Fanatico, chiodo fisso, Università

Fanatico, chiodo fisso, Università

Fanatico, chiodo fisso, Università

Fanatico, chiodo fisso, Università

Il volo, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

Fanatico, chiodo fisso, Università

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Il fanatico è un soggetto che persegue una sua idea immutabile, un chiodo fisso, che lo spinge a negare verità a qualsiasi moto avverso alla suddetta idea che si è fatta tatuare nell’anima.
Ci sono dunque fanatici di qualunque tipo disposti a nefandezze varie pur di sentirsi dalla parte della ragione.
I fanatici religiosi sono disposti perfino ad uccidere per la loro idea di dio.
Ma l’errore di pensare che il fanatismo sia soltanto proprio delle persone incolte o manipolate, è piuttosto comune.
Il fanatico che vanta erudizione è infatti un soggetto da non sottovalutare, oltretutto diffusissimo. Esplicita una tesi e la sostiene ad oltranza. Appena qualcuno manifesta un’idea che soltanto può creare qualche increspatura nella sua tesi cristallizzata da secoli di fede indefessa fiduciosamente sottomessa, sigillata a qualunque apertura mentale, ecco il fanatico dare dell’ignorante all’interlocutore per vie traverse. Siccome trattasi di fanatico erudito o presunto tale, che magari ha una pagina dedicata ad un solo argomento, nei social cerca di darsi un contegno più che decente e suggerirà con fare saccente a chiunque non la pensi come lui di “leggere” questo e quell’altro autore che hanno contribuito alla costruzione ideale fantasmagorica e fantastioliosa del suo meraviglioso fanatismo intoccabile che ovviamente sarà chiamato cultura mentre la tesi altrui diventa ignoranza.
Così il filosofo parmenideo convinto di essere il depositario del segreto di ogni ontologia, si scontrerà col dubbioso, con lo scettico, con il polemista, dichiarandogli guerra in caso di una mancata conversione di quest’ultimo alla filosofia parmenidea. Sì, perché il fanatico non solo non accetta che non si possa essere d’accordo con lui e vedere le cose da un punto di vista differente, ma pretende con arroganza di far cambiare idea al suo interlocutore. In caso di fallimento, dirà che è l’interlocutore ad essere un imbecille integrale, un ignorante che non ha mai letto nulla in vita sua. Spesso questo giudizio viene formulato senza neppure una conoscenza specifica dell’interlocutore, ma questo poco importa. Il fanatico erudito è particolarmente convinto che se chi lo contraddice non ha presumibilmente letto e incorporato i suoi stessi libri, in pratica non ha letto nulla e capisce meno di zero. Il punto di vista del fanatismo ovviamente è sempre unilaterale, poco aperto alla multidisciplinarità, incancrenito in una sorta di bozzolo dentro cui si agita un insetto incompiuto che viene denominato anticipatamente creatura, sulla base di constatazioni aleatorie, non suffragate da sufficienti prove che il bruco non sia morto prima di aprire le ali.
Il fanatismo erudito spicciolo da social semplicemente consiste nel dare dell’ignorante all’avversario. Il fanatismo accademico invece è molto più sottile anche se viaggia spesso coi paraocchi. Innanzitutto l’accademico non parla sui social coi comuni mortali perché ritiene di essere cento gradini sopra tutti, al massimo consente a chi lo segue di postare i suoi articoli in cui sostiene una tesi che si accorda coi suoi studi: se è studioso di tradizioni popolari, vedrà un argomento solo dal punto di vista delle tradizioni popolari; se è un linguista vedrà il mondo attraverso la sola filologia, etc. in barba alla lezione sui collegamenti tra diverse discipline. Ad esempio, Bachtin, che più di qualche cosa buona l’ha detta ai suoi tempi non-social, ad un certo punto però si perde e vede il comico e il carnevale dappertutto, perfino in Shakespeare, ossessivamente. Il carnevale diventa come il prezzemolo, insomma sta bene su tutto. Ogni testo che parli di morte e rinascita è per Bachtin un carnevale, perché il carnevale è una morte non ufficializzata che porta ad un nuovo ciclo e se uno studioso nega che stia ovunque è perché non avrebbe capito l’essenza dell’arte.
Ancora più divertenti sono i linguisti che interpretano un testo o la storia soltanto sulla base della lingua e se trovano delle assonanze linguistiche, pensano, senza ausilio di altre prove certe che non siano strettamente filologiche, di aver scoperto l’acqua calda in Siberia. Luigi Russo commentando il Proemio del Decamerone chiamava “girigogoli barocchi e gravi” certi suoi periodi, attribuendo questo difetto stilistico al “riflesso del suo religioso superficiale sentire”. Non si comprende come si possa legare, in modo così leggero, un eventuale difetto stilistico con una concezione religiosa:

