Dee silenziose, Sardegna Madre

Dee silenziose, Sardegna Madre

Dee silenziose, Sardegna Madre

Dee silenziose, Sardegna Madre

Dea Madre Sarda, Disegno di Tiziana Fenu©

 

Tiziana Fenu©

Dee silenziose, Sardegna Madre

La storia delle Veneri, con le rappresentazioni della Dea Madre, si snoda attraverso i secoli attraverso forme che raccontano il simbolismo legato alla fertilità e alla fecondità, con forme che hanno caratteristiche in comune, di questa Dea Madre, dispensatrice di vita e di morte.
Il culto della Dea Madre nasce in epoca preistorica, dall’osservazione del ciclo delle stagioni, e dal fatto che la vita stessa rifletta questa ciclicità.
Ciclicità impersonata dalla figura femminile con i suoi cicli fertili in sincronia con quelli lunari, generatrice di vita, come Madre Terra, ma anche di morte, quando rilascia l’ovulo non fecondato, dove non genera vita, ma simbolicamente, morte.
Portatrice dalla doppia valenza del sangue.
Le Veneri, le Dee madri, iniziano ad essere rappresentate già dal 500.000 a.C.
Le Veneri che si susseguono successivamente, nel Paleolitico, hanno seni prominenti e cosce grosse, simboli di garanzia di nutrimento e di buona fertilità.
Le più famose tra le dee madri del periodo Paleolitico, tutte steatopigie, cioè “dalle grosse natiche” simbolo di fecondità, sono la Venere di Hohle Fels del 35.000 a. C. scolpita in una zanna di mammut, priva di testa, con seni, fianchi pancia e genitali prominenti, per richiamare la fertilità. Seguono la Venere di Lespugue del 27.000 a. C., in osso di mammut, e la Venere di Willendorf del 23.000 a. C., in pietra calcarea, per citare giusto le più importanti.
Le Veneri del Paleolitico sono così piccole che stanno nel palmo di una mano e vanno dai 5 ai 14 cm, e alcune di loro al posto della testa, hanno, come la Venere di Hohle Fels, un occhiello, in modo che potessero essere utilizzate appese al collo come amuleti scaramantici e protettivi.
Nel Neolitico, assistiamo addirittura alla produzione “quasi in serie” di queste piccole Veneri, di queste Dee Madri protettive, che venivano tumulate insieme ai defunti, chiuse nel pugno sinistro dei defunti, per garantire loro protezione e guida, nel passaggio verso il mondo dei morti.
La produzione “quasi in serie”, è testimoniata dagli insediamenti neolitici provvisti di fornaci.

Le Domus de Janas in Sardegna cominciano a comparire nel IV-V millennio a.C., quindi in pieno Neolitico prenuragico.
Periodo in cui vengono ritrovate molte statuine, circa 130, della Dea Madre, di cui la più antica è la Venere di Macomer.
Ha una datazione incerta, ma si ritiene che possa appartenere al Paleolitico superiore, V – IV millennio a. C.
Ha una testa che sembrerebbe zoomorfa simile al Prolagus Sardus, un piccolo mammifero simile alla lepre, estinto forse dal 1.400 in poi.
Ma per arrivare ad una vera rappresentazione plastica e volumetrica della Dea Madre a tutto tondo, in Sardegna, bisogna attendere la cultura di Bonu Ighinu, del Neolitico medio, del 4900 /4400 a. C. circa.
È la fase culturale precedente alla cultura di Ozieri, che caratterizza il Neolitico medio, di cui il sito più importante è quello della necropoli di 19 tombe del Neolitico antico, il sito di Cuccuru is Arrius a Cabras, dove nel 1979 furono ritrovate delle tombe ipogeiche, nelle quali il defunto è sempre accompagnato da una o due statuine femminili.
Le statuine ritrovate, sono di tipo volumetrico, in linea con altre statuine ritrovate in altre zone, ed è proprio su queste statuine di tipo volumetrico che cade la mia attenzione.

