La scuola dittatoriale della nostalgia

La scuola dittatoriale della nostalgia

La scuola dittatoriale della nostalgia

 

La scuola dittatoriale della nostalgia

The old Italian school, mixed media on canvas by Mary Blindflowers©

 

La scuola dittatoriale della nostalgia

Mary Blindflowers©

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Miopia di nostalgia sparsa a profusione su social e commenti. Nostalgici della vecchia scuola italiota post-bellica, lamentano a gran voce la perdita completa del valore A uguale Rispetto lettera maiuscola; perdita di B ossia Educazione; di C, Ubbidienza e Devozione. Alla scuola del passato che molti rimpiangono, non serviva altro che questo completo e miserello ABC propinato dal maestro unico, signore e padrone delle menti degli studenti. Se poi per plasmare la mente occorreva infliggere punizioni anche al corpo ed esercitare su di esso signoria e prepotenza, poco importa. I nostalgici ricordano perfino con affetto la loro prima bacchettata, delizia masochistica dei loro sensi oppressi di cui far pigoloso vanto nel deliquio del “mi hanno educato bene”, “una volta sì che la scuola formava, mica come ora…”, “i valori della nostra scuola del passato sono stati messi a dormire…”, “un tempo si educava col cuore”… e simili facezie da socialdemenza isterico-collettiva un po’ trombona e peteggiante, sdilinquita nell’euforia dell’intervento sul magico incanto del tempo del petoscuola perduto. Ah che meravigliosa meraviglia della miracolistica serie ricordini, prendi e porta via la defecata. Eccolo dunque, davanti a noi, austero, pompato, super-affettato, il mito incerato traslucidato del bellissimo “c’era una volta”; eccolo, incombe come una favola-spettro sulle coscienze dei promotori del “si stava meglio quando si stava peggio”, trita banalità evergreen per menti deboli e annebbiate come puppets in cerca di un burattinaio che indottrini e sottometta fin dalla culla, gestendo ogni movimento.
La nostalgia diventa così un miraggio autoprodotto dalla memoria labile che confonde i contorni, esattamente come l’effetto Fata Morgana in particolari condizioni atmosferiche, quando gli strati d’aria a temperature diverse, causano l’incurvamento della luce e di conseguenza una visione fittizia che sembra reale. Il passato è come uno strato d’aria ormai freddo; il presente che si vive, caldo. Dal loro gap funzionale nasce la nostalgia che incurva la luce del ricordo, deformando completamente le immagini che arrivano distorte al cervello. L’illusione non è realtà ma viene percepita come tale. Il nostalgico fumoso idillio bei tempi andati e mai più ritornati, è vittima di un ricordo astoricamente falso in cui la memoria perde colpi e tutto diventa clorofilla colata del cuore, questo cuore che è bene infilare dappertutto, perché è un classico da portare su tutto e per tutte le stagioni della vita.
Orazio, il famoso scrittore latino, definì plagosus, colui che causa ferite, il suo rozzo precettore, il filologo Lucio Orbilio Pupillo, che lo scrittore chiama semplicemente Orbilio, passato alla storia come estremamente rozzo e violento:

Non equidem insector delendave carmina Livi / esse reor, memini quae plagosum mihi parvo / Orbilium dictare; sed emendata videri / pulchraque et exactis minimum distantia miror…(Orazio, Epistulae II, 1, 68-71).

Domizio Marso, a sua volta, ricorda Orbilio come “maneggiatore di sferza”.
Sia Orazio che Domizio non amavano la nostalgia, malattia del camuffamento dell’angoscia in fiori freschi, patologia che cerca di rendere accettabile per la mente ciò che non lo è, caricandolo di significati esistenti solo per chi ricorda perlopiù male, l’accaduto.
I nostalgici della vecchia scuola, quella fascista e post-fascista, per esempio, dimenticano che le bacchettate erano permesse, a giudizio ed arbitrio del mitizzato maestro unico che poteva punire anche fisicamente gli alunni. Dalle umilianti orecchie d’asino confezionate con coni di carta, ai ceci o al sale grosso su cui le ginocchia degli scolari dovevano essere posate in caso di qualche mancanza, fino alle sberle e alle sculacciate, le punizioni erano previste e concesse, le umiliazioni psicologiche, anche. Gli alunni incassavano, i genitori erano contenti e anziché lamentarsi con il maestro manesco, davano a casa il resto al figlio, nel caso avanzasse qualche altra idea di ribellione nella sua testa. Tutto questo lo si chiamava Educazione. Ma che bei tempi! In classe i maschi erano separati dalle femmine, il crocefisso campeggiava (e campeggia ancora) nelle aule, come simbolo dell’unica vera religione ammessa e possibile, quella di un uomo che agonizza sulla croce, che felicità! Gli studenti dovevano indossare tutti lo stesso grembiulino dai colori smorti perché la cultura era percepita come dolore e sacrificio, mai come piacere. Tutti uguali,  quindi, in totale annullamento della personalità di ciascuno, cancellando le differenze per creare gli automi del futuro. E dulcis in fundo ci si doveva (e ci si deve ancora) alzare in caso nell’aula entrasse il preside o uno degli insegnanti, per rispetto, così si diceva, così si dice. L’usanza è sempreverde, retaggio di una scuola che plasma alla sottomissione e al servilismo di casta.
Se non ci si alza di fronte al preside succede un patatrac, rimproveri a non finire, mentre ben altra storia è se non ci si alza di fronte al bidello, che come operatore scolastico rientra nella serie B, ma chi se ne frega, tanto non è nessuno. Noblesse oblige, insomma, al bidello si dà del tu, all’insegnante del lei, perché la classe, quella sociale, non è acqua e questo viene insegnato nelle scuole italiane fin da piccoli. Si educano le giovani menti a percepire fin da subito le fratture sociali di una società malata; li si educa a considerare tali faglie normali, giuste; ad essere servili con chi detiene il potere e sottomessi con chi potere non ne ha.
Senza contare poi che in molte classi la cattedra ancora oggi si trova sopra una pedana, ed è rialzata rispetto ai banchi, in modo che i maestri e i professori, troneggino anche fisicamente sugli alunni e li dominino dall’alto, nel rispetto delle gerarchie, s’intende, affinché si capisca fin da subito, chi comanda e chi no.
Poi tra peristaltiche nostalgie e perbenismi automatizzati giudicati giusti e sani, ci lamentiamo se la società è classista e peteggiante?

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https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://en.calameo.com/books/0062373361d7556bb3ead

 

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