Concorso Destrutturalista, vincitori, motivazioni

Concorso Destrutturalista, vincitori, motivazioni

Concorso Destrutturalista, vincitori, motivazioni

 

Concorso Destrutturalista, vincitori, motivazioni

Poesia Destrutturalista, elaborazione grafica Gero La Vecchia©

 

La redazione©

Concorso Destrutturalista, vincitori, motivazioni

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Paesaggio

direbbero di noi le gote rosse,
di filastrocche abbandonate sulle giostre,
dell’euforia tirata a sorte
oppure delle fughe tra le onde
e poi per tempo,
nel manifesto di un mutante malinteso
si prestano alle critiche del vento,
giù per il volto
in nuovi voti,
tappeti distillati sullo sfondo,
prima del tuono
dopo gli scontri tra i giganti,
cumulonembi e pianto,
per gravità del ramo
all’avaria

(Khan Klinsky)

 

Come si può conciliare lo sperimentalismo lessicale senza rinunciare alla sferza di un ritmo prevalentemente tridecasillabo, pur svincolato dall’isometria grafica delle linee; è questo che colpisce nell’autore, oltre alle studiate assonanze dove abbondano le vocali di timbro scuro accostate a reiterate rotanti (rosse/giostre/ sorte) o avulse dal loro graffio (volto/voti/sfondo/tuono) per poi passare in explicit al timbro aperto (giganti/pianto/ramo/avaria).
Contenustisticamente resta un velato messaggio di infanzia e giovinezza perdute nel fisiologico gioco degli equivoci e di promesse dal tempo disattese, ben rappresentato forse dalla metafora finale della massa ponderale di un albero che veicola significati legati alla sfera emotiva dello scrivente che avverte nel finale un senso di decadimento: “avaria”, parola che segnala il disagio esistenziale, la negatività del vivere nel mutare del tempo e nell’abbandono dell’eden forse un po’ forzato dell’infanzia soggetta a trasformazioni veicolate da immagini naturali minacciose: “cumulonembi”, “le critiche del vento”, “la gravità del ramo”. La crescita si risolve in un “mutante malinteso” che deve sostenere, suo malgrado, il peso della vita. Poesia intimamente universale. Tra metafore assonanze e allitterazioni, tra echi moderni e antichi, le età della vita si succedono rapidamente, non senza lacrime (“pianto”), esprimendo con lucidità una verità non banale e scontata (“filastrocche abbandonate sulle giostre”).

 

DITTICO. A TE
1.
Il nostro – oggi – perpetuo mobile. Apocrifo
Il tuo appello di passione,
avendo raggiunto le mie orecchie,
multiplemente rinforzato –
riflesso tornerà a te –
Ulisse sulla tolda;
slegato
abbraccia l’ambita serena –
che sono io
dal tuo gemito attirata,
da me
– la luna –
multiplemente rinforzato.
2.
Il nostro – oggi – perpetuo mobile. Mantra
Il tuo “om” che mi provoca,
avendo raggiunto le mie orecchie,
multiplemente rinforzato –
riflesso tornerà a te –
Ulisse sulla tolda;
slegato
abbraccia l’ambita serena –
che sono io
dal tuo “om” riattirata,
da me
– la luna –
multiplemente rinforzato.

(Olga Ravchenko)

 

Intelligente ribaltamento della dicotomia mitologica Odisseo/Sirena con la divinità non ammaliatrice, ma ammaliata e purificata nel contatto sostanziato dal pianto sommesso dell’eroe. Il legame catartico tra le due polarità non necessita di impedimenti e vincoli: l’uomo è affrancato dai legacci epici sul ponte della nave e la sua invocazione sacra di impronta Vedica va essa a toccare l’apparato uditivo della creatura sovrumana. Interessante la mistione del castiglianismo “multiplemente” che dona ulteriore originalità e morbidezza al testo. Il richiamo al sanscrito Aum o Om (ॐ), sillaba sacra, in questo caso rinforzata, solenne affermazione e riaffermazione che viene pronunciata all’inizio o al termine di una lettura dei Veda, rende l’idea dei riferimenti simbolico-spirituali e della profondità dei versi tradotti dal russo. La poesia in lingua originale è infatti in lingua russa. Nonostante la traduzione, il testo mantiene inalterato il suo profondo significato spirituale e la sua ansia panica di libertà, con quell’Ulisse riproposto alla vita “slegato”. In una lunga strofa quasi duplicata Ratchenko riassume la storia della sacralità, dai Veda (“mantra”, “OM”) ai Vangeli (“apocrifo”), via il mito greco di Ulisse, a indicare in absentia il venir meno del sacro nel mondo contemporaneo. Del mito di Ulisse, tra i più rivisitati in letteratura, ci è proposta una nuova, affascinante lettura.

