Simbolismo divinizzante, carnevale sardo

Simbolismo divinizzante, carnevale sardo

Simbolismo divinizzante, carnevale sardo

 

Simbolismo divinizzante, carnevale sardo

Boes, disegno di Tiziana Fenu©

 

Tiziana Fenu©

Il Simbolismo divinizzante del Carnevale Sardo

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Il Carnevale in Sardegna inizia ufficialmente la notte tra il 16 e 17 gennaio, e coincide con il rito del Fuoco.
Nei paesi della Barbagia, in particolare, in occasione della festa di Sant’Antonio Abate, il “Santo del Fuoco”, tra il 16 e il 17 gennaio, fanno la loro comparsa le maschere del Carnevale che si aggirano fra i grandi fuochi accesi nei rioni o nei sagrati delle chiese.
A Mamoiada inizia la danza dei Mamuthones guidati dagli Issohadores.
Ad Orani Sos Bundos con le loro maschere di sughero visitano i fuochi e ricevono su pistiddu, il dolce tipico preparato per S. Antonio e benedetto durante la processione.
Iniziano le danze intorno al fuoco, anche Sos Maimones, le maschere di Oniferi con i visi anneriti dalla fuliggine ricavata dal sughero bruciato.
A Ottana, abbiamo Sos Merdules, e a Samugheo, per citarne alcuni, abbiamo Su Mamutzone, S’Urtzu, S’Omadore, che escono proprio al calar della sera, così come fanno le maschere tradizionali fonnesi, S’Urthu e Buttudos, dopo “su pispiru“, il vespro della Santissima Messa serale.

Tutti radunati intorno al fuoco, perché dal Fuoco, dal Sacro Fuoco, inizia tutto.

Il carnevale sardo affonda le radici in periodi antichissimi, che risalgono al paleolitico, che partono da antichi rituali di caccia, dal rapporto tra uomo e Natura, con i cicli solari e lunari, con gli stessi animali usati come aiuto per il lavoro nei campi, con gli agenti atmosferici come pioggia e vento, che possono inficiare l’esito di un buon raccolto.
Il carnevale dei Sardi nasce dalla Madre Terra, dal suo stesso ventre.
Quel ventre benedetto che porta i suoi frutti, e quel ventre al quale si chiede rifugio e ritorno, al finire della vita terrena. Talmente sacro, da essere degno di alcune figure che si approccino ad esso, con la massima sacralità.
Su Componidori (“colui che fa sgorgare acqua dai cumuli” lo sciamano che fa piovere) del Carnevale di Oristano, viene ritualizzato e sacralizzato come una Divinità vivente, prima di poter chiedere a Madre Terra, di poter conquistare quel simbolo della sinergia tra sole e acqua, tra maschile e femminile, indispensabile alla terra, rappresentato da quella stella a 6 punte, che deve cercare di infilzare con “su stoccu”, il bastone lungo.
Attraverso un gesto che indica un accoppiamento simbolico tra un Dio Umano Androgino, che è quindi già un sei simbolico, unione di maschile e femminile, manifestato attraverso la bianca maschera asessuata, e il sei della stella a sei punte.
Due “6” che si uniscono in una copula e penetrazione sacra, a formare quel “Santu Doxi”, quel Santo Dodici, così sacro agli Antichi Sardi, che sarà di buon auspicio per tutti i 12 mesi dell’ anno.
La benedizione che seguirà, sarà simbolica, poiché benedirà tenendo in mano “sa pippia (dall’accadico “pi-pium” , sorgente) de Maiu”.
(“Mahhu” in accadico significa sciamano, folle, e non ha niente a che fare con il Mese di Maggio) composto da viole mammole e pervinca.
Nome che ricorda “Su Maccu”, il folle, la figura altamente rispettata presso gli Indiani d’ America dell’ Heyoka, lo Sciamano Sacro, il folle, l’ Uccello del Tuono, poiché capace di evocare e gestire eventi atmosferici come pioggia, vento, tuoni e fulmini.

Un rito-incantesimo, per favorire la pioggia.

