William Ospina, potere, poveri, politica

William Ospina, potere, poveri, politica

William Ospina, potere, poveri, politica

William Ospina, Siamo stanchi

The man who wanted the moon, mixed media on canvas by Mary Blindflowers©

 

El Espectador
1 dic 2019
Autore: William Ospina©
Titolo: Siamo stanchi
Traduzione e introduzione: Claudio Piras Moreno©

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Introduzione:

Traduco questo articolo di William Ospina, che è uno scrittore, poeta e giornalista colombiano di fama internazionale. Nell’articolo Ospina fa un elenco delle iniquità di questa società moderna in cui viviamo. Il suo elenco sa di monito ai potenti della terra, o se vogliamo, cerca di essere uno sprone per gli oppressi, i poveri della Terra. Infatti nell’articolo egli si rivolge a loro, anche se essendo colombiano, l’articolo è diretto in particolare ai suoi connazionali. Ma ciò che dice si adatta a qualsiasi nazione del pianeta, compresa l’Italia. Tant’è che ci si può ritrovare nelle sue parole, come se le avesse scritte un italiano che ben conosce la situazione del nostro paese.

William Ospina:

Siamo stanchi di questa politica di regolamenti nella quale solo i potenti e gli esperti possono esprimere opinioni, e se lo fa il popolo, è un disturbatore e un intruso. Che gran cosa è questo modello per il potere, in cui noi siamo cittadini solo una volta ogni quattro anni. Dove una voce continua a dirci: “Votaci, eleggici, e smettila di esprimere più opinioni!”
Siamo stanchi di constatare che l’autorità, le leggi e la forma siano più importanti delle persone. Siamo stanchi di un mondo che non offre salute ma a malapena rimedi e sale operatorie; un mondo in cui la salute bisogna attenderla, supplicarla e sopportarla. Siamo stanchi che le decisioni che ci riguardano tutti, guardino solo agli interessi delle corporazioni e alla volontà dei politici. Nel 1948, in Colombia, non ammazzarono soltanto Gaitán, ma anche il paese contadino, il paese meticcio, il paese degli indio. Ci ordinarono di dare le spalle alla natura e dire addio all’agricoltura e ci imposero il modello di sviluppo che ora sta ammazzando il mondo.
Siamo stanchi di non sapere più cosa mangiamo, in quest’epoca assurda dove gli alimenti non sono fonte di salute ma di infermità.
Siamo stanchi che sia la gente a dover chiedere udienza ai politici e non i politici alla gente. Siamo stanchi che le decisioni su ogni distesa di terra, fiume, bosco, canneto, angolo del territorio, le prendano quelli che non li conoscono e che neppure li amano né li hanno mai visti.
Siamo stanchi di vivere come stranieri nella nostra patria e come estranei nel nostro pianeta, e di dover chiedere sempre il permesso a dei padroni.
Siamo stanchi di avere una gioventù senza futuro, una popolazione priva di opportunità, una natura che non conosciamo, una fabbrica d’acqua che distruggiamo, fiumi avvelenati, boschi abbattuti, foreste che sono sempre state il polmone del pianeta e adesso vivono sotto minacce crescenti.
Siamo stanchi di un’educazione che non ci aiuta a essere umani, che non ci insegna a essere responsabili, che ci mette gli uni contro gli altri, che ci fa vergognare dei nostri nonni, che non ci insegna a prenderci cura del mondo, che non ci dà lezioni di orgoglio, né di dignità, né di grandezza.
Siamo stanchi di aspettare: di aspettare il governo generoso che non arriva mai, un’economia di inclusione che si fa sempre più lontana; di aspettare la prosperità che ci promettono, la pace che disegnano senza di noi, la bella vita che meritiamo e che bisogna sempre lasciare per dopo.
Siamo stanchi di uno sviluppo che avvelena il mondo, di un progresso che non ci rende migliori, di una comunicazione che ci rende egoisti e sordi, di una ricchezza che produce morte, di una politica che produce odio, di uno stile di vita che produce soltanto sventura e insoddisfazione.
Siamo stanchi dello smog, delle urgenze, stanchi di un consumo che genera solo spazzatura e angoscia. Siamo stanchi di scartoffie, di tramiti, stanchi della voracità delle banche e delle loro percentuali, stanchi del fatto che solo i bugiardi siano degni di credito.
Stanchi di un modello che elemosina gli spiccioli ai poveri per poter consegnare i bilioni alle grandi macchine corrotte che seguono tutte le procedure.
Siamo stanchi di un mondo troppo grande e sconosciuto. Stanchi che loro si approprino del mondo e che a noi ce ne lascino le foto.
Siamo stanchi d’amare con vergogna, di concepire con paura, di lavorare svogliati, di lottare senza forze e di morire senza grazia. E siamo stanchi di essere i complici dei nostri aguzzini, di eleggere quelli che ci uccidono, di nutrire quelli che ci derubano, di ammirare quelli che ci disprezzano.
Siamo stanchi d’avere un’educazione tanto costosa e che non risolve nulla. Che inventino classi sociali e caste affinché ognuno di noi cerchi di essere più dell’altro, che ci dividano a loro vantaggio; loro che sono sempre uniti per divorarci.
Stanchi che continuino a dirci che il crimine si combatte con dei criminali, che la povertà la si combatte con i giudici e le carceri; stanchi che le soluzioni continuino a essere le stesse incapaci di risolvere alcunché.
Vogliamo un paese e vogliamo un mondo. Il risultato di questi ultimi 200 anni di falsa democrazia sono i fiumi avvelenati, delle terre rovinate, foreste abbattute, città circondate dalla miseria, la fame nei ventri e l’odio nei cuori.
Siamo stanchi di aspettarci tutto e di non ricevere nulla. Siamo stanchi, ma questa nostra stanchezza non deve essere una sconfitta. Perché la poesia esprime l’anima delle genti, e un poeta nostrano, Barba Jacob, scrisse i versi più coraggiosi di tutta la poesia universale: “Nulla, nulla è per sempre, e meritava / L’anima mia, ingannata dagli dèi, / La verità, la legge, e l’armonia. / Ma la so degna di questo orrore e di questo nulla, / E attiva, e coraggiosa, oh l’anima mia”.

