Basilisco mito di Medusa

Basilisco, mito di Medusa

Basilisco mito di Medusa

 

Basilisco, mito di Medusa, Sardegna

Il Basilisco sardo, disegno di Tiziana Fenu©

 

Tiziana Fenu©

Il Basilisco e il mito di Medusa in Sardegna

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Oggi vorrei parlare di un animale mitologico estremamente legato alla cultura e Civiltà Sarda, il basilisco.
Una ricerca che mi ha particolarmente coinvolta ed entusiasmato, ha rivelato una sostanziale differenziazione nell’evoluzione semantica del simbolismo di questa creatura (che nei bestiari e leggende greche ed europee è descritta come una creatura mitologica, pur esistendo realmente, un piccolo varano, una lucertola sudamericana tutt’altro che pericolosa), rispetto alle altre culture, ribadendo ancora una volta nella nostra civiltà, quel carattere matriarcale che da sempre l’ha caratterizzata, poco incline alle coercizzanti influenze patriarcali, come invece è successo altrove.
Mantenendo intatta, in Sardegna, e nella cultura Sarda, quella identità di femminino che si è protratta fino ai giorni nostri.

Il basilisco sardo è una delle Creature più temute nell’immaginario delle leggende sarde.
Il basilisco sardo è chiamato su “Scorzoni” o “scultone/iscultone”.
È un incrocio, come il drago ( che è un mix di vari animali, aquila, leone, serpente), tra un gallo e un serpente, che uccide chiunque incroci il suo sguardo (e questo lo collega alla leggenda e al mito di Medusa), che con il suo alito provoca il deserto intorno.
Del basilisco si conservano tracce nei manufatti, nelle cassapanche sarde, in qualche vecchio portone, ma è comunque difficile rintracciare qualche creazione originaria.
Il Grifone che vediamo negli antichi ricami, pare che sia un’evoluzione del basilisco originario.
Il Grifone, anch’esso, come il basilisco, un mix tra aquila e leone, è realmente esistente, ma è stato mitizzato nei bestiari in epoca medioevale.

Basilisco significa “piccolo re”, ed è considerato il re dei serpenti.
Immortale secondo gli egizi. Sulla testa presenta una cresta e un Diadema bianco, simbolo di regalità, grandi ali spinose e coda di serpente
Ha uno sguardo che spacca la pietra, e che pietrifica chiunque, un fiato che avvizzisce, desertifica e toglie la vita, e uno sputo che brucia e corrode.
Solo l’odore della donnola, che in sardo viene chiamata “bucch’e meli” ( la “Mustela nivalis bocca mela” ), lo può uccidere.
Lo può uccidere anche il vedersi riflesso nello specchio, ucciso dal suo stesso sguardo.
Essendo per metà gallo, il basilisco è legato simbolicamente a San Pietro (“prima che il gallo canti tre volte tu mi avrai rinnegato” dice la frase di Cristo rivolta a San Pietro), e in generale alla figura del Bene.
Pietro è la pietra d’angolo portante.
Ed è proprio un rappresentante della potenza della pietra, Pietro, che in Sardegna, come narra la leggenda ( mentre in altre zone, come a Genova, per esempio, fu San Siro) fu capace di sconfiggere il basilisco.