E la forma di “Pippia de Maiu”, con quel mazzolino doppio composto come se fossero due triangoli che si toccano per il vertice, ricorda la forma del Sacro Vajra, che rappresenta il fulmine, l’ energia creatrice e dinamica che si genera dai due opposti, da maschile e dal femminile.
La viola mammola a rappresentare il Femminino e la pervinca a rappresentare il Dio Maimone.
Anticamente su Maimoni per essere di buon auspicio e propiziatorio per il raccolto, veniva portato in processione sotto forma di fantoccio come una specie di spaventapasseri, in una barella costituita da due canne incrociate, con al centro una corona di pervinca, che rappresentava la divinità della pioggia, su Maimone, appunto.
Veniva gettato nel ruscello per essere sommerso dall’acqua.
La pianta che si usava per addobbare su Maimoni era la Pervinca, che in sardo si chiama “Proinca” che è molto simile al verbo “proere”, cioè “piovere ” in sardo “I guerrieri che dominavano l’energia”.

Ed è in quel momento, in cui si vedrà il motivo portante di tutte le manifestazioni carnevalesche della Sardegna.
Lo stretto legame con l’animale.
La benedizione, verrà fatta, da su Componidori, con la schiena attaccata alla schiena del cavallo, quasi fosse una sella.
Sella in Sardo si dice “sedda” , ma abbiamo visto, come questa parola, “sedda” , sia estremamente simile alla parola “siddhi” , che sono le 64 Arti, discipline, abilità o perfezioni, dell’amore, descritte nel Kamasutra, che è il libro Sacro della Dottrina delle Vibrazioni, e che viene rappresentato graficamente, esattamente come la scacchiera di Pubusattile della Domus de Janas di Villanova Monteleone, con i suoi esatti 64 quadratini bianchi e rossi.
Su Componidori si adagia sulla schiena del cavallo, come una sella, per cercare quella integrazione/perfezione /abilità (che il suo ruolo di semi-Dio, gli richiede), con l’animale
Allora, si fa sella per lui, diventando tutt’uno, in nome di una investitura Sacrale che esige la massima integrazione degli Opposti.

Tra cielo e terra, la stella sospesa per aria, fa da elemento di unione.

Tra uomo e divino, attraverso una maschera che oblia per un po’ la sua identità umana, e per la quale, non può, per la durata della rappresentazione, posare i piedi per terra, talmente è simbolismo di sacralità.
Tra maschile e femminile, attraverso quella maschera androgina, che è insieme, maschile e femminile.
Tra uomo e Animale, tra cavaliere e cavallo, quando su Componidori si adagia di schiena su di esso, e diventa tutt’uno con la Bestia, nobilitando, così, simbolicamente, anche la nostra parte “bestiale”.
Prestandosi dolcemente a domare il cavallo.
Facendosi “sella” per esso, per portare la sua animalità ad un livello superiore, nobilitandolo.
Perché su Componidori può, è stato divinizzato con una investitura e vestizione regale.
Gli è stata messa una maschera che rappresenta l’energia divina, che non è né maschile né femminile.
È semplicemente sinergia creativa androgina, pura, inespressiva, bianca.
Come quella de su Isshuadores (ne ho parlato approfonditamente, in un mio precedente post, di queste due maschere.
Maschera, che ha il compito, avendo un’energia divina superiore, di equilibrare, disciplinare e mettere in riga, anche proprio in senso figurato, i Mamuthones, che rappresentano l’umano che porta addosso con sé, il peso (rappresentato dai 30 kg di pesanti campanacci legati alle bestie) greve della bestialità, dei bassi istinti.

Istinti che devono essere nobilitati e purificati.
La purificazione, che viene inaugurata con il falò di Sant’ Antonio. Come le maschere che hanno i Giganti di Mont’e Prama. La maschera bianca p-Ur-ifica, poiché riconduce all’Ur, all’Oro.
È un bianco che è un “colore/non colore”, acromatico, ma nel contempo è un colore di integrità di tutti i colori, poiché contiene tutti i colori dello spettro elettromagnetico.
È quindi un colore androgino, che ha in sé le due polarità.
E la maschera bianca ha questo potere divinizzante e purificante sull’umano.
Sicuramente era bianca anche la Maschera dei Giganti di Mont’e Prama.

