Barthes, Semiologia, parole vuote

Barthes, Semiologia, parole vuote

Barthes, Semiologia, parole vuote

Barthes, Semiologia, parole vuote

Barthes, Elementi di semiologia, credit Antiche Curiosità©

 

Mary Blindflowers©

Barthes, semiologia, parole vuote

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La semiologia, “lo studio dei segni”, mi è sempre sembrata la pseudo-scienza dell’arzigogolo concettuale, l’arte superba e ineffabile di complicare e intorcinare il semplice, utilissima agli accademici per pubblicare libri in cui non si dice praticamente nulla ma lo si fa in modo talmente complicato che il lettore quasi quasi crede che si sia detto qualcosa.

Il libro di Roland Barthes, Elementi di semiologia. Linguistica e scienza delle significazioni, pubblicato negli anni sessanta e continuamente ristampato, è la prova materiale della funzione principale della semiologia: far acquisire cattedre per ricci fatti alla lana caprina. L’autore riesce in 87 pagine a ripetere le stesse cose più e più volte, vizio antico di Barthes, che, non si capisce bene a che scopo, ama l’iterazione ad oltranza, la ridondanza e il déjà-vu. Più e più volte sul rapporto tra lingua e parola, viste come coppia dialettica ma nello stesso tempo interrelata, scrive che la parola non è possibile senza la lingua e ci comunica questa grande scoperta dell’acqua calda, citando di continuo Saussure e accademici vari, preda di un’ansia citazionistica che fa venire l’orticaria. E gli piace usare questo termine: interrelazione tra due relata, sì perché un segno, oltre a ciò che rappresenta a livello sensibile, rimanda anche a qualcos’altro, concetto ripreso da sant’Agostino, tanto per rimanere in tema di originalità: Signum est res, praeter speciem quam ingerit sensibus, aliud aliquid ex se faciens in cogitationem venire (De Doctrina christiana, II, 1,2).

Ah ma qual è lo scopo del libro?
Barthes, non perde tempo, lo dice subito usando il plurale majestatis:

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Gli elementi che qui presentiamo, non hanno altro fine se non quello di far emergere dalla linguistica i concetti analitici che a priori riteniamo idonei, per la loro generalità, ad avviare la ricerca semiologica… si tratta di un principio di classificazione dei problemi… la linguistica non è una parte, sia pur privilegiata, della scienza generale dei segni, ma viceversa la semiologia è una parte della linguistica.

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Un altro concetto che Barthes ama ripetere fino all’esaurimento nervoso del lettore, è la distinzione tra significato di una parola e sua rappresentazione psichica: il significato della parola bue non è l’animale bue, ma la sua immagine psichica (ciò sarà importante per seguire la discussione sulla natura del segno).

Peccato che questa distinzione non sia affatto originale ma mutuata direttamente dal mondo delle idee platoniche e dallo stoicismo. Insomma già la filosofia greca era arrivata a capire questo concetto elementare senza che ci si mettessero i semiologi a spiegarcelo secoli dopo.

L’analisi del segno poi applicato al giornalismo è illuminante di come si possa scrivere senza dire nulla:

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Nel vestito fotografato (supponendo, per semplificare che non sia accompagnato da una descrizione verbale), la Lingua emana sempre dal fashion-group, ma già non è più data nella sua astrazione, poiché il vestito fotografato è sempre indossato da una donna individuale. Ciò che troviamo nella fotografia di moda è uno stato semisistematico del vestito; infatti, da un lato la Lingua di moda deve essere qui inferita da un vestito pseudo-reale, e, dall’altro colei che porta il vestito (l’indossatrice fotografata) è, se così si può dire, un individuo normativo, scelto in funzione della sua generalità canonica, e che perciò rappresenta una parola cristallizzata, priva di qualsiasi libertà combinatoria…

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Ma veramente quest’accozzaglia di parole pseudo-dotte riesce a convincere qualcuno che si voglia dire qualcosa di profondo?
Il libro di fatto è illeggibile, un’autentica supercazzola, un insieme ripetitivo di parole vuote.

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Rivista Il Destrutturalismo

 

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