La leggenda vuole che il Golgo di Baunei, a 50 km da Dorgali, un’insenatura profondissima di 270 m, la più profonda d’Europa, che si è creata all’interno dell’altopiano di Baunei, che ha un’altitudine di 400 metri, chiamata Su Sterru ( che significa discesa o scavo, e da notare anche, come la radice di Dorgali, “Dorga-” se anagrammata, significa “drago”), sia stato creato dal ripetuto scuotere il basilisco a terra per mano di San Pietro.
Tra le rocce dell’altopiano vi è anche una grande rappresentazione di una maschera litica con il volto umano, forse San Pietro stesso, o perlomeno, un custode in pietra, della stessa pietra, chiamata la “Maschera del Golgo”.
All’inizio questo golgo, era ritenuto un vulcano, con diametro di 40 m. circa, ed era un museo a cielo aperto, con la presenza di pozzi per celebrare riti ancestrali, con Domus de janas nel Neolitico, Tombe dei Giganti, e venti complessi nuragici intorno, come se fossero i custodi della valle, e venne fortificato dal 1500 a.C. in poi.
Vi è anche un pinnacolo, detto “Pedra longa”, sempre a Baunei, esattamente a Santa Maria Navarrese, di 228 metri a picco sul mare.
La leggenda vuole che “su Scultone”, il basilisco, fosse avido di giovani e vergini donne, e San Pietro, che aveva acquisito la capacità di camminare sull’acqua (quindi “acqua contro fuoco”), armato di specchio come l’eroe greco Perseo contro le Gorgoni, stordì il basilisco, mostrandogli la sua immagine riflessa nello specchio. San Pietro ne approfittò, per sbattere il basilisco violentemente a terra, aprendo la voragine carsica de “su sterru”, un pozzo senza fondo circondato da i nuraghi edificati nell’età del bronzo per proteggere una zona umida, creata da pozze basaltiche chiamate “is Piscinas”, riserva idrica importantissima per una terra che in quel periodo era generalmente molto arida.
Nella chiesetta vicina di San Pietro, si trova un betile in basalto, che riproduce un viso umano, più alcune rocce basaltiche che sembrano umane e che ricordano un “Moai” ( sono statue che si trovano sull’Isola di Pasqua; nella maggior parte dei casi si tratta di statue monolitiche, cioè ricavate e scavate da un unico blocco di tufo vulcanico).
Opera litica, quella di Baunei, che racconta la leggenda dello sguardo che trasforma in pietra.

Certo che non può essere una coincidenza che una creatura ibrida, ibrida come anche il drago, abitasse proprio nella zona di Dorgali, dove vi sono toponimi che hanno la particella “org”( Dorgali, Orgosolo, Orosei), che richiamano la potenza dell’ energia orgonica (l’energia con la quale siamo connessi all’Universo).
Orgonicamente, questa zona è una delle zone più attive, e una delle più importanti.
Infatti la tomba dei Giganti di Sant’Ena e Thomes ( la “vena”, la sorgente di Thomes,) si trova a Dorgali( provincia di Nuoro) e come ho detto prima, anagrammando la radice di Dorgali, “Dorga-“, diventa “drago”, il fuoco poiché pare che proprio in quella zona ci fosse il culto del fuoco sulla sommità dei Nuraghi, per fini ritualistici e ovviamente anche per scopi pratici.
E questo è compatibile con l’ipotesi che al di sotto di quella zona, anticamente, al di sotto del Golgo de su Sterru, ci fosse un vulcano, con tutti i riti del fuoco, quindi, ad esso connessi.
Teniamo presente che, 2700 anni fa il polo nord Celeste, era in direzione della coda della costellazione del Drago, e la stella polare era considerata la stella Thuban.
Il drago comparve anche come simbolo degli Shardana, specialmente nell’artigianato di Seui, nelle cassapanche antiche e in molti portoni in Sardegna.
Anche a Mogorella ci sono molti portoni che indicano il drago e Il Grifone, che è considerato un’evoluzione del basilisco e che si trova anche nelle cassapanche sarde, quelle antichissime, e nei ricami, anche se ho avuto difficoltà a trovare delle foto.