La forma è quasi ad uovo, una forma volumetrica piena, perfettamente inscrivibile, dalle sovrapposizioni che ho fatto, all’interno della Vescica Piscis, che è la forma madre di tutte le forme geometriche, così come per la piantina del Pozzo di Santa Cristina di Paulilatino strettamente inscrivibile all’interno della Vesica Piscis.
Vesica Piscis che indica l’unione dei due opposti, del maschile e del femminile, del sole e della luna, del fuoco e dell’acqua, e questo concetto è perfettamente in linea con la volumetria delle statuine di quel periodo, di quella fase, durata 6 millenni, dal 8000 al 2500 a. C., in cui vi è stata una fioritura delle società Gilaniche, le grandi società matriarcali largamente diffuse in Europa, un’organizzazione sociale anteriore al patriarcato.
Periodo Neolitico, nel quale vi era una assoluta uguaglianza dei sessi e dove non vi era nessun tipo di gerarchizzazione e di patriarcato. Vi era un matriarcato pacifico, intessuto in una comunità egualitaria, soppiantata poi da un’altra cultura neolitica, quella dei Kurgan, una società androcratica e patrilineare, che assoggetto l’ Europa e distrusse la cultura gilanica.
Questo perlomeno sino al 4000 circa a. C., periodo in cui, si lascia spazio al patriarcato, dando spazio a forme di divinizzazione che vedono la comparsa di divinità prettamente maschili.

Nelle società matriarcali, di cui la Sardegna era una delle più importanti rappresentanti, si trovano i primi segni della Dea Madre nel Paleolitico superiore, risalenti a 30.000 /10000 anni fa, dove la Dea Madre governava l’universo con il suo ventre cosmico, con nutrimento e protezione per tutti, con ventre e fianchi prominenti, che sarà la tipica rappresentazione del Neolitico.
Parliamo di culture gilaniche, di carattere protettivo, pacifico, produttivo e riproduttivo, con importanti interazioni a livello culturale ed economico con altre popolazioni.
Nei manufatti scultorei sardi ecco una Dea Madre dalle forme morbide e accoglienti, eseguite in stile naturalistico-volumetrico, con un busto ovoide, con linea di demarcazione tra il petto e la zona ventrale e una demarcazione per la zona inguinale a forma di Y.

Questa figura in un unico blocco ovoide, a forma di uovo, mi ricorda moltissimo con queste linee di demarcazione, la forma dello scarabeo.
Gli scarabei erano considerati come Amuleti Sacri e protettivi verso i defunti, tanto da essere istoriati con invocazioni e simboli per una buona rinascita, prima di essere deposti sul petto del defunto, e comparvero in Egitto tra 2128 e il 2055 a. C.
Molti segni sugli scarabei sardi sembrano più disegni di Tanit, che di Ankh egizi, con grafemi antropomorfi, riconducibili a quella che poi diventerà la lettera H, assimilabile alla Tanit, la quale faceva già parte dell’alfabeto antico sardo.

Una Tanit con la sua simbologia di Hermes/Mercurio, psicopompo, traghettatore verso dell’aldilà, che conduce i defunti nell’altra dimensione, che non è la dimensione della morte, ma è la dimensione della Rinascita.

“Su Karrabusu”, lo Scarabeo Sacro, dove “Ka”, simboleggia lo spirito, “Ra” il dio sole, e “Bs”, una forma contratta del dio Bes, la divinità protettrice della gravidanza, della fertilità della nascita, di cui la Tanit rappresenta la controparte femminile, che guida alla rinascita.
Stiamo parlando di scarabei ritrovati in Sardegna e datati 1200-1300 a. C., e di Tanit che spesso venivano rappresentante con la testa grossa a cuore come quella degli scarabei votivi egiziani.
La H della placenta in Egitto, visto che la placenta era rappresentata dalla lettera H.

La Tanit/H come placenta, come cordone ombelicale che collega due vite, che fa da ponte tra la vita e la morte.
La Tanit come lo Scarabeo psicopompo.
E se è vero che le statuine delle Dee Madri portavano incisa la “bs”, il cerchio si chiude.
‘Bs”, come il Dio Bes, protettore delle nascite, molto diffuso in Sardegna.

Dea Madre, Scarabeo, Dio Bes, la Tanit spesso rappresentata con la testa grande come il Dio Bes, e a forma di cuore, come gli scarabei egiziani.
Il primo scarabeo sacro, nasce qui, in Sardegna, ed è la stessa Dea Madre a forma ovoidale, lo psicopompo che accompagna nel regno dei morti.
Ma allora, fermiamoci un attimo.
Abbiamo degli scarabei votivi datati 1200/1300 a.C., sia in Sardegna che in Egitto.
E poi troviamo invece una Dea Madre, come quella trovata a Cuccuru S’ Arriu, nella Necropoli di Cabras (Or), oppure quella di “su Anzu” di Narbolia (Or), e delle altre con questa forma volumetrica, trovate in altre zone, che ricordano esattamente lo scarabeo, e che hanno una datazione del 4000- 6.000 a. C.
Stiamo parlando di 2500 anni prima degli scarabei egizi.
Stiamo parlando di statuine che venivano tumulate insieme ai defunti, così come hanno fatto 2500 anni dopo gli Egizi, che posavano lo scarabeo sul petto del defunto.