P-Ur-ifucati, per essere degli esseri divini d’ Oro.

Divinizzati nel corpo con la Sacra Urina, Oro Archetipale, Fuoco Divino, nell’umano e divinizzati attraverso l’ investitura regale della maschera bianca.

Infatti ciò che da inizio al Carnevale è il Sacro Battesimo del Fuoco, dell’ Ur, che si apre con i fuochi Sacri di Sant’Antonio Abate, il 16 gennaio, di notte.

I rappresentanti dei Sardi.
I quattro Mori. Gli antichi Falasha etiopi, gli Iniziati discendenti dalla Regina di Saba e di Re Salomone ( sarà anche per questo che usano tingersi il viso di scuro?)
M-Ori.
M-Or.
M-ur.
Iniziati all’ Oro e al Fuoco.
Il Carnevale inizia con questi Sacri Fuochi perché è il carnevale – Carresegare, significa “rivolta degli umani”, poiché ha alla base l’ accadico “quarnu(m)”, che significa “potenza, potere degli umani” , + ” sehu”, (“rivoltarsi, distruggere, dissacrare il Potere, i potenti”).
Quindi una rivolta non violenta contro tutto ciò che gli uomini violenti hanno fatto al popolo durante l’annata, dove anticamente si facevano dei sacrifici animali, per ingraziarsi la benevolenza dei cicli stagionali, di Madre Natura e Madre Terra.
Ma è proprio questo Sacrificio, che viene invece celebrato, ogni anno, in una giusta interpretazione proprio della parola” sacrificio”, proprio qui in Sardegna.
Come un ritorno alle Origini, alla vera Identità di “Esseri solarizzati e divinizzati”.

Sacrificio significa “rendere Sacro”, “Sacrum facere“, divinizzare.

Tutta la pantomima che viene inscenata, è un tentativo di divinizzazione del lato bestiale, rappresentato dalle maschere più scure, più animalizzate, da parte di chi ha raggiunto una maggiore consapevolezza, come fanno is Isshuadores con i Mamuthones attraverso “sa Soha” il lazzo.
Come se fossero delle divinità regolatrice, che riportano la giusta armonia e il giusto equilibrio nel microuniverso pastorale.
Gli stessi Mamuthones collaborano a questa sacralizzazione iniziatica.
Il loro passo cadenzato, indica un tentativo di dominare la forza selvaggia del loro lato animalesco, che non è ancora stato addomesticato dal Fuoco divino purificatore, quello che invece anima is Issohadores, che sono gli Iniziati, i divinizzati.

“Mamuthone” deriva dalla base ugaritica “Motu” , un Dio demoniaco orientale che poteva anche causare morte. In Sardegna diventa Mommoti, e poi Mamuthone, una versione accrescitiva, a indicare la morte dell’anno vecchio, e l’ingresso del nuovo.
E anche , “Mum-mu-thòne” (radice reduplicata in termini sacrali) + sum. “tun” ‘contenitore, nuvola’, ad indicare la “grande nuvola di pioggia”.
E ancora, Mamuthone come agglutinazione di “ma” (‘bruciare’) + “mu” (‘far rumore’) + ” tu” (‘leader’, nu ‘creatore’).
In questo senso, il significato complessivo sarebbe ‘Dio Creatore da bruciare con frastuono (Dedola).
Mi stupisce sempre la straordinaria polivalenza dei termini sardi.
In questo caso, è straordinario come Mamuthones, significhi al contempo, Acqua e Fuoco.

Ma io, in questa rappresentazione dei Mamuthones presi al lazzo, ci vedo il lazzo dell’Ank, il cappio, il simbolo sacro della Vita egizio, (che in questo caso, così egizio potrebbe non essere, visto che il Carnevale sardo, affonda le radici nel Paleolitico, addirittura), la Chiave della vita, della Consapevolezza, che contiene, in una sola immagine, il cerchio e la croce.
È il segno della vita, un giuramento, un patto, tra umano e divino.
Era il Rek, o Arca, l’ Utero primordiale che deriva dal geroglifico Ru, la bocca, l’ entrata, il luogo di nascita nel quadrante settentrionale del Cielo, dove nasce la Madre delle Madri, che ha in sé l’ energia maschile e femminile.
Con questa gestualità della presa per il lazzo, della Morte rappresentata dai Mamuthones, si sottolinea la potenza della vita, rappresentata dagli Isshuadores, con il loro “lazzo/Ank“.
A dimostrare come l’uomo sacralizzato, divinizzato, Solarizzato, può essere in grado di vincere sulla morte, di cavalcarla, di prenderla al laccio, di vincere il male, l’animale demoniaco.

