Pagine Facebook, poesia, amministratrici

Pagine Facebook, poesia, amministratrici

Pagine Facebook, poesia, amministratrici

Pagine Facebook, poesia, amministratrici

Bisogni essenziali, drawing on paper by Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers & Mariano Grossi©

Pagine facebook e poesia

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Parliamo oggi di poesia e di pagine Facebook. Chi e perché apre pagine di poesia sui social? Che preparazione ha? Che tipo di libri scrive, se li scrive? Che tipo di approccio ha verso la scrittura? Sono domande che ci si pone quando si viene invitati a partecipare a pagine dai nomi accattivanti, sette, otto, nove, dieci petoversi. Spesso non si ha tempo per verificare cosa scrivano gli amministratori delle pagine, anche perché ce ne sono talmente tante che diventerebbe un lavoro, così, se si viene invitati, si tende a dare fiducia. Accetta e poi pentiti.

La prima poesia è di Lia Aurioso che gestisce una pagina di poesia su fb, le altre che seguono sono di amministratrici della stessa pagina:

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DIVERSI

Sono nel guado
da sempre
fratello
non appartenendo
a nessuna sponda
compiutamente
L’una natia
del primigenio amore
lasciata su un’onda
l’altra agognata
matrigna nel cuore
Sono straniero per tutti
perché arrivo dal sud
del mondo
per il mio colore brunito
dal sole
per l’odore del mio cibo
e le mie collane dorate
Per l’uomo che sono e
quello che amo
per le rose che vendo d’estate
e gli ombrelli se piove
Perché sono donna
e non mi sto
raccolgo pomodori
e mi costringi a quell’amore
che è stupro per me
Nulla da dire
se tiro calci a un pallone
e i soldi ci sono
perché è la povertà
fratello
a farmi straniero
e diverso tra voi.

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L’aspetto più sorprendente di questa “poesia” è la totale assenza di versi e musicalità, con frasettine in prosa buttate a casaccio e piuttosto sgrammaticate che ripropongono in matrice pseudo-impegnata, vari luoghi comuni sul sud: la povertà, il calcio, la raccolta di pomodori, la condizione delle donne, l’immigrazione, etc. tutto mescolato alla rinfusa, senza alcuna elaborazione creativa, con un linguaggio elementare che fa sorridere. Sconvolgente la totale rinuncia alla punteggiatura; dopo l’esordio (sono nel guado da sempre) così come dopo l’ultima causale (perché è la povertà) c’è un complemento di vocazione (fratello), completamente nudo, senza alcun asindeto che lo inscriva: circiterismo grammaticale. Impressionante poi quel gergalismo (sono donna e non mi sto) sbattuto lì in un tessuto completamente diverso lessicalmente parlando nel resto del pezzo (non mi sto è un meridionalismo abbastanza fastidioso e invero oramai disusato).

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Questo tempo
passa
mi regala il sole
a volte
almeno ieri
forse oggi
disseminati i pensieri
come crochi di scarpata
e tarassachi al vento
mi piegherò ancora
per cercare sterpaglie
un sasso un filo d’erba
una coccinella
troverò il riflesso d’acqua
la curiosità nel fondo buio
di un pozzo
e la voce che cade giù
mi volterò ancora
per cercarti
non ti troverò
e saprò di volermi
così
solitaria e silenziosa

(Antonella Malvestiti)

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Anche qui nemmeno un verso degno di essere chiamato tale. Il tempo passa e regala il sole una volta sì e una no, i pensieri sono disseminati, i tarassachi si piegano al vento e anche la scrivente si piega a cercar sterpaglie, un sasso, un filo d’erba e una coccinella, il riflesso dell’acqua, la curiosità nel classico fondo di un pozzo, fino a cercare qualcuno che non trova più e rimane sola. Siamo al componimento da primina. Aritmica, priva di qualunque elaborazione linguistica o tentativo di innovazione, è una poesia che non dice assolutamente nulla. Siamo all’immagine trita e ritrita della donna che si fa fiore ed annulla in infantili empiti naturalistici la delusione dell’abbandono. Anche qui nemmeno una virgola né un punto a strutturare di dignità grammaticale lo scritto.