William Ospina, è nato a Padua, Tolima, il 2 marzo 1954, è uno scrittore e giornalista colombiano, autore di numerosi libri di poesia: Hilo de arena (1986); El país del viento (1992); ¿Con quién habla Virginia caminando hacía el agua? (1995); Sanzetti (2018); nel 1992 vinse il primo Premio Nazionale di Poesia dell’Istituto Colombiano di Cultura.
I suoi componimenti sono stati raggruppati nell’antologia Poesia 1974-2004; ha scritto inoltre vari numerosi saggi, di cui i più importanti sono: Es tarde para el hombre (1194); ¿Donde está la franja amarilla? (1996); Las auroras de sangre (1999); América mestiza: el país del futuro (2004); La escuela de la noche (2008); La lampara maravillosa (2012); Pa’ que se acabe la vaina (2013); Parar en seco (2016); El taller del tiempo y el hogar (2018). Ha poi scritto diversi romanzi sull’epopea dei conquistadores e della presa delle Americhe, raccontata nei tre libri: Ursúa (2005); El País de la canela (2008); La serpiente sin ojos (2012); e altri due romanzi autoconclusivi di diversa ambientazione geografica e storica: El año del verano que nunca llegó (2015); e ha raccontato una sorta di epopea romanzata della storia della sua famiglia in: Guayacanal (2019); Nel 2009 vinse il Premio Rómulo Gallegos per il suo romanzo El País de la canela.
Nel 2013, essendo un sostenitore della campagna di riconciliazione tra il governo colombiano e le Farc, per porre fine alle decennali mattanze dall’una e dall’altra parte, scrisse una Oración por la paz che venne letta nella piazza di Bogotá dall’ex senatrice Piedad Córdoba.
William Ospina scrive da anni una rubrica periodica nel quotidiano El Espectador dove tratta sia di temi politici che filosofici, ambientali e culturali in generale, senza mai dimenticare la condizione dei popoli oppressi. Viaggia spesso in Europa per partecipare a fiere letterarie e convegni.

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  https://www.elespectador.com/opinion/estamos-cansados-columna-893621/

https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://en.calameo.com/books/0062373361d7556bb3ead

https://www.youtube.com/watch?v=1-5UJM3eEwY

 

 

 

 

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