Con questo, allora bisogna dire che gli antichi egizi non hanno inventato niente.
Che su “Karrabusu”, lo Scarabeo sacro, esisteva già nel 4000 a. C. , e che aveva esattamente le fattezze della Dea Madre che amorevolmente accompagna il defunto nell’altra dimensione, come farà la Jana, la personificazione umana della Dea Madre.
La Jana che è anche Janna, perché lei è una porta (“Janna” in sardo, significa “porta”) un portale dimensionale che conosce l’arte del gestire entrambe le dimensioni, dei vivi e dei morti.
Dea Madre/Scarabeo, che veniva deposta sulla mano sinistra del defunto, dalla parte del cuore, a protezione, come una madre amorevole che si prende cura di accompagnare in un’altra dimensione, in quella dimensione dei morti che conosce molto bene, perché lei è la Dea della vita e della morte.
Colei che porta la luce con la nascita, ma colei che porta la morte, la signora del buio, la dea civetta, la Dea barbagianna (b-abba- Jana) l’unica che può varcare la falsa porta che divide il regno dei vivi, dal regno dei morti.
Poiché lei conosce il segreto.
Il segreto rappresentato dalle 3 cornici, che rappresentano il ciclo vitale, che solo una Dea lunare può donare e rappresentare: nascita, morte e rinascita.

La forma ovoidale di questa bellissima Dea/ Scarabeo, potente come un Amuleto rigenerativo di rinascita, senza piedi, con gli arti superiori assorbiti in un unico volume lungo i fianchi, oppure con le mani sui seni, come quella ritrovata a Cuccuru s’Arriu, alta 11 cm, e dipinta di ocra rossa, scolpita nella pietra calcarea, è opulenta si, ma ben diversa dalle Veneri che l’hanno preceduta.
Non ha il ventre prominente, non ha le cosce deformi, è rappresentata in un’unica forma racchiusa in una Ellisse perfetta.
Con una impostazione rigida, immobile, eterna nel tempo e nello spazio.
Un’immagine plastica perfetta, che non può che essere il risultato di un elevato codice proporzionale e di simmetria a dimostrazione del fatto che si mantiene invariato il rapporto tra le sezioni anatomiche.
Il segno a “V”, è un simbolo del triangolo pubico, uno dei segni principali delle iscrizioni del “sacro”, dell’Europa antica.
A volte i simboli richiamano nel loro interno idee che hanno un assemblaggio di Segni, di due o più concetti che si cristallizzano in una terza immagine, che li evoca entrambi.
Indicano la V dalla vulva e la V che scandisce il tempo lunare, “nascita /morte e rinascita”.
È una rappresentazione lunare della ciclicità del tempo.
Il trascorrere del tempo, fin dal Neolitico, è stato rappresentato come un fenomeno che nasce, cresce in apogeo, e poi diminuisce.
In pratica, la “V” è usata come grafema dell’unità di misura del tempo
Anche la dea Tanit ha un corpo a triangolo, e questo indica il ciclo siderale della luna.
È il ciclo completo della lunazione, ma anche, secondo me, l’altra faccia del Sole, che è inglobata in essa, l’aspetto femminile del dio Baal, del dio Sole-Toro”.
Il segno a “V” è il più presente fin della Sardegna preistorica.
Si trova spesso nelle stele.
Come quella stele a losanghe, che si trova a Ossi nella Domus s’Adde e’Asile.
La Dea Madre, è sempre stata associata a simbolismi che richiamano il serpente, il cordone ombelicale, la vulva, il triangolo, la linea tratteggiata a zig zag, la retta, il labirinto, la linea doppia, e anche l’ascia bipenne.
Sono tutti i simboli dell’energia Vitale dell’associazione tra ciclo di morte e rinascita.
Simboli legati al concetto di rigenerazione, come componente essenziale della sua personalità, dove non vi è, in questo simbolismo angoscia per la morte, ma anzi gioia per la rinascita che prevale sulla morte.
E proprio questa Dea Madre che ritroviamo nel Neolitico, dalla forma ovoidale, ricorda un uovo, simbolo di rinascita, di fertilità e rigenerazione.
L’ Uovo Cosmico della Vita.
Ovoidale come il recinto del Pozzo di Santa Cristina, di Paulilatino, anche esso perfettamente inscrivibile nella Vesica Piscis, nella sua perfezione di Recinto Sacro che custodisce un Luogo Sacro di rigenerazione.