Nella chiesa di San Domenico a Cagliari, risalente alla prima metà del secolo XV, è rappresentato un basilisco che soltanto San Domenico riuscì a fronteggiare e addomesticare.
Nel rudere dell’episcopato dell’antica basilica di Sant’Antioco di Bisarcio, ad Ozieri, in provincia, di Sassari, vi è una protome di Barisone II, (visto che Sant’Antioco era la cattedrale della diocesi di Bisarcio, della quale faceva parte Ardara, capitale in quegli stessi anni, del giudicato di Torres).
Il giudice Barisone II, del giudicato di Torres o del Logudoro, uno dei quattro Giudicati della Sardegna, dal 1153 al 1190, è rappresentato sotto una foglia di ruta, e vi è anche la rappresentazione di un basilisco.
Vi è anche la rappresentazione di un’ostrica aperta, che in origine doveva contenere una perla, simbolo della Sacra Vulva Femminile.
Basilisco che si ritrova in molte cattedrali gotiche e romaniche di tutta Europa, in rappresentanza del Diavolo, del male, della morte, del peccato.
Il basilisco di Bisarcio e’ descritto come un piccolo drago con la coda formata da due serpenti, due zampe divaricate, e un capo bicefalo a forma di gallo, con un Diadema a forma di fiamma sulla fronte.

In questa rappresentazione del bassorilievo di Bisarcio, vi è la presenza di un “bubbolo”( bùbbolo s. m. [der. di bubbolare1 «brontolare»]. – Sonaglio sferico d’ottone con una fessura e una pallottolina dentro: se ne mettono in vario numero al collare dei cani (anche d’argento) e alle briglie degli animali da tiro), che rappresenta un’esclusività del basilisco sardo, consumato ma riconoscibile, sotto la zampa anteriore.
La particolarità, è che il sonaglio in questione è come i campanacci dei Mamuthones, che si usano per identificare il pericolo di entità malvage, come altre entità demoniache del Folklore sardo, e allontanarle.
Il bubbolo quindi svolge una funzione apotropaica, simile ai sonagli dei Mamuthones, e agli stessi sonagli che portano addosso le maschere “de is Sculzones”( i basilischi) durante il Carnevale sardo.
Forma che ricorda anche la forma del bottone sardo, cosi sferica, e che richiama la simbologia creatrice dell’Uovo Cosmico.
Si, perché il basilisco pare che fosse allevato per finalità alchemiche, che fosse necessario per la sintesi dell’oro alchemico, ottenuto dall’accoppiamento dei due galli maschi.
Uovo del basilisco, poi covato da dei rospi, considerato la pietra preziosa del Logos divino, un uovo cosmico primordiale.
Il basilisco viene spesso rappresentato insieme alla ruta, una delle 9 erbe magiche, l’unica che possa uccidere il basilisco.
In questo bassorilievo di Bisarcio, vi è una rappresentazione zoomorfa della morte, rappresentata dal basilisco, che rimanda ai versetto 13 del Salmo 91 , di cui il rilievo, è la “traduzione plastica” del versetto 13: “Camminerai su aspidi e vipere, schiaccerai leoni e draghi”, dove il basilisco è la morte, il leone è l’anticristo e il drago il demonio.

Un animale favoloso, il basilisco della Cirenaica, descritto da Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) in “Naturalis Historia”, ed è pensato come un serpente piccolo, che col fiato brucia erbe ed alberelli, spacca le pietre, così velenoso che se colpito da una lancia, cavallo e cavaliere muoiono per il veleno che percorre l’asta.
Successivamente s’ammantò di particolari, e il medioevo concluse che il Basilisco nasce da un uovo sferico di gallo di 7 anni, deposto con Sirio ( che significa luce) ascendente, e covato per 9 anni anche da un rospo, ha corpo da gallo che termina in serpente, con cresta dentellata a corona, uccide col solo sguardo, e ha due nemici mortali: le donnole (mustela – come le manguste) e gli stessi galli, che lo uccidevano con il canto.
Può morire anche se in uno specchio vede il proprio sguardo, ha poteri simili alla Gorgone della mitologia greca, ed è nato dal sangue di Medusa decapitata da Perseo, caduto sulla Libia.
Nel medioevo gli si attribuirono tutti i vizi del demonio, compresa la lussuria ed ogni conseguenza negativa quale la sifilide, che fu detta morbo del basilisco.
Invece per gli Egiziani il basilisco era sacro. Rappresentava l’eternità.
Si parla della donnola, come unico animale che può affrontarlo. Si parla del suo sacrificio, poiché la donnola ferisce mortalmente il basilisco azzannandolo alla gola e al ventre, ma nonostante questo, si lascia ammazzare a colpi di becco, piuttosto che lasciare la presa e si sacrifica come Cristo sulla croce.
Non è un caso quindi che la testa del basilisco del semicapitello della chiesa di San Domenico di Cagliari, sia voltata all’indietro, in direzione della donnola.