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In Boccaccio, nonostante la pedanteria del costrutto, si pone una dimestichezza un po’ grossa tra dio e un uomo involto nei piaceri delle fatiche d’amore, e vengono fuori dei girigogoli barocchi e gravi riflesso di quel suo religioso superficiale sentire. Dio è subito rapidamente dimenticato, e resta un puro e semplice cappello proemiale… la protasi teologica è propriamente schiacciata dal giro anfrattuoso del periodo, dove tutto ragiona soltanto d’amore…” (G. Boccaccio, Il Decameron a cura di Luigi Russo, postille critiche, Sansoni, Firenze, 1944, p. 273).

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In realtà Boccaccio è tutt’altro che superficiale, non ragiona “soltanto d’amore”, ma è una miniera polemico-satirica di inesauribile efficacia, ricca di sensi simbolici che sono difficili da vedere per chi ha una visione unilaterale del mondo, anche se è un fanatico accreditato che insegna all’Università e che viene citato ancora in tutte le antologie della cultura ufficiale.

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Il prof. Bartolomeo Porcheddu, autore, ricercatore, ed insegnante di Lingua Sarda, in un suo articolo scrive:

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Tolomeo nella sua “Geografia” conferma le fonti egizie e colloca i Sykoulensioi proprio nel Sarrabus. I Sulcitani del Sarrabus erano omonimi di quelli residenti nell’Iglesiente ed entrambi dovevano il proprio coronimo al Solco (Surcu) sacro della terra. L’etnonimo “Siculus” o, meglio, “sulculus”, in cui spesso la liquida /l/ è sincopata, viene generalmente associato al popolo dei Siculi della Sicilia, ma è verosimile che siano stati i Sìculi siciliani a prendere il nome dai Siculi sardi, quando quest’ultimi, ancora nel periodo del Bronzo, erano dominatori del Mediterraneo e pertanto anche delle coste siciliane, dove dalla Sardegna sud orientale si faceva rotta verso Lillybaeum, l’attuale Marsala, chiamata dai Sardi “Lillu” (giglio sardo) su cui è posato il “Baeu” (insetto). Ancora oggi, il cognome Galia è presente nella Sicilia occidentale, proprio a Trapani ed Erice, località direttamente collegate alla rotta sarda dei Galilensi.

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Tutto molto interessante, e potrebbe anche essere vero. Peccato che il professore, a parte il punto di vista unilaterale linguistico che fa derivare “Siculus” da “sulculus“, non abbia esposto uno straccio di autentica prova sulla derivazione reale dei Siculi della Sicilia dai Siculi sardi. È probabile, è verosimile… Sì, ma la prova dov’è? La linguistica non può spiegare tutto e il percorso multidisciplinare che aiuta a valorizzare l’ipotesi dov’è nell’articolo di Porcheddu? Se pure fosse esatto ciò che sostiene, mancano comunque le prove multidisciplinari perché lo studioso valuta solo un punto di vista, il suo, di derivazione linguistica. La visione rimane così parziale, riduttiva e unilaterale e non tiene conto di altre discipline. Sembra che ciascun accademico, arroccato nella sua torre d’avorio, lavori per affermare la sua tesi con gli strumenti che ha a disposizione, solo quelli della sua materia, dimenticando che ci sono anche altri punti di vista e altri strumenti.

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Rivista Il Destrutturalismo

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