Il latino deriva dal sardo? Libri

Il latino deriva dal sardo?

Il latino deriva dal sardo? Libri

Il latino deriva dal sardo?

Radici, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers & Mariano Grossi©

Il latino deriva dal sardo?

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Bartolomeo Bèrtulu Porcheddu pubblica a luglio 2020 un testo di saggistica dal titolo altisonante che colpisce immediatamente l’attenzione: Il più grande falso storico di tutti i tempi, la lingua latina “comune”.
Esordisce con queste frasi che rivelano tout court, una mentalità profondamente campanilistica e con qualche errore di forma. L’espressione “questo caso” dovrebbe essere riferita a qualcosa di cui ha già parlato, ma di fatto sta appena esordendo:

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Dopo la scoperta di certi falsi storici mi viene da sorridere, ma solo quando non mi colpiscono direttamente. Quando invece, come in questo caso, a pagare le spese del più grande falso storico di tutti i tempi siamo noi Sardi (per i popoli e per i gruppi etnici si usa in genere l’iniziale minuscola, ma è opportuno l’uso della maiuscola nel caso di popoli fortemente storicizzati o non più esistenti, o, ancora, esistenti, ma indicati, tanto tempo fa, con altri nomi…mi sa che i sardi esistono tuttora…), la scoperta mi fa davvero irrigidire i muscoli del viso, e non solo…

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Sorvolando su quali altri muscoli del prof., la scoperta di un falso storico riguardante i sardi, farebbe irrigidire, passiamo al testo. Si tratta di una disamina glottologica giocata sulla assonanza tra la lingua sarda e quella latina e greca, tesa ad avvalorare la tesi, per l’autore certezza, che la lingua sarda abbia dato origine a quella latina, e non viceversa, perché i sardi avrebbero dominato il Mediterraneo ben prima dei Romani e dei Greci e perché la lingua sarda somiglia alla latina (bella novità). La maggior parte del libro, tra l’altro piuttosto noioso, si occupa di valutare assonanze tra il sardo e il latino, mettendo “faccia a faccia”, dice Porcheddu, le due lingue, per dimostrare la derivazione del latino dal sardo. Peccato che le assonanze tra latino e sardo, già si sapevano, quindi l’autore non dice assolutamente niente di nuovo. Qualsiasi sardo infatti, che conosce la sua lingua di origine, sa perfettamente che il latino e il sardo sono molto simili e che molte espressioni sarde sembrano quasi latine.
Tutta la disamina glottologica, purtroppo, non è supportata da nessun documento scritto in sardo che ci illumini circa la derivazione del latino dal sardo. Quindi tale derivazione è una deduzione dell’autore che però non si basa su prove certe ma sulla “talassocrazia” esercitata dai sardi nel Mediterraneo orientale:

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Nel grande albero delle lingue cosiddette Indoeuropee, dal ramo delle parlate romanze, si sono sviluppate le diramazioni secondarie del sardo, delle lingue italiche, delle lingue iberiche e di quelle francesi, nonché di altre lingue minori…
Pochi sanno che i Sardi sono stati i dominatori di tutto il Mediterraneo in un periodo compreso tra il Neolitico e la fine del Bronzo, approssimativamente tra il secondo e il terzo millennio avanti Cristo. Se i Romani dall’inizio della loro opera di conquista hanno costruito e perso un impero, quello Romano occidentale, in circa settecento anni, i Sardi del Neolitico e del Bronzo sono rimasti sulla cresta dell’onda per più di Duemila anni. Occorre partire da questi dati per inquadrare la storia della lingua sardo latina…

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I sardi poi persero la supremazia nel Mediterraneo:

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Il colpo finale alle roccaforti sarde in oriente fu assestato dagli Assiri di Tiglat-Pileser III, nel 732 a.C., proprio in concomitanza con la presunta nascita di Roma, o della sua probabile indipendenza dalla madre patria Sardegna, avvenuta secondo gli storici nel 753 a.C. Nella loro avanzata, gli Assiri travolsero subito dopo anche l’Egitto, estromettendo definitivamente i Sardi dall’Oriente…

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Poi fu la volta della dominazione romana e greca:

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I Romani decisero di adottare una nuova lingua statuale “Comune”, che, per la sua natura ibrida, greco sarda, fu considerata da Dionigi di Alicarnasso, storico del I secolo avanti Cristo né del tutto greca né del tutto barbara.

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Dionigi di Alicarnasso ha una produzione piuttosto vasta, sarebbe davvero interessante e forse più professionale, mettere sempre in un testo di saggistica seria, i precisi riferimenti bibliografici, che nel testo di Porcheddu, mancano del tutto. In quale opera e in quale libro Dionigi di Alicarnasso avrebbe parlato di lingua ibrida greco-sarda? Vorremo saperlo, per risalire alla fonte. Nella Storia di Roma antica piuttosto pare strano che lo storiografo di Alicarnasso non faccia alcun accenno alla civiltà sarda come ben connessa con quella Romana, infatti scrive:

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Si dice che i più antichi tra quelli che vengono ricordati, i barbari Siculi, razza autoctona, occupassero la città che comanda tutta la terra e tutto il mare, quella che ora abitano i Romani” (“Τὴν ἡγεμόνα γῆς καὶ θαλάσσης ἁπάσης πόλιν, ἣν νῦν κατοικοῦσι Ῥωμαῖοι, παλαιότατοι τῶν μνημονευομένων λέγονται κατασχεῖν βάρβαροι Σικελοί, ἔθνος αὐθιγενές”Antiquitates Romanae I, 9, 1).