Poiché l’uomo divinizzato è un iniziato.
I colori che porta, bianco, rosso, marrone, nero, sono i colori dei gradi delle discipline marziali orientali, fino ad arrivare all’ultimo grado, (sono chiamati Dan in molte arti marziali. Dan come Shar-Dan.
Chi resta nell’oscurità, non ha la possibilità di risvegliarsi.

Il Carrasegare offre una possibilità di riscatto.

Anche le maschere del Carnevale di Orotelli, Sos Thurpos, (tzurpos, ciechi), sono totalmente neri, con un pastrano di capra nera, cappuccio nero e viso nero di carbone.
Il nome deriverebbe, dalle etimologie dal babilonese “t-upru”, che significa “zoccolo di bestia”, e, sempre babilonese, da “b-urpu” (sequestrare), più il babilonese “surpu(m)” , che significa “legna da ardere” (Dedola).
Da qui, la pantomima del primo thurpu, che rappresenta praticamente un tizzone vivente vagante, che imita l’animale che scappa, mentre l’altro thurpu, cerca di prenderlo al lazzo.
È ancora una rappresentazione di chi è risvegliato, che cerca di avere la meglio su chi non lo è, su chi è cieco, su chi ha istinti animaleschi e ancora vaga alla cieca, nell’oscurità.
Una lotta tra Bene e male, tra vecchio e nuovo (che ripropone il ciclo delle stagioni, con l’avanzare dell’anno nuovo che scavalca il vecchio) .
È la stessa rappresentazione simbolica che avviene tra Merdules e Boes, le Maschere Carnevalesche di Ottana.
Su Merdule, con le sue pelli bianche, la maschera nera antropomorfa in legno di pero (sacro alle divinità femminili della fertilità), spesso resa deforme nell’espressione, rappresenta “su mere” , il padrone del Boes, del bue (“mere” , padrone, + “ule” , bue).
E anche in questo termine, Dedola, sottolinea una derivazione comune a Maimone e Mamuthones, ricollegandolo all’ebraico” maim” di acqua, e all’accadico “Mamu” (acqua) , anche se poi il termine Merdule è degenerato in dispregiativo, come vile padrone.

Tra di loro, la Filonzana, che nella lotta tra il Bene e il male, decide quando e come tagliare il filo dell’esistenza umana.

Un’altra figura simile a queste, in cui il “bene” cerca di domare il male, è quella de S’ Urzu, accompagnato da “S’ Omadore”, il domatore, di Samugheo.
Quindi, impersona la bestialità del desiderio sessuale, difficile da dominare.
A Samugheo stesso infatti, ci sono un altro tipo di Mamuthones vestiti con pelli di capra e copricapo di sughero sormontato da corna caprine che si scontrano tra di loro, mimando una danza, di predominio, di gerarchizzazione, e di invocazione della pioggia (chiaro simbolo di fecondità), ritmata da un grosso e nodoso bastone che invoca la pioggia, intorno alla coppia Urzu-Omadore.
I guardiani degli Urzu sono i Buttudus, a Fonni, i quali, tutti vestiti di nero, con cappuccio, tengono prigioniero l’Urtzu.
Facendo derivare la parola Buttudos, dall’accadico “utukku”, Dedola ne spiega l’etimologia come “demone malvagio”.
In quest’ottica, rientra perfettamente il ruolo di questi Buttudos, che, a mio avviso, fanno da contraltare, al tentativo di purificazione e divinizzazione dei personaggi “animaleschi” del Carrasegare sardo.
Ci doveva pur essere un elemento che fungesse da vera malvagità, e che cerca di impedire il risveglio di queste creature animalesche eppure così in simbiosi con l’uomo.

