Taormina, Il sorriso del tulipano

Taormina, Il sorriso del tulipano

Taormina, Il sorriso del tulipano

 

Taormina, Il sorriso del tulipano

Taormina, Il sorriso del tulipano, credit Emilio Paolo Taormina©

 

Mary Blindflowers©

 

Emilio Paolo Taormina, Il sorriso del Tulipano, Giuliano Ladolfi Editore, 2020. Nella nota introduttiva, “l’arciere del dissenso”, l’autore si presenta:

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Sono nato a Palermo nel 1938. Ottant’anni sono una briciola nella storia, ma in questo secolo la scienza e la tecnica hanno avuto un’accelerazione e un ampliamento che ha cambiato il rapporto dell’uomo con la realtà: lo ha reso violento e, nel suo veloce scorrere, frammentario. Per forza di cose un uomo della mia generazione, è nella situazione di chi, un tempo, varcava l’oceano, una specie di emigrato che si deve adattare a situazioni nuove: è nello stesso tempo beneficiario e vittima del così detto “progresso”.

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“La scienza e la tecnica”, avrebbero reso l’uomo violento. Su quest’opinione si potrebbe discutere a lungo. Se Hobbes fosse ancora vivo o potesse risorgere dalla tomba, forse avrebbe qualcosa da obiettare col suo homo homini lupus, formulato in un’epoca in cui ancora la tecnologia non era poi così avanzata. Taormina è profondamente convinto che la sua generazione sia migliore di quella attuale e ce lo dice con compiacimento da vecchio:

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Io sono di una generazione in cui ogni uomo aveva un DNA culturale assolutamente individuabile e personale. Oggi gli uomini hanno un minimo comune multiplo per il quale si possono inquadrare e capire: la televisione e i mass media. Io sono di una generazione diversa.

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Insomma alla sua epoca non esistevano gli sciocchi, sarebbero nati tutti quanti dopo. L’autore, ci dice ancora che viene da una famiglia dell’alta borghesia, che è parente di Enrico Ragusa, famoso naturalista dell’Ottocento, e che scrive con la biro e le matite su un taccuino che oggi non si produce più: “Il taccuino più resistente alle intemperie, più maneggevole e, direi quasi fedele come un cane, è stato il moleskine di fabbricazione francese”. Il Moleskine moderno in realtà è di fabbricazione italiana, è prodotto da un’azienda milanese che sforna ancora taccuini. Quindi a meno che Taormina non abbia un cimelio databile tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo prodotto dal lavoro artigianale di una legatoria francese che riforniva all’epoca le cartolerie di Parigi e che aveva caratteristiche simili al moleskine nostrano, ha una semplice agenda italiana degli anni 90 che per comodità e pubblicità ha adottato lo scicchettoso termine francese moleskine, indicante un particolare tipo di stoffa. Le Dictionnaire de l’ancienne langue francaise et tous ses dialectes du IX° au XV° Siècle par Frédéric Godefroy, Paris, F. Vieweg, Libraire-éditeur E. Bouillon et E. Vieweg, 1888, alla voce molequin, molekin, molechin, moelekin, e varianti, precisa: “étoffe precieuse de lin; robe fatte de cette étoffe” (p. 371). Si può dire tranquillamente in questo caso che il “poeta” ingrassi il cavallo. Ma la frase a mio parere più infelice della nota introduttiva è la seguente: “Gli strumenti dello spirito sono: l’ispirazione, la memoria, la coscienza d’essere un artista e il canto“.
Taormina, in questo mondo così tecnologicamente violento, ha due certezze: quella di scrivere a mano su un’agenda francese che in realtà è italiana, e la coscienza di essere un artista.
E l’artista ovviamente scrive:

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chiudi gli occhi
e ascolta
il rumore dell’erba che cresce
sulla tua pelle come piuma

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domenica
luna grande una foglia di alloro
tra le labbra i grilli
il tuo nome cricchia
nelle mie ossa

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invisibile
come monete d’oro
su occhi di statua avverto dentro
il tuo rumore
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Alcune immagini sono efficaci, ma tutto si risolve stilisticamente in flashback piuttosto elencativi e monotematici, in cui la parte da leone è svolta dall’amata e dagli elementi naturali, piante, animali oppure oggetti di uso quotidiano, in un’operazione di antropomorfizzazione della natura che però non costituisce una novità letterariamente parlando. A tratti si hanno risultati deludenti:
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la mia tristezza
è
una colomba d’oro nel cielo gelido
di gennaio
la mia tristezza
è
un ramo di mandorlo intirizzito
che si gonfia di gemme la mia tristezza
è
il bianco cuore
del gelsomino
nella tormenta
la mia tristezza
sono
i fiocchi di neve
della tua assenza
che si aprono
sul mio petto
come lettere d’amore chi sei tu
che vieni a ripararti come un pettirosso
sul mio vecchio albero

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Sono belle parole, carine, ma potrebbe averle scritte anche un bambino. La tristezza è la colomba, il ramo, il gelsomino, i fiocchi di neve, l’amata è un pettirosso, immagini da libro cuore, idilliache, miele che cola. Siamo sul sentiero dell’ingenuità e dell’innocuità più pura che non dispiace ma nemmeno dice nulla. Definirla poesia nel 2020 forse è troppo.

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