacri, che indicano acqua, trasformazione, e solidità di un portale. La Lettera Nun è indicata come un rombo, geometricamente, e con degli zig zag doppi, ad indicare l’acqua.
Rombo come la vagina, simbolicamente, rombo come la Dalet (indicata geometricamente da un quadrato) roteata, che indica il portale.
Ma Nun (stessa radice di Nur-fuoco, e di Nuraghe), indicava anche l’androgino originario, la divinità cosmogonica, la coppia delle acque universali Creatrici, Nun e Nunet, ibridi, meta umani e metà rane (notate l’assonanza “Shardana” /”s’arrana”, la rana in sardo).
Ma la cosa straordinaria è che Nun, rappresentava il saluto primordiale, chiamato “NYNY”, il cui segno era un uomo che trasmette energia, come un fulmine a zig zag, come il saluto dei nostri bronzetti sardi e del nostro sacerdote di Vulci.
Degli sciamani pranici, che conoscevano benissimo le energie dell’Universo, e che avevano capito benissimo che quel Nun, che rappresentava uno dei due simboli della loro tribù, era anche il “Nun/pesce”, che rappresenta il centro della Vesica Piscis, dove i due cerchi si intersecano, e dove la forza solare maschile entra in sinergia con la forza lunare femminile.
Esattamente come la stella a sei punte, come quella della Sartiglia, come il fiore della vita a sei petali, sulla maschera dei Boes, come l’esagono, elaborazione del fiore della vita e matrice architettonica, nel mento del Gigante Pugilatore.

Questo bronzetto di Vulci indica un Nun, un Dio androgino tra gli uomini, uno “sciamano/sacerdote/guerriero” perfettamente equilibrato nelle due energie, maschile e femminile, rappresentate simbolicamente dalle trecce.
È questo, che gli consente il potere pranico e sciamanico della guarigione.
Intrecciare è creare.
Creano una dimensione loro, come quel quadrato, quel pettorale, il quadrato del Sinis, che l’altro Guerriero dalle quattro trecce, l’arciere, tiene sul petto, ad indicare che loro Architetti Divini, dominano le dimensioni, i quattro elementi, i quattro punti cardinali.
“Gli emettitori viventi della forza primordiale”, li avevo chiamati.
Un Nun che non è un uomo normale, ma è consacrato al Divino (“Nun” in inglese significa anche suora, cioè “consacrata” , oltre i suoi significati come “pesce/acqua/balena”).
Un Alchimista Sacro, che è capace di costruire la sua zona Sacra, il suo Tempio, e può guidare gli altri, come fa su Componidori della Sartiglia, come fa su “Isshuadore”, guidando l’animalita’ dei Mamuthones.
Un uomo che è rinato a se stesso, che ha compiuto il percorso iniziatico attraverso le ” tre croci simboliche”, in cielo, lungo la via Lattea, così in terra.
Ecco il perché del copricapo simile al pileo, tipico dei Dioscuri, i figli del Cigno, di Zeus.
E questa alchimia trasformativa si può ottenere solo quando le polarità entrano in sinergia.

Il saluto dell’Alchimista, viene chiamato NYNY, il saluto primordiale monadico, dell’Uomo con le due polarità opposte in equilibrio.
Ma NYNY, non è forse l’abbreviazione di Ninive, una delle più famose città antiche, nel Nord della Mesopotamia, una delle più importanti capitali assire?
La città nella quale Giona (profeta morto nel 782 a.C., giusto per avere una indicazione cronologica), comandato da Dio, sarebbe dovuto andare a predicare la parola di Dio.
Invece Giona non trova il coraggio, e fugge a Tarsis, o Tartesso, in Sardegna, su una nave. Durante una tempesta, per placare le ire del mare, estrassero a sorte un nome per sacrificare un uomo in mare, e toccò proprio a Giona, che venne inghiottito da una balena (la Nun, “balena” in arabo) e vi passò tre giorni e tre notti.
Un percorso iniziatico dentro il suo stesso ventre, nelle acque amniotiche della Nun.
Che è acqua, potenza, memoria, energia pranica.
Ma se non muori a te stesso, ed entri in connessione e in equilibrio con queste due polarità opposte, maschile e femminile, i Doni, i Talenti non si attivano, perché in condizioni di squilibrio, non si è capaci di gestirli.
È questo, il “segno di Giona” di cui si parla nei Vangeli, che hanno riproposto ciò che da millenni, i nostri Antichi Sciamani già sapevano, e questo bronzetto straordinario di Vulci, oggi me ne ha dato conferma.
Era Giona, ma poteva essere un nostro Jano.
Jano/Jana.

Gli ingressi delle Domus de Janas, come la lettera Nun (rombo) e Dalet (quadrato) del simbolo della tribù dei Dan.
Il Sacro Femminino Alchemico.
Perché anche le Domus de Janas, sono luoghi alchemici, di guarigione, di passaggio, dove si rinasce a se stessi, in questa o in un altra dimensione.
E non solo le Domus. Il passaggio alchemico è il quadrato. Come la piccola porticina nella stele centrale dell’esedra delle Tombe dei Giganti.
Il quadrato, la materia.
Il tre, il Divino, che divinizza la Materia.
Il quadrato anche in altri contesti, per chi osserva con il cuore.
Tre giorni per rinascere.
Nascita/morte/rinascita
Come le tre cornici intorno alle porte e false porte delle Domus.
Come le tre protomi taurine, spesso presenti.
Come le tre stelle della cintura di Orione, via per la rinascita, per la divinizzazione.
E se l’interno delle Domus, quelle con quello che chiamano “soffitto che riproduce una capanna”, che io non condivido affatto, fosse la riproduzione (tenendo conto della somiglianza con il fondo di una “barca/arca”, rovesciata, traghettatrice alchemica per l’altra dimensione divina), fosse invece una riproduzione dell’interno del ventre della Balena, con la riproduzione delle costole?

La Matrice di tutto è stata qui.
Sta qui.
Non ci sono prove, non abbiamo una letteratura in proposito o testimonianze scritte, né templi istoriati che raccontino.
Frammenti, decodifiche.
Ma quando lasciano segni inequivocabili come le due trecce per il verso opposto, allora ti fermi.
E incominci a ricostruire, e decodificare il senso di questo particolare.
Scoprire questo particolare delle due trecce, realizzate in due versi opposti e complementari, in modo casuale, che non avrei scoperto, se non mi fossi cimentata nel riprodurlo, mi ha dato conferma della straordinaria finezza di Intelletto dei nostri Antichi Sardi, che, come ho sempre ripetuto, non lasciavano niente, assolutamente niente, al caso.
Ogni particolare parla, e noi, dobbiamo stare sempre vigili, e decodificare.
Essere dallo sguardo doppio, come i loro occhi, per vedere entrambe le loro Dimensioni.

Quella che hanno vissuto, e quella che hanno costruito
La dimensione dell’Immortalità.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

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Rivista Il Destrutturalismo

 

 

 

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