Tutto, nel Carrasegare Sardo, ruota intorno alla funzione purificatrice e iniziatrice del Fuoco.

L’ inizio ufficiale delle maschere, “sa prima bessia”, la “prima uscita”, l’inizio del Carnevale Sardo, corrisponde proprio al 6 Gennaio, con la figura femminile portante, ma sempre impersonata da un uomo, della Filonzana, dalla Jana che tesse il filo della vita, la nostra Befana, o Be-Fanes, è per il 16 gennaio, festa di Sant’Antonio Abate, colui che, come Prometeo, ruba il fuoco agli Dei, per donarlo agli uomini, scende negli Inferi a salvare i peccatori, e a portare il Fuoco Sacro agli uomini, per risvegliarli.

Perché la via del Fuoco, è l’unica via di risveglio.
Le Maschere fanno Tre giri orari intorno al fuoco, e tre giri antiorari, 3+3.
Il sei, unione ierogamica degli opposti.
Come il fiore della vita intagliato nella maschera dei Boes.
Sant’Antonio Abate, è rappresentato con un grosso bastone di ferula a forma di Tau, il ventiduesimo Archetipo, l’unione degli opposti concretizzata.
La Sardegna è la terra de sa ferula.

Tutto fa pensare che questo antichissimo rito si sia sviluppato qui in Sardegna per primo.

D’altronde, le maschere carnevalesche, o quello che fu un primo abbozzo di maschera, rimasto in uso ancora oggi, con il viso dipinto di nero carbone, la celebrazione delle divinità della natura, della vegetazione, della pioggia, avvenivano tramite l’agitare e il battere sul terreno dei bastoni, sui quali intrecciare edera o pervinca.
E il nome di questo bastone alchemico che connette con il divino, con la nostra ghiandola pineale, ancora oggi porta il nome di “tirso”, proprio come il nostro fiume principale.
Sulla cui sommità è rappresentata la ghiandola pineale. La Custode della nostra memoria divina.
Così come lo è l’acqua, l’acqua del Tirso fiume, che è bastone, il Sacro bastone del tirso, con la ghiandola pineale sulla sommità.
Perché attraverso l’acqua, si riporta a memoria, la natura divina, come rappresentano i gradini dei pozzi sacri.
Si scende per un tot di gradini ( 24 e 12, nel pozzo di Santa Cristina), come esseri umani, e si risale, simbolicamente, attraverso quei gradini superiori, sempre in numero dimezzato, poiché, nell’ acqua, così come nel fuoco, l’ umano è stato alleggerito e Purificato, e la scala verso il Divino, è più breve.
Poiché se Tirso è fiume, è pure fulmine ( “frumi/frumini”).
E il fulmine è Memoria, potenza della memoria, scettro di Zeus, con il Vajra, che conosciamo anche in Sardegna, e rappresentato da quella conformazione a ballo tundu (le “clessidre” allineate, che indicano la sinergia dinamica del maschile e del femminile, che si ripropone intorno al Fuoco trasmutatore e iniziatico del falò del 16 gennaio).

Affinché la trasmutazione degli istinti bestiali avvenga.
Affinché si propizi la pioggia.
Affinché il Divino, attraverso la maschera entri in comunione con l’umano, e si impossessi di esso.
La pelle di animale addosso serve per propiziare la pioggia, poiché non teme l’acqua.
Il Carnevale Sardo viene benedetto con il Fuoco e con l’acqua.
E riporta all’ Origine, quello che è il vero significato della parola “sacrificare”: “sacrum facere”:
“Rendere sacro”
“Sacralizzare”.

Non un sacrificio, macchiato di sangue, che pure è simbolo di fertilità, come il sangue mestruale al quale si sacrifica l’ovulo non fecondato che poi muore, ma un tentativo di rendere sacra la bestialità degli Umani, attraverso delle figure divinizzate, come su Componidori e su Isshuadore, che hanno già “preso i gradi”, visibili nei colori delle loro vesti, del percorso iniziatico, iniziato con il battesimo dell’Ur, del Fuoco.
Un percorso di p-Ur-ificazione.
Purificazione che avviene anche attraverso i cicli naturali di vita e morte.