Quindi questo “Scultone”, questo basilisco era di natura malefica, nato dal sangue della testa della Gorgone, Medusa, decapitata da Perseo le cui uova vengono partorite da due galli maschi e che vengono covate del rospi.
Le Meduse erano figlie di Forco e di Ceto, ed abitavano nell’estremo occidente del mondo conosciuto dai greci.
Erano tre sorelle, Steno, Euriale e Medusa, di aspetto mostruoso, avevano ali d’oro, mani con artigli di bronzo, zanne di cinghiale e serpenti al posto dei capelli, e chiunque le guardasse direttamente negli occhi rimaneva pietrificato.
La Gorgone per antonomasia era Medusa, unica mortale fra le tre e loro regina, che, per volere di Persefone, divenne la regina degli Inferi.
Le Gorgoni rappresentavano la perversione nelle sue tre forme: Euriale rappresentava la perversione sessuale, Steno la perversione morale e Medusa la perversione intellettuale.
Dalla testa mozzata di Medusa, nacquero il cavallo alato Pegaso e Crisaore, padre di Gerione.
Quel Gerione, la cui figlia Eriteide, si uni’ al Dio Hermes e diedero alla luce, Norax o Norace, antico eroe mitologico della civiltà Sarda, fondatore, secondo la leggenda, di Nora, un’antica città, sorta sul mare nel IV sec.a.C., diventata uno dei maggiori centri della Sardegna, in periodo punico-romano, a pochi chilometri da Cagliari.
Norace, attestato da più fonti, pare che arrivasse in Sardegna dalla mitica città di Tartesso, la città portuale dell’attuale Andalusia, ma che sembrerebbe invece, da alcuni studi, essere proprio una cittadina della Sardegna, terra ricchissima di metalli e di pietre preziose, di cui i sardi erano abili commercianti fin da tempi antichissimi, probabilmente dal 10.000 a.C., se non prima.

Perseo, quindi, donò la testa mozzata di Medusa, alla dea Atena, la quale la fissò al centro del proprio scudo per terrorizzare i nemici.
La testa mozzata venne dirottata verso l’arido deserto libico per evitare che dal suo sangue velenoso si creassero dei mostri o si creasse un deserto nel territorio greco.
In Libia in particolare si credeva che il basilisco che fosse nato dalle uova di Ibis, i quali si nutrono di serpenti e di scorpioni velenosi.
Infatti vi è una sovrapposizione tra il nostro comune Gallo e l’Ibis egiziano, questo perché gli Egiziani veneravano moltissimo il basilisco come emblemi di eternità tanto da consacrare in loro onore, con delle statuine d’oro.
In Libia, Medusa divenne regina delle Amazzoni, quindi una Regina con valenza positiva, come lo diventerà in Sardegna, in totale controtendenza con l’immagine iconografica negativa che aveva assunto nella cultura occidentale, soprattutto presso i Greci e i Romani.
Tanto che il suo sangue, qui in Sardegna, sembra essere anche miracoloso, pur essendo di natura demoniaca.
Ho trovato anche un’ immagine che riporta uno “spuligadente” sardo, che ha l’immagine di un basilisco.
Gli “spuligadentes”( “i pulisci denti”) sono oggetti legati alla toeletta personale. Possiedono palettine e punte per la pulizia di denti e orecchie, ma l’uso è più simbolico che funzionale, legato al concetto di purezza che si associa con certe pratiche liturgiche.
Sono spesso presenti in questo oggetto, il simbolo del cristogramma, la foglia e la testa di uccello, elementi connessi con la sfera religiosa cristiana. Talvolta sono combinati con piccoli reliquiari dal significato magico-religioso, e impreziositi da pietre colorate, turchesi, coralli
Quindi avevano un’alto valore simbolico.