L’ uovo è stato fin dal Paleolitico superiore, simbolico di vita di rinascita, e gli uccelli rappresentati dalle prime Dee Madri, sono portatori di un uovo cosmogonico collegato all’acqua e al toro come generatori di vita.
Uovo come simbolo del divenire.
Infatti, i vasi funebri avevano una forma ovoidale che ricordava il grembo della Dea, da cui la vita dovrà emergere.
Ma se questa Dea neolitica, così perfettamente volumetrica come un uovo, che custodisce l’anima del defunto, fino alla rinascita nella nuova dimensione, è il frutto di un maschile e femminile che si incontrano a creare quell’Uovo rigenerante, quale è il simbolismo di quella bellissima Dea Madre, rappresentativa del periodo successivo, in Sardegna, quello della Dea Madre di Turriga, in marmo bianco, alta 44 cm, ritrovata vicino a Senorbi ( Ca), appartenente al IV millennio a. C.?
Stilisticamente, è totalmente diversa dalla Dea Madre/Scarabeo.
È un capolavoro di raffinatezza. Potrebbe essere un’opera moderna. Una creazione scultorea di arte moderna, o di alta oreficeria simbolica.
Due Dee completamente diverse.
Entrambe Dee Madri, simbolo di vita e rigenerazione, ma in questa ci sono indicazioni in più, nonostante la forma stilizzata e minimalista.
Cerco sempre l’elemento sinergico maschile, in ogni rappresentazione della civiltà Sarda, perché gli antichi Sardi, li hanno sempre fatti andare di pari passo, in sinergia continua.
Nei Nuraghi, nell’elemento fallico della struttura accolto dall’ Energia di Madre Terra.
Nelle Domus De Janas, dove le protomi taurine sono ovunque
Delle Tombe dei Giganti, dove il Sole/Toro energizza l’Utero/Taurino della stessa struttura.
Nei Pozzi Sacri, dove il Sole entra a fecondare l’Acqua.
Ed ecco che davanti a questa Venere bianca, stupenda, si vedono i simbolismi del maschile e del femminile, sempre insieme, a creare energia positiva.
La forma consente di tracciare due ” V”, una a contenimento dell’altra.
Solo il maschile consente l’espansione e la riproduzione.
E infatti, sulla forma della Dea Madre di Turriga, si possono tracciare benissimo, seguendo esattamente i profili che indicano questa forma, due V, con il vertice verso il basso, simbolo del femminino, ma ” incastrate”, come due matrioske, l’una dentro l’altra, ad indicare un ciclo che si ripete, due lunazioni, quindi l’inizio dell’espansione, della riproduttività, grazie alla presenza dell’ elemento iniziatico ed energizzante maschile.
Trovo questo messaggi subliminali, eccelsi, non ostentata.
Ma sempre tutti da interpretare, da decodificare, da osservare attentamente.
Discreti. Come il carattere dei Sardi che forse hanno taciuto su molte cose. Non istoriavano.
Ma hanno lasciato simbolismi ovunque, per chi li sa interpretare.
E a parte queste due splendide Dee Madri, tra le più importanti, ne abbiamo una terza.
Nata in silenzio.
Si tratta della statuina chiamata della ” Grazia”, o “la madre dell’ ucciso”, in bronzo, ritrovata nella Torre a feritoie Del Santuario Nuragico di Santa Vittoria, a Serri, risalente a più di 3000 anni fa.
Se pensiamo che Michelangelo ne scolpì una simile, la celebre “Pietà Vaticana”, nel 1498, direi che forse non abbiamo mai avuto niente da invidiare, in nessun campo, perché nella civiltà Sarda, molto si è sviluppato prima che altrove, e che, mentre gli egizi stavano sottoterra ad istoriare le loro magnificenza, i sardi, in giro qua e là, lasciavano segni della loro cultura ovunque, magari con qualche Dea Scarabeo in tasca, che poi, allegramente, gli stessi Egizi, avranno preso ad emulazione, 2500 anni dopo, per onorare la rinascita dei loro defunti.
Sono Dee Silenziose, vestite solamente della loro bellezza, senza ornamenti. Minimaliste.
Pregne di simbolismo.
Di vera Divinità.
Vestite di Sole e di Luna.
Ci sono tante cose che andrebbero riscritte.
Si comincia con il raccontarle diversamente, nel modo giusto.
Ma è già un ottimo inizio.

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