I Colonganos, di Austis (NU) con le spalle carichi di ossi, e sul viso fronde di corbezzolo, il sempreverde della Sardegna , danzano per richiamare il Dio della vegetazione, quel Dionisio che nel Neolitico era il Dio Solare Taurino, con bastoni e forconi intorno ai boia totalmente vestiti di nero, dei Sos Bardianos, durante l’uccisione simbolica de S’Urtzu, vestito con pelli di cinghiale, che poi risorgerà.
Il cinghiale è considerato Sacro.
Uno psicopompo “sacerdote”, che iniziava ai Misteri della vita, e simbolo della Dea Madre (cinghiale bianco /scrofa bianca).
Un Animale, che ha in sé l’energia del Fuoco e dell’acqua, del maschile e del femminile, tant’è che si nutre dei frutti che cadono dall’albero di Mugna, una grande quercia che produce magicamente mele, nocciole e ghiande nello stesso tempo.
Io in questa uccisione simbolica del cinghiale, da parte dei Bandianos, tutti vestiti di nero, dei Bandianos, vi vedo l’uccisione della consapevolezza, rappresentata dal cinghiale.

Chi è ottenebrato dal buio (i vestiti totalmente neri), non può accedere ai Misteri.
Come il ciclo vita/morte che si sussegue nell’arco dell’anno, con l’alternarsi delle stagioni e con il ciclo delle lunazioni.
Riti che risalgono a molto prima dei riti Dionisiaci, dei Saturniali, dei Misteri Eleusini.
Il Carrasegare sardo ha già dai primordi, l’impronta di questi Sacri Misteri, allo scopo di tessere un unico legame con la divinità, in estrema segretezza.
Incantesimo celebrato con fuoco, inni, danze, acqua, invocazioni.
La ripetizione della rappresentazione rafforza la probabilità di un esito felice.
Rappresentazione alla quale si affida la simbologia delle maschere.
È necessaria la messa in scena, che nel corso dei secoli si è snodata attraverso varie rappresentazioni, che simboleggia sempre lo stesso rituale sacro: la morte necessaria alla vita.

Sant’ Antonio è rappresentato con un maialetto affianco. E questo richiama il grufolamento del porco/cinghiale, sul terreno, non appena viene bagnato dalle piogge.

Ho accennato alle figure principali del Carnevale sardo, perché sono le più simboliche
Tra queste, aggiungerei quella se “S’iscultone”, il basilisco serpente, importante, perché era il simbolo dell’antica tribù di Dan/Shardan.
Non dimentico il Bundu, di Orani.

Viaggiare attraverso il Carnevale Sardo mi ha fatto capire quanta bellezza e precisione, nell’attenzione al dettaglio e alla simbologia, che si apre con la benedizione del fuoco e dell’acqua, e si chiude con il fuoco, con la messa al rogo del fantoccio di carnevale (l’Ecce omu a Fonni per esempio).

Il Carnevale è come il momento della verità.
Ciò che viene portato in scena, specie nel Carnevale Sardo, che rimane comunque abbastanza legato a questa dimensione ancestrale agropastorale e misterica, ha una forte valenza simbolica, al di là della spettacolarizzazione.
È un momento di forte trasmutazione alchemica, di grande purificazione.
E ogni rappresentazione rimanda ad una ricerca di un equilibrio, al rinnovo di un patto iniziale tra uomo, divinità e animale.
Una triade sacra, che ha portato avanti lo sviluppo delle civiltà, la comunicazione fluida, tra terra e cielo, tra le dimensioni dei vivi e dei morti.
Una costante ricerca di equilibrio tra opposti.
Perché solo nel dinamismo sinergico delle due polarità vi è creazione.
E il Carrasegare Sardo, è Creazione allo stato puro, poiché entrare in esso, parteciparvi, essere acchiappati da un Lazzo/ Ankh, significa essere parte di un rito che si rinnova, di una memoria sempre presente, e che viene resta manifesta dalla straordinaria Bellezza tribale e ancestrale delle nostre Sacre Maschere.

 

 

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