Questa leggenda de “su Scultone”, diventa così popolare da oltrepassare i confini Isolani, e dopo essersi estesa da Baunei fino all’ Ogliastra e al nuorese, arriva ad orecchio fino agli sceneggiatori del famoso fumetto “Martin Mystere”, di Sergio Bonelli, che con il suo numero 80 di un fumetto intitolato “la macchina invincibile”, fa incontrare al famoso indagatore del mistero, proprio il basilisco nel territorio di Baunei.
E ne parla anche un numero di Topolino del 1998, dove l’archeologo Indiana Pipps, si trova a combattere nella valle del Goggorroppu, con lo sguardo temibile dello stesso Scultone, che fa perdere la memoria a chiunque lo incontri.
Infatti l’episodio del fumetto si chiama “la valle della memoria perduta”.

A Esterzili esiste un tempio megalitico rettangolare , chiamato ” Sa Dom’e Urxia”, dove, narra la leggenda, ci sarebbe un tesoro chiamato con un nome molto simile a quello del su Scorzoni( o Scultone), che si chiama ” su scusorxu”, nascosto e custodito dalla Maga Urxia.
Urxia, Orgia, Giorgia, sono tutte radici in “org -“, che richiamano luoghi carichi di energia positiva, quindi fertili, pieni di verde, che hanno lo stesso nucleo “or/org”, di Orgosolo, di Dorgali, di Orosei, dei luoghi, insomma, frequentati da “Su Scultone – basilisco”.
Infatti, “Gorgo- georgico” , è riferito all’agricoltura, e proprio Medusa, col sangue dalla sua testa decapitata, che genera il basilisco ( tra l’altro il nome è simile al basilico, la più profumata tra le erbe “di cucina” ) era, tra le Gorgoni, colei che era esperta nell’arte del coltivare la terra, oltre che ad essere la più potente.
Il Professor Lilliu, aveva associato “Giorgia”, ad una maga gigantessa in epoca nuragica, che si infuria e che pietrifica con lo sguardo a causa della perdita, per una maledizione, dei propri figli.
Una Giorgia come un Antica Madre Pietra della fertilità( il nome Giorgia infatti è connesso al termine greco- bizantino ” Ghiorghis”, che significa “colei che feconda) che venne pietrificata per aver rifiutato di fare l’elemosina, nonostante la sua ricchezza.
A Esterzili esiste anche ” Sa Domu de s’orgia Maiosa”.

