Serenata ai morti, Faldella

Serenata ai morti, Faldella

Serenata ai morti, Faldella

Serenata ai morti, Faldella

Una serenata ai morti, Faldella, credit Antiche Curiosità©

 

Mary Blindflowers©

Una Serenata ai morti, Giovanni Faldella

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Giovanni Faldella, (Saluggia, 26 settembre 1846 – Vercelli, 14 aprile 1928), è un autore mediamente poco conosciuto dalla massa, poco citato e devo dire ingiustamente dimenticato. Mi sono avvicinata a questo autore con una buona dose di scetticismo, forse perché era un politico e avvocato, professioni per le quali istintivamente avverto antipatia. Inoltre le critiche della sua epoca non erano di certo incoraggianti.
V.G Vitale, avvocato a sua volta, nelle pagine della Nuova Torino del 9 luglio 1875, si firmava Frou Frou e con tale ridicolo pseudonimo, dava il suo giudizio impietoso su Faldella:

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Faldella è convinto che la letteratura è un orologio. Sicuro. Quando scrive fa come il meccanico ginevrino, il quale si adatta la lente all’occhio, cerca tutti i pezzi, li forbisce, li incastra, dà loro il colpetto di vite e poi mette l’orologio in vetrina. Egli razzola, coi suoi gallinacci, nei dizionari, ne cava fuori parole, parole e parole, quelle che fanno più rumore, che sono sentite a Torino e credo in Italia come si son veduti i Cinesi; le appiccica insieme e dà loro un po’ di lucido inglese. Se da quell’accozzamento, ne sbuccia fuori qualche idea, è un di più, tanto meglio; se no, in quel mosaico vi caccia dentro la storia della nonna, del gatto, del cimitero, del villaggio, del tramonto, della luna, delle stelle, cose vecchie quanto Noè, e così lui ha fatto l’articolo, il libro…

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Non mi fido mai della critica, perché spesso e volentieri dice cose non vere, così ho preferito leggere e ho letto Una serenata ai morti che è un lungo racconto più che un romanzo vero e proprio. In primis l’autore presenta i personaggi e lo fa con tale finezza e immediata semplice freschezza che non è possibile parlare di artificio o “accozzamento”. La prosa scorre leggera, a tratti ironica e scanzonata nel registro del basso, a tratti quasi lirica, mai patetica, noiosa o volgare. Le descrizioni sono brevi, lancinanti, ricche di termini desueti che tradiscono una continua ricerca sul linguaggio, uno scavo che porta al recupero storico di termini che, incastonati perfettamente nel contesto, diventano comprensibilissimi. Occorre essere davvero malevoli per dire che Faldella “razzola per dizionari” col tentativo di cavarne termini da appiccicare a caso nel testo che invece è ben misurato, poi vira improvviso e geniale nel surreale con una cesura contenutistica che il lettore non si aspetta, come una doccia fresca in estate che ti lascia un po’ attonito ma felicissimamente sorpreso. La storia è molto semplice ed evidenzia perfino nella sua brevità alcuni elementi tipici di una società italiana che non è mai morta: la raccomandazione, il mammismo, il disimpegno, il fascino satanico della bellezza. Rolando, per esempio è un disimpiegato, uno scioperato causa sia “la poca voglia di studiare” che “il desiderio della mamma di averlo ognora attaccato alla gonnella”. Perfino la cortigiana, data la sua bellezza, sentiva “debolezze gratuite per lui” che “qualche volta d’inverno” aveva coltivato “l’idea di raccomandarsi al deputato, già segretario generale, e futuro ministro dell’Agricoltura, e domandargli qualche impiego”. Ma sopraggiunto l’autunno, egli si sentiva così bene nel suo dolce far niente che “non pensava neppure per sogno di andare ad umiliarsi all’on. Ex Segretario Generale”.
Il finale mette in evidenza tutte le paure religiose indotte dal sistema e il potere di quel prete che gridava alla scomunica contro il grosso Ambrogione, colpevole di aver fatto una serenata ai morti in stato d’ebbrezza. Per farsi togliere la scomunica, Ambrogione girò “a porte chiuse quattro volte attorno all’altare della chiesa come un ciuco stangato e ricevette poi veramente dal Prevosto, parecchie bastonate sulla testa e sulle spalle con accompagnamento di parole latine e acqua Benedetta”.
La forza del potere e delle convenzioni sociali nel Paese dove è ambientato il racconto, è più forte dell’orgoglio individuale.
Senza moralismi, Faldella racconta un’Italia mai perduta, mai finita fino in fondo, il racconto è dunque sempre attuale, metaforico e forse dimenticato per quella concessione al surreale che in Italia si perdona (e nemmeno più di tanto) solo a Calvino o a Landolfi.
La serenata ai morti è la metafora pulsante di un mondo reale che vive di realtà fittizie, quello dell’Italia provinciale, un mondo anacronistico e bigotto che Faldella ha saputo descrivere in modo magistrale.

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