 

L’ammazzacaffè

Intenso godimento ebbro io provo
nell’ingollar cotenne irsute, polipi glabri
avvoltolare vermicelli alla forchetta
fare scarpetta, intingere per ben pane nel sugo.
Provare ai denti quanto sia “dolce il naufragare”
tra i flutti di un purè ricco di burro
e abbandonarmi così con far lascivo
a suggere lumache via dal guscio
dare l’assalto alle procaci cosce
calde di brace e a uova strapazzate
fare impazzire le cozze, far del male alle mele
lanciare fragole in volo per ingoiarle intere.
E non m’importa di tovaglioli e orpelli senza senso
mi ungo il mento? tanto lo posso nettàre con la lingua
e mai do tregua a lasagne che trasudan besciamella
alle patate a garganella al forno con il timo.
E ancora vino a secchi, acqua alle rane
finché l’infinita fame non s’addormenti
con la testa abbandonata alla tovaglia
plachi la voglia di provoloni, burrate e mozzarelle
forse un dessert o uno stufato di frattaglie
potrebbe riempire il mio gran vuoto
giusto un timballo o un pollo in fricassea con tante olive
e se ancor vivo, una mousse di more e un’omelette
prima di un’enorme caraffa di caffè
sperando che il suo celebre assassino
– sì, proprio lui: l’ammazzacaffè –
non voglia oggi uccidere anche me…

(Roberto Marzano)

 

La dinamica del ventre di rabelaisiana memoria viene qui riproposta con versi tesi al comico, al faceto significante e irriverente che esplica la propria carica poetica attraverso il cibo, trastullo ludico-giocoso del poeta, materia crassa su cui giocare per creare assonanze e significanze che strappano una risata, facendo riflettere. Come scriveva lo storico Estienne Pasquier in riferimento a Rabelais: “Sic homines, sic et coelestia numina lusit, vix homines, vix ut numina laesa putes.” Ha giocato con gli uomini e gli dei celesti, né gli uomini né gli dei sembrano essersene offesi.
Come si riesce ad unire vis irridente a perizia tecnica sostanziata di assonanze che sferzano il ritmo del componimento; di rado si legge un tal mix di originalità contenutistica, ironia e tecnica compositiva negli autori contemporanei; e le assonanze tra l’altro sono variegatissime ed intelligentemente poste in asimmetria alternata alla simmetria (si va da un “forchetta” telestico abbinato a uno “scarpetta” acrostico, si passa da un “avvoltolare” acrostico a un “naufragare” telestico, e poi “purè e burro” nello stesso verso, e poi le sibilanti sonore geminate di “strapazzate, impazzire e cozze”, quindi la parechesi “male/mele” che si accosta all’omeoteleutia liquida di “fragole” con assonanza attigua al verso successivo con “intere” e le perfette simmetrie telestiche distanziate di “besciamella/mozzarelle, tovaglia/frattaglie”, fino a “omelette/ caffè/ ammazzacaffè/anche me”). Marzano divertente, urticante e tecnicamente competente. Il poeta è solito avvolgere il lettore con una spirale maliosa di immagini ironiche e dissacranti, che come le vere filastrocche cela una verità tutt’altro che rassicurante: in primis, quel “mio gran vuoto” (che non si riferisce solo alla fame atavica, elemento caratterizzante delle opere di Rabelais), ma soprattutto la morte (“il suo celebre assassino”, “l’ammazzacaffè – non voglia oggi uccidere anche me”).

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Rivista Il Destrutturalismo

Video – The Black Star of Mu

DESTRUTTURALISMO Punti salienti

 

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