Il basilisco, anche a livello esoterico, nonostante la sua fama di animale terrificante e temibile, è uno dei 5 importantissimi animali della fase alchemica di trasformazione, le cui uova sono covate dalla grande gallina alchemica e queste cinque fasi alchemiche, con i relativi animali corrispondenti, rappresentano le trasformazioni a cui siamo chiamati per consentire l’evoluzione.
Il corvo rappresenta la prima fase, la Nigredo, dove si deve morire a se stessi, e dove si lavora con il fuoco.
La seconda fase è l’Albedo, rappresentata dal cigno, una fase di purificazione e di grande quiete, prima della terza fase, la più importante, quella rappresentata dal basilisco, dove vi è l’unione del principio attivo e recettivo, tra maschile e femminile, rappresentato da questo essere metà uccello (gallo/maschile /solare) e metà serpente (femminile/lunare).
Il gallo rappresenta la purezza.
Infatti nei tempi passati, tra i greci e latini, il gallo bianco era consacrato a Zeus e ad Apollo, simbolo della luce e della vita, il “gallo solare”( emblema solare nelle popolazioni dell’antica Asia), che si oppone al simbolo del serpente, il rettile dell’oscurità e della morte.
Il basilisco rappresenta la fase alchemica più importante, quella dell’unione del maschile e del femminile, della luce con le tenebre, del Sole e della luna.
Unione delle degli opposti che è sempre stata importantissima nella rappresentazione e nelle manifestazioni nella cultura Sarda, in ogni aspetto.
Vi è sempre questo equilibrio di polarità sempre presente, di acqua e fuoco, di luna e sole, di Padre e Madre Creatori, che agiscono sempre in sinergia.
Con l’unione dei due opposti, poi subentra la quarta fase, rappresentata dal pellicano, che si squarcia il petto per cibare i propri figli con il proprio sangue.
Questa è la fase della moltiplicazione.
Mentre la quinta fase è rappresentata dalla Fenice, dalla Rubedo, la rinascita, il compimento dell’Opera alchemica, il rinascere dalle proprie ceneri.

E non è un caso che tra questi animali, sia proprio il basilisco ad essere maggiormente rappresentato in Sardegna.
Un animale che seppur terribile è molto potente, e rappresenta quella Unione degli opposti, della Kundalini madre, la Kundalini Shakti, che genera e che crea in senso cosmico.
Questo serpente energetico, la Kundalini, è la nostra Energia vitale, connessa alle energie dell’ Universo, con le due nadi, maschile e femminile, che è assopito nel perineo e che si snoda attraverso la colonna vertebrale.
Ed è proprio nel perineo (quella zona indefinita androgina, quella “Udda (vagina in sardo)”, che indicava l’antico sintagma sacrale sumero “andare verso il sole” [ “ud da”] , della “pudda (gallina in sardo)/gallina”, che non è né ano né utero, ma è perineo, la zona sacra , dove vi è il potere generante dell’androgino, che crea l’uovo Cosmico, e quindi non nasce né prima l’ uovo, né prima la gallina.
Sono inglobati l’uno nell’altro, poiché nasce da un’entità androgina/gallo che si unisce con un’altro androgino/gallo.
L’ Uovo cosmico è perineale, è sia maschile che femminile, è ano e vagina insieme, e il basilisco rappresenta l’entità androgina che nasce da un gallo androgino, ed è covato da rospi.
L’uovo cosmico, è il “vaso di cottura” dei processi alchemici.
Solo il basilisco può consentire questa trasformazione alchemica importantissima, di unione del femminile e del maschile, dell’acqua con il fuoco.

Nella Basilica della Borgogna in un monastero benedettino dedicato a Maria Maddalena via è un capitello chiamato Capitello numero 51, chiamato “il basilisco” , e si trova nella zona nord della Basilica, a nord come la Stella Polare , in una zona dove non arriva la luce, ed è ornato solo con foglie di Giglio araldico, che corrispondono alla Rosa ermetica della Maria Maddalena.
Perché il Basilisco, nella sua accezione più positiva e non penalizzata dai vari bestiari medioevali e dal retaggio misogino e patriarcale della mitologia greca, viene ad identificarsi con il Sacro Femminino, con la Maria Maddalena, che ha integrato in sé il principio degli opposti, del maschile e del femminile.