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Inoltre ci chiediamo dove siano andate a finire tutte le opere letterarie in sardo originario, quello da cui deriverebbe la lingua latina? Abbiamo forse romanzi, opere poetiche e in prosa che attestino tale derivazione? In caso affermativo, sarebbe interessante davvero sapere quali.
Perché non abbiamo fonti scritte di questa immensa civiltà Sarda, di questa talassocrazia nel mediterraneo orientale?

I titoli altisonanti non bastano a dimostrare un falso storico, occorrono prove, documenti. E qui non ce ne sono.
Sappiamo che il professore ha proposto una reinterpretazione della iscrizione sul cosiddetto Vaso di Dueno, il più antico testo latino presumibilmente databile al 600 a.C. sostenendo che in realtà esso sia stato scritto in sardo e non in latino. Giudichino i lettori quale delle due interpretazioni sembra di senso più compiuto:

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IOVE|SATDEIVOSQOIMEDMITATNEITEDENDOCOSMISVIRCOSIED / ASTEDNOISIOPETOITESIAIPACARIVOIS / DVENOSMEDFECEDENMANOMEINOMDVENOINEMEDMALOSTATOD

 

Cercando di divider le parole la maggior parte degli studiosi ha riprodotto il testo come segue:

 

iovesat deivos qoi med mitat nei ted endo cosmis virco sied
asted noisi opetoi tesiai pacari vois
duenos med feced en manom einom duenoi ne med malos tatod

 

e la traduzione più comunemente accreditata sarebbe:

 

Chi mi invia prega gli dèi che nessuna vergine ti sia compagna.
se non vuoi essere soddisfatto per opera di Toteria.
Un buono mi fece, e per causa mia nelle mani di quel buono non torni il male.

 

Il Professore propone in alternativa:

 

Giove/Saturno divi ai quali io stessa sto promettendo, donando questa mia cosa affinché (ella) sia vestale. Ascoltate noi Giove – chiedo qualcosa – (che ripagheremo) saremo grati a voi. Lì, ci fa lo stesso in mano mia (secondo la mia volontà) Lì, No[m…] in E[…] lo stesso [fa] con mallo (spatola), (con buona soddisfazione).

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Non sarebbe dunque lo stesso oggetto a parlare come avviene con le prime iscrizioni latine, vedasi la Fibula Prenestina (MANIOS MED FHE FHAKED NVMASIOI, vale a dire: “Manio mi fece per Numerio).
A noi le dentali medie con cui terminano i pronomi personali sembrano mostrare evidente somiglianza tra le due iscrizioni, ma il problema è che la ricostruzione del Professor Porcheddu pare piena di congetture e meno comprensibile.
Ad ogni buon conto, se egli riuscisse a produrre altre documentazioni di tipo papiraceo, numismatico, epigrafico che corroborino l’idea di una lingua sarda come base di queste stesse iscrizioni arcaicissime, la sua ricostruzione potrebbe fondata su basi maggiormente scientifiche.
Allo stato attuale la ricostruzione non pare convincente.
Non ci risulta che altri studiosi abbiano individuato commistioni tra lingua protosarda e latina; Il Prof Pallottino piuttosto aveva elencato dovizia di assonanze con le lingua basche ed iberiche:
«Diversi elementi onomastici sardi richiamano a nomi di luogo iberici, non soltanto nelle radici (che spesso hanno una diffusione panmediterranea) ma anche nella struttura morfologica delle parole, per esempio: sardo: ula-, olla-; iberico: Ulla; sardo: paluca, iberico: baluca; sardo: nora, nurra, iberico: nurra; sardo: ur-pe, iberico: iturri-pe.
A ciò si aggiunge un fatto che, per il numero delle concordanze, non può assolutamente considerarsi casuale ed appare di altissimo interesse: l’esistenza, cioè, di specifiche analogie tra elementi del patrimonio lessicale della lingua basca e singoli relitti lessicali o voci toponomastiche sarde:

Esempi:

• sardo: aurri (carpino nero); basco: aurri (nome di albero), voce in realtà dubbia perché secondo il Michelena aurri sarebbe voce rara se non dubbia (: les ouvrages speciaux consacres aux noms des plantes … n’en font pas mention).
• sardo: bitti (agnellino); basco: bitin (capretta); vanno confrontate ulteriormente con il toponimo sardo Mitti e gli zoonimi: greco mitylos’ senza corna’ e alb. mitë ‘cerva’
• sardo: golosti (agrifoglio); basco: gorosti (agrifoglio)
• sardo: sgiàgaru (cane); basco: zakur (cane); in sardo e parzialmente anche in corso vale però ‘cane da caccia’ e si dovrà confrontare piuttosto col gr. bizantino zagári(on) ‘cane da caccia’ (Pittau)
• sardo: mògoro (altura); basco: mokor (zolla, tronco); il confronto più cogente è con: rumeno magure, alb. magullë, magulë, mgula, mgulë ‘monte, terreno elevato utilizzato soprattutto a pascolo’
• sardo: òspile (piccolo chiuso); basco: ospel (luogo ombroso)
• sardo: orri, orrui; basco: orri (ginepro)
• sardo: usai, useis; basco: usi (bosco); la forma sarda è attestata solo onomasticamente e nel passato era nella forma Gusai, indi il rapporto è molto problematico
Le corrispondenze si estendono anche ad elementi formativi : per esempio -aga, che in basco si impiega per toponimi con significato collettivo (harriaga petraia da harri pietra) e che può spiegare il tipo sardo nuraghe rispetto a nurra (anche il toponimo iberico Tarracone al sardo maragoni). (La Sardegna nuragica, Massimo Pallotino – a cura di Giovanni Lilliu, Ilisso edizioni, 1950, p. 96.)
Pallottino fa inoltre notare che il termine mògoro si ritrova con lo stesso significato anche nell’area balcanico-danubiana e costituisce un relitto pre-indoeuropeo di tale area:
• sardo: mògoro «altura»
• albanese: magulë «mucchio»
• romeno: măgură (dial. măgulă) «collina, poggio»
Ora con il dovuto rispetto, se il professor Porcheddu ci portasse esempi analoghi di derivazione di lemmi latini da lemmi protosardi, tutto potrebbe essere rimesso in discussione; ma allo stato attuale l’ipotesi ancorché affascinante, pare soltanto azzardata.

 

p.s. Il professor Porcheddu sostiene di aver pubblicato il libro ad Aprile 2021, ma on line abbiamo rinvenuto una copia dello stesso libro (copertina gialla e stesso titolo) datato luglio 2020. Abbiamo letto interamente il libro pagina per pagina.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Video – The Black Star of Mu

Rivista Il Destrutturalismo

 

Comments (3)

  1. Pierpaolo Dodero

    il latino non deriverebbe dall’etrusco?
    in passato e anche oggi le civiltà più evolute hanno condizionato altre culture più povere o se vogliamo meno organizzate. Cos’era Roma 5000 anni fa? Stesso discorso per gli etruschi che influenzarono inizialmente Roma anche nel linguaggio lo stesso nome Roma sembra originario etrusco. La Sardegna con piu di 8000 nuraghe pozzi sacri e in precedenza dolmen menhir e perfino piramide tipo ziqqurat non poteva espandersi nel Tirreno e condizionare con usi e costumi popolazioni ancora arretrate? Certe tombe etrusche ricordano molto le domus de Jana sarde, la lingua degli antichi sardi era sicuramente più familiare in Continente, con i secoli ed eventi storici le lingue sono cambiate per l’arrivo di altre popolazioni e civiltà come quella ellenica e fenicio punica ma il substrato è rimasto. Questo è il mio parere non sono un professore ma semplice appassionato di storia. Buona giornata.

    1. Destrutturalismo

      Sì, la Sardegna con la sua cultura millenaria avrebbe potuto influenzare tranquillamente altre culture e lingue, il problema unico è il gap tra la teoria (che implica una certa possibilità reale) e la dimostrazione. Non ci sono prove. Ciascuno può credere in ciò che vuole, il problema è che deve avere prove. Tendenzialmente non sono negazionista ma nemmeno mi appassiono troppo ai profeti della certezza che, sulla base di ragionamenti filologici alquanto traballanti, parlano con troppa sicurezza della scoperta dell’acqua calda che poi però è ancora fredda. Mary Blindflowers.

  2. Mariano Grossi

    Caro Dodero, tutto potrebbe essere possibile, ma per dimostrare che la lingua latina deriva dal sardo ci vorrebbe una prova certa. La famosa coppa di Nestore trovata a Ischia con iscrizione curata da Carlo Ferdinando Russo dimostra che il krater dove beveva l’eroe omerico, così come è descritto nell’Iliade ci fa presupporre conoscenza e lettura dell’opera omerica in quel sito all’epoca cui risale il reperto epigrafico. Le assonanze linguistiche non bastano per sancire una derivazione. A Bari la bara si chiama tavùt, come in Spagna ataúd, smontare dal lavoro si dice sgabuà come in Spagna excabullir, la preoccupazione si dice susta come in Spagna esser preoccupato si dice estár asustado. Basta per sancire che il barese deriva dalla lingua castigliana? E allora comperare, accattà, dimostrerebbe la derivazione dal francese acheter e derivazione omnicomprensiva da qyella lingua? E così la fune, la zoc, dal teutonico tirare, ziehen, zog, gezogen? Ci vogliono prove letterarie, numismatiche, papirologiche ed epigrafiche per vidimare l’entusiasmo del Prof. Porcheddu.

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