Insignificanza cosmica contro ismi

Insignificanza cosmica contro ismi

Insignificanza cosmica contro ismi

Insignificanza cosmica contro ismi

La luna, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

Insignificanza cosmica contro ismi

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La consapevolezza della propria insignificanza cosmica diventa una tappa fondamentale dell’esistenza di chi non si sente atterrito dall’infinito. La dimenticanza del sostanziale quanto essenziale concetto dell’ente come particola di un universo ancora del tutto sconosciuto, l’oblio della propria condizione di cellule fluttuanti nel vastissimo ed insondabile panorama universale di altre cellule, crea severi problemi di narcisismo patologico, con gigantopatologia del sé esuberato, illusoriamente gonfiato e strepitato in percorsi di assurda iper-valutazione.
La vita dei fossili insegna la nostra piccolezza. Non siamo niente nell’economia generale dell’universo. Questa non è un’ipotesi come quella di dio, ma una certezza, forse l’unica.
La scienza ci ha fatto comprendere la stupidità di ogni prosopopeico antropocentrismo.
L’uomo tutto, l’uomo centro, l’uomo figlio di dio, l’uomo creatura speciale, l’uomo su e giù sempre e solo lui, che uccide, si dimena, odia, ama, procrea, distrugge la natura sentendosi importante, in realtà occupa uno spazio fisico infinitesimale rispetto all’infinito, quest’uomo in buona sostanza è nulla, granello di sabbia o punto di polvere.
Chi non ha la precisa consapevolezza della propria insignificanza cosmica, vive perennemente nella favola del sé, ossessivamente rinnovata dai gestori delle tv di Stato e private; dai pubblicitari; da certo tipo deteriore di produzione cinematografica che coltiva il culto tout court della personalità; dalle dittature, basate sul carisma del dominatore e dalla letteratura spazzatura che si occupa di processi sentimentali di quart’ordine senza veicolare alcun ulteriore significato.
Lovecraft nei suoi racconti horror spiega molto bene quello che è stato definito cosmicismo, ossia l’insignificanza dell’uomo nell’ampio, infinito schema dell’esistenza intergalattica. Siamo alla mercé del cosmo, puntini senza importanza.
Questa riflessione cosmica ci fa ridiscutere lo stesso concetto di fama che viene miseramente a cadere come illusione antropocentrica veicolata dall’uomo per l’uomo. Il cosmo è indifferente alle categorizzazioni umane, alle etichette dei puntini su puntini che si illudono di creare una punteggiatura concertata e che sconcerta non si sa bene chi e perché.
La prosopopea di chi sostiene che l’uomo è al centro dell’universo, è ridicola. L’universo sta dove sta, in nessun posto e in tutti. Non ha alcuna necessità di un centro, di un inizio di una fine, nessuna particolare esigenza di conoscersi e non si minimizza e ridicolizza nella coscienza umana, anche perché esiste prima dell’uomo. E a quanti sostengono che è sempre l’uomo ad accorgersi della vastità dell’universo, si può obiettare che all’universo non importa veramente un fico secco di quest’uomo che si vanta di riuscire a cogliere la sua immensità. Cogliere poi… Cosa vogliamo cogliere che sappiamo a malapena poche cose sul nostro sistema solare, uno solo dei chissà quanti sistemi solari dell’immensa galassia. Non sappiamo praticamente nulla con buona pace degli antropocentristi, dei fanatici della superiorità mentale dell’uomo su tutte le altre specie, superiorità ancora tutta da provare, dato che il punto di vista è unilaterale e fazioso.
L’insignificanza cosmica fa paura perché è l’unica certezza che non esista un mondo di certezze e che siamo preda dell’infinito, per cui per molti è un’idea inaccettabile. Ecco che nasce l’uomo super-speciale, sostituto degli dei della natura, della Grande Madre Creatrice, ecco Dio, l’unico, quello che ha la forma fisica di un uomo, dato che è stato inventato dall’uomo, ma non è più uomo, è l’oltre-uomo che muore senza morire, che non comunica niente sapendo tutto (il famoso mistero della fede), che consola, rassicura, dà stabilità a ciò che stabile non è. La perdita della consapevolezza della fragilità e della debole insignificanza fisica e mentale di fronte al tutto, ha reso l’uomo superbo, egocentrico, egoista, assettato di fama, di successo, tutte cose destinate alla polvere. Paradossalmente la religione ha distrutto per sempre l’innocenza dell’uomo rendendolo stupido, ha catechizzato la sua umiltà, rendendolo schiavo dell’immagine riflessa di un sé che riesce ad andare oltre la morte, oltre il tempo, oltre lo spazio.
Di fatto però morte, tempo e spazio non sembrano troppo interessati alla sorte del nostro dio di carne e sangue, alle nostre illusioni di vita ultraterrena, alle nostre divisioni temporali scandite da calendari invero molto pratici e convenzionali, ma piuttosto assurdi nella sostanza. Il cosmo è indifferente.
L’antropocentrismo è il penoso tentativo di dare un sentimento o un’impronta umana all’infinito che non ha alcun desiderio di farsi intrappolare in un pensiero perché non gli importa nulla né del pensiero né di altro.
Stare al centro dell’esistente non è stare, non è essere più o meno speciali, è illudersi per non morire di paura da granello di sabbia che si guarda allo specchio, perso nell’abisso di un universo sterminato senza inizio, senza fine, senza centro, senza senso.
Coltivare ogni giorno pillole-sentimento della propria insignificanza cosmica è un buon esercizio contro i vari ismi: narcisismo, egocentrismo, ballismo, assenteismo, arrivismo, imperialismo, neocolonialismo, catechismo, confusionismo, fanatismo, raccomandazionismo, razzismo, accademismo, abusivismo, abbandonismo, etc. etc. Una pillola la sera e mezza la mattina, contro l’auto-apoteosi e le nevrosi da uomo speciale faranno miracoli con buona pace di Dio.

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