Questo aspetto è molto interessante se consideriamo che il basilisco era considerato e venerato dagli egiziani come simbolo di eternità.
Il basilisco è come il fuoco primordiale che prelude alla trasformazione dei metalli, alla trasformazione del piombo in oro.
Ha lo sguardo di potere caratteristico della Medusa, e infatti simbolicamente, il basilisco rappresenta anche il potere.
La Medusa, le Gorgoni, non sono altro che l’evoluzione dell’incalzante patriarcato che avanzava, e che spazzava via ogni traccia di quello che fu il culto della Dea Serpente delle antiche civiltà gilaniche, dove il serpente era il simbolo della saggezza, che univa la vita, la morte e la rinascita.
Il mito della Dea Madre del Neolitico, dal 7000 al 3000 a. C., inizialmente viene rappresentato da questa Dea Madre venerata nell’africa del nord, quella che poi si ritroverà nella Medusa, Regina delle Amazzoni, di cui rimane però solo l’aspetto legato alla morte.
Ma piano l’ideologia patriarcale e androcratica, si fanno sempre più strada, e tutte le maggiori rappresentanti del male e della bestialità verranno rappresentate da elementi femminili, come le Gorgoni, le Erinni, le Arpie, le Chimere.
Il serpente, da animale venerato nel Paleolitico e Neolitico, diventa invece, sotto il patriarcato maschile, pericoloso e velenoso.

Solo a Creta, soprattutto nel periodo fino al 1400 a.C., abbiamo ancora riti minoici legati alle mestruazioni, al concepimento, all’allattamento, dove il serpente è simbolo di regalità e di divinità femminile.
Mentre, soprattutto nell’arte greca, dal VII sec a. C. in poi, si assiste ad una ghettizzazione della donna malefica, mostruosa, orribile, che deve essere sconfitta per mano di un eroe greco tendenzialmente omosessuale (quasi tutti gli eroi greci infatti hanno delle tendenze omosessuali).

A Creta, e in Sardegna, invece il mito della donna serpente come figura positiva, sopravvive più a lungo.
A Creta abbiamo anche mito del labirinto, quel labirinto che è tanto caro all’iconografia Sarda, che poi ritroviamo anche inciso nella roccia, come il labirinto di Benetutti.
Labirinto che troviamo nella stessa conformazione dei Nuraghi polilobati, che sembrano dei labirinti, quello che abbiamo nel complesso nuragico di Romanzesu, che richiama sicuramente il femminino, il serpente che si avvolge su se stesso.
Il labirinto del cordone ombelicale, che porta comunque ad una rinascita.
E non è un caso che sia stato proprio il basilisco, simbolo dell’androgino, unione degli opposti, del maschile e del femminile, del fuoco e dell’acqua, che abbia creato nella pietra, una voragine profonda come un utero, che è diventata poi un Luogo sacro per la celebrazione di riti ancestrali e che ha dato origine, intorno, ad un complesso nuragico molto articolato, composto da nuraghi, Domus de janas e Tombe dei Giganti.
Ma anche il mito della Medusa in Sardegna, assume dei connotati totalmente opposti a quelli negativi che le vengono attribuiti nella civiltà e nella cultura greca e Latina.
Il Mito di Medusa è sempre stato presente in Sardegna e con una valenza estremamente positiva è questo ancora una volta indica l’importanza che aveva il matriarcato in Sardegna.

Dolores Turchi, etnologa, descrive la leggenda di Medusa.
Esistono due castelli dedicati a Medusa : uno a Samugheo (Or) e l’altro a Lotzorai (Nu).
Il castello di Samugheo, è chiamato “sa domu de Orgia”, la “casa di Giorgia”, che poi è diventato una fortezza bizantina con pianta a megaron (a rettangolo allungato), come quella delle strutture micenee del XV – XIII secolo a.C.
Anche a Orune vi è la leggenda di Medusa.
Il padre di Medusa era Forco, chiamato Urcheddu o Furcheddu, in sardo, Re del mare come Nettuno, che governava la Terra di Atlantide.
Medusa affronta Perseo nei miti greci, e in essi viene presentata come una Gorgone.
Invece qui, nella mitologia Sarda, è rappresentata come una stupenda regina bellissima che si batte per il suo popolo.
Quindi il mito di Medusa- Gorgone , qui in Sardegna si sviluppa in modo ben diverso da quello Greco, che viene stravolto per valorizzare il mito di Perseo eroe.
Qui in Sardegna si narra che Medusa regnasse i paesi iperborei del settentrione, come dicono i greci, nell’estremo occidente, ma pare che abbia regnato precisamente (e la fonte la ritroviamo nello storico Fara, “de rebus sardi”, del 1580) , per ben 28 anni, e pare, che le terre iperboree siano sempre state la Sardegna, e che Tartesso, la terra dei Metalli e delle pietre preziose, fosse la terra sarda di Atlantide.