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Sul Golgota

Sulla terra arsa del Golgota
nessun ricco sta crocefisso alle tre croci,
solo il figlio di un falegname e due ladroni
inchiodati alla stessa mala sorte,
nessun governatore sanguina
dalle stimmate aperte nel dolore della sera,
nessun re, nessun gran sacerdote,
nessun principe del foro, armatore,
nessun alto giudice, generale, nessun costruttore
di città chiama la morte consolatrice,
nessuno bestemmia un Dio ingrato,
nessuno invoca “Padre, padre, perché
mi hai abbandonato? Padre perdona loro
perché non sanno quello che fanno”.
Sulle tre croci s’inchioda la povertà, il bisogno,
la colpa dell’esser nati dal lato sbagliato della strada,
s’inchioda l’innocenza la verità indifesa
e sono folla le madri che nascondono il volto
d’insopportabile pena mentre accanto a loro
muore coi figli la speranza del mondo,
si aprono i cieli sull’abisso ma gli angeli
non arrivano a salvarli, li culla una morte indegna
e li fascia di tragiche memorie
mentre il corpo si disfa, le storie si ripetono
ai quattro angoli di un infernale pianeta
e i Golgota proliferano nei deserti,
nelle colline sventrate, nei campi senza grano,
nelle favelas, nelle miniere, nei pozzi,
nelle cave di pietra, nelle piantagioni,
nelle città, nei luoghi del disonore,
dentro stanzoni oscuri, strade fangose, prigioni.
E solo madri, maddalene e discepoli piangono
coi moribondi il tempo della passione.

(Grazia Fresu)

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La Fresu ripropone il tema del Golgota, dei due ladroni, del Cristo in croce le cui sofferenze si ripeterebbero nelle sofferenze del mondo, nelle strade fangose, nelle piantagioni, nei pozzi, insomma (c’è un bell’elenchino), un poco dappertutto, tranne nella poesia che qui non c’è. Il tentativo di universalizzazione del messaggio, è lodevole, ma viene abortito dalla prosaicità della lingua, dalle immagini piuttosto abusate e da un tema privo di qualunque elaborazione poetica personale che implichi un certo grado di creatività, qui del tutto assente. Il topos del calvario di Cristo come simbolo della sofferenza degli ultimi, viene rivisitato con un asfitticità davvero impressionante, ha il merito, almeno, di ricordarsi qua e là di bardare di qualche asindeto la narrazione (ché tale rimane, senza alcuna ricerca di ritmo che faccia assurgere il pezzo al rango di poesia).

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L’amore è una bella camminata.
Ti rapisce come il vento di maggio,
piana la strada.
S’inerpica poi in giri perigliosi.
Da semplice fiore muta
in rovo di gelsomino.
Difficile stargli dietro.
Richiede impegno e fiato,
un passo dietro l’altro
e si fa sentiero in discesa
come stradina di montagna
costellata da rododendri,
testardi come una donna innamorata.
E passano gli anni…

(Carla Infante)

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Qui si ricercano anche le forme non comuni (pianare, anziché spianare ovvero appianare) oppure arcaiche e poetiche (periglioso al posto di pericoloso come se fossimo ai tempi di Dante) probabilmente per rimpolpare formalmente uno scheletro scarno e ossuto che di poetico non ha nulla perso com’è nella più ovvia delle metafore sull’amore: una camminata che richiede impegno e fiato, in compenso però è costellata di belle piantine ornamentali che fanno pendant con la donna innamorata. Siamo al nulla contenutistico più assoluto. Botanicizzazione dell’amore? Ridicolo il tentativo di verificare la qualità della testardaggine nei rododendri in un tentativo di antropomorfizzazione della natura. Meravigliosa la chiosa dell’ultima linea: E passano gli anni… Come? Camminando dietro l’amore? Suggeriamo all’autrice di darsi da fare e non perdere tempo!

 

In tutti e quattro i casi c’è una grande assente, non ci riferiamo soltanto alla creatività che, come si è accennato, manca del tutto, ma alla vita stessa. Queste quattro presunte poetesse cercano di immedesimarsi fittiziamente in vite che non appartengono loro, che non vivono. Fingono di sentirsi povere e reiette, di sentire le sofferenze del mondo nel Cristo e la solitudine cercando coccinelle nei prati (beate loro) e nei gruppi poetici di cui sono amministratrici, dove si improvvisano grandi esperte di poesia, giudicando cosa sia raffinato e cosa no senza motivare nulla, perché il loro parere è legge. Stabiliscono quale sia il limite della decenza dell’arte, come se l’arte vera si preoccupasse mai della buona creanza e della buona educazione, quindi, ammantate di lacrime e delicatezze da soap-opera, pensano di dare lezioni al mondo sulla poesia e invitano persone ai loro gruppi con il solo scopo di farsi lodare sperticatamente, farsi dire che sono poetesse con la p maiuscola, che hanno un animo sensibile e raffinatissimo. Ebbene, a noi questo genere di raffinatezze proprio non piace. Le loro poesie sanno parecchio di stantio e di già visto. Non possiamo mentire, non vogliamo nemmeno e siamo altresì convinti che i gruppi gestiti da simili poetesse possano servire soltanto a perder tempo, a divertirsi mezza giornata, per poi lasciarle al loro petopoetico destino.

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Video – The Black Star of Mu

Rivista Il Destrutturalismo

DESTRUTTURALISMO Punti salienti

 

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