Una terra sarda atlantidea che ha restituito dignità al mito originario della Dea Serpente, svilita nel corso dei secoli fino ad essere un’orrenda maschera decapitata, depauperata di tutta la sua potenza e bellezza.
Il quadro di Caravaggio che rappresenta la testa mozzata della Gorgone e quanto di più umiliante si possa rappresentare di una donna, riflesso di un’atavica paura dell’uomo, di una donna potente che ammalia con lo sguardo, e che detiene le chiavi della conoscenza, della vita e della morte.
Nemmeno la brutta fama che si è fatto il basilisco, “figlio” prediletto della Medusa dalla capigliatura serpentiforme, ha potuto evitare che lo si rappresentasse comunque come un animale di potere, apotropaico, creatore di quel “golgo/vagina/voragine” che è diventato un luogo sacro di culto, fertile.
Un basilisco/Scultone, rappresentato anche nel carnevale sardo, è rimasto nell’iconografia delle tradizioni artigianali, integrato a quello che genericamente viene chiamato Drago o Grifone.

Non deve stupire che i primi ibridi “umano/bestia”, rappresentati nelle grotte, risalgano a 30.000 anni fa, come quello nella grotta di Chauvet, che rapprenta la fusione di una donna con un bisonte, il principio del mascolino virile.
In seguito alla sconfitta della cultura della Dea, in cui il serpente era una figura positiva, la connessione “donna – serpente” assume poi nel tempo un carattere negativo, poiché Medusa rappresenta il mito della paura, della donna fertile e mestruata, del calore arcaico delle donne, della loro autosufficienza, del potere sotterraneo generante e rigenerante del sangue mestruale.
Ma le Gorgoni, quindi anche la Medusa, e di conseguenza, anche la sua creatura “più perfetta”, poiché è insieme Gallo/Sole/maschile e serpente/luna/femminile, quella che meglio la rappresenta, il basilisco, erano anche delle figure apotropaiche, come se fossero un antidoto ai mali che minacciavano loro stesse.
Infatti le Gorgoni erano molto rappresentate, ed erano considerate gli assistenti di Artemide, la protettrice delle partorienti dei neonati e dei giovani, la signora degli animali, ma anche il guardiano dell’Ade.
Le Gorgoni e quindi anche la Medusa, hanno rappresentato solamente il grande potere della donna che crea la vita, la donna insieme al suo sangue mestruale.
Una Medusa che può pietrificare con lo sguardo, come il basilisco, perché è lo sguardo della potenza creatrice sguardo che ammalia.
E io trovo molto bello che invece in Sardegna la figura di Medusa, e di conseguenza, anche quella del Basilisco, sia stata nobilitata ad una figura molto più positiva e benevola, nei confronti di questa terra, onorata come una grande Regina bellissima e protettiva che si batte per la sua terra.
Come sempre, la Sardegna, con la sua saggezza ed armonia nelle forme e nel pensiero, mi stupisce sempre, andando sempre controcorrente rispetto a ciò che poteva essere il pensiero dominante nelle altre civiltà, mantenendo sempre una linea sostanzialmente matriarcale, e di Unione ed equilibrio degli opposti, del maschile e femminile, del Sole e della luna, della luce e delle tenebre, come ho sempre sottolineato.
E per ogni ricerca, è sempre un’ emozione in più, nel vedere sempre confermato questo gioco di equilibri estetici e concettuali, di cui la Sardegna è eccelsa rappresentante.

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