Poeti arrivati, interviste, ammiratori

Poeti arrivati, interviste, ammiratori

Poeti arrivati, interviste, ammiratori

 

Poeti arrivati, interviste, ammiratori

Il giornalista, il poeta e l’ammiratore, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

Poeti arrivati, interviste, ammiratori

“Poeti” che pensano di essere arrivati non si sa bene dove, un po’ rincagnati, col sorriso costruito su sedicenti montagne d’abisso alla divo pivo ora io scrivo e voi leggete, oh miseri mortali. Che ne sapete voi mai della poesia? Del volo degli angeli e della fantasia? “Poeti” antichi che si danno arie da sopra e da sotto col rischio di farsela pure un poco addosso. “Poeti” col botto, al fiore d’osso, e inattaccabili, che al minimo zeffiretto di contrarietà vi suggeriscono di leggere come hanno fatto loro, spremendosi il cervelletto e citando autori su autori della loro stessa area politica, perché il citazionismo sarebbe apprendimento: cito perché ho imparato. “Poeti” che in improbabili quanto ridicole interviste sui giornali dei loro amici, snocciolano la loro biografia da nerd della domenica delle palme che vivono a 50 anni ancora con la mamma mentre consigliano a chi li critica di andare dallo psichiatra. Così, questi nostri pregevoli e pregiati eroi sono convinti che sia per tutti di vitale importanza capire a che ora prendono il caffè o il the la mattina, se preferiscono le scarpe da tennis o i mocassini e se si fanno la via in mezzo o di lato sui capelli, se soffrono di emorroidi piuttosto che di bipolarismo. Scriventi che pensano di essere Oscar Wilde e che scambiano le loro personalissime ed insignificanti paturnie quotidiane per arte, parlando in prima persona ininterrottamente di se stessi, io, io, io, io. io…
Se non avete mai incontrato questo tipo di superegotici depressi e repressi, siete fortunati perché il mondo della poesia ne è pieno zeppo.

Mentre un tempo si indagava sulla vita di un poeta o di uno scrittore soltanto se riusciva in un modo o nell’altro ad attirare l’attenzione sulla sua opera, per cui dato un testo, altri e non di certo il poeta stesso, cercavano di capirlo, contestualizzandolo, oggi la pericolosa tendenza antropocentrica, anticipa i tempi dell’arte. Prima si costruisce una biografia più o meno fittizia che può spaziare dal versante grandioso e altisonante (molto di destra e dandy), allo stile trasandato nerd o spiritual (versante radical chic finto povero), per cercare di pubblicizzare l’opera che leggono in quattro gatti del circo equestre amici intellettuali e interessare qualche lettore di passaggio, come per miracolo. Così i poeti, o sedicenti tali, mandano un messaggio come i naufraghi dentro una bottiglia vuota, si lanciano parole in un vuoto che si ritiene controllabile, ci si mette in posa et voilà, la poesia (chiamiamola così per essere gentili e non andare troppo per il sottile) diventa il poeta. Il personaggio viene messo al centro della scena teatrale allestita per un pubblico che si ritiene idiota. Questo personaggio parla di se autodefinendosi, che emozione! Il primo dentino, e scrivo da sempre, e la scrittura come reazione alla mamma, il primo vasino, le molecole squarciate e bla bli bla, biribin barabam, puffette, paffette, siamo al balbettio autoreferenziale cui fa eco l’amico giornalista che presenta il monologo nella introduzione al suo pregevole articolo-intervista: Siori e siore del circo equestre mai pedestre poeti noi, eccovi il più grande poeta vivente, tremino i polsi, guariscano i bolsi per la meraviglia, siori e siore, pura gozzoviglia, udite udite, dalla viva voce dell’intervistato una storia d’amor rimestato e di talento incontestato…
Il lettore a questo punto dovrebbe aprir la bocca sperando che non ci entri qualche mosca e credere alla favola bella del poeta intervistato per caso e soltanto per amor dell’arte sua. Peccato che la scenografia dell’operetta recitata sia di cartone e tenda a cascare a pezzi.
Di fronte ad un lettore che nota il vizio antropocentrico: “Scusi, ma questa intervista sembra un monologo allo specchio”, il poeta, realmente incapace di ridere di se stesso, operazione che qualsiasi buon poeta dovrebbe riuscire a fare costantemente nella propria vita mortale, reagisce con supponenza, invitando il poveretto che non prova l’interesse di mezzo baffo fritto per la sua divina biografia raccontata in prima persona come se avesse il peso specifico di un Montale o di un Jebeleanu, dicevo lo invita a istruirsi, perché a suo dire sarebbe un ignorante oltre che un gran maleducato. Dopo l’invito a istruirsi, citando autori da tempo superati e che probabilmente non ha mai letto, arriva puntuale la raccomandazione di leggere libri di psicanalisi a scopo curativo. Detto da uno che ha dedicato un libro alla sua psichiatra e che vive con la mamma autodefinendosi poeta antico, non si sa se ridere o se piangere.
Al di là del fatto contingente, che fa più ridere che altro, resta la consapevolezza che il mondo dei poeti o sedicenti tali, si costruisca oggi sul gossip. Lo scrivente, dopo essersi posizionato su un piedistallo costruisce l’ombra di se stesso, un personaggio fittizio che spera possa attrarre attenzione e lo fa con i mezzi a sua disposizione, carta stampata, social, etc. In tutto questo il discorso poetico, che poi per un lettore serio è l’unico dato veramente interessante, sparisce completamente. La scusa è che una poesia non si capisce senza la biografia di chi l’ha scritta. Il nome precede il contenuto e la sua illusoria costruzione pretende di distogliere lo sguardo dal fine della poesia per parlare della vita personale dello scrivente snocciolata punto per punto. Vi immaginate Leopardi che parla dei suoi problemi privati a un intervistatore, dimenticandosi dell’infinito per puntare il dito sul lampadario del salottino di casa e sulle proprie anchilosi?
Passiamo ora dall’intervistato all’intervistatore.
Cos’è una intervista?
Una serie di domande che dovrebbero dar voce all’intervistato. Un’intervista non è una recensione. L’intervistatore non sta facendo critica letteraria ma sta concedendo uno spazio a qualcuno, quindi il suo punto di vista dovrebbe essere super partes, neutro, non dovrebbe esprimere giudizi su chi sta intervistando, anche perché è in parte già implicito che se lo sta intervistando, ha verso di lui un qualche interesse specifico. Un giornalista che introduce un personaggio sciorinando lodi sperticate quanto generiche sulla sua opera, sta facendo informazione imparziale? Ah ma l’imparzialità non esiste! sento gridare dal palchetto ammiratori dell’intervistato.
A questo punto mi domando. Chi e perché stabilisce l’esistenza o l’inesistenza di un’idea? L’imparzialità non esiste finché non c’è nessuno che vuole che esista. Finché si nega cittadinanza non dico all’imparzialità pura che forse è mera utopia, ma quantomeno al tentativo di seguire un certo metodo che segua criteri il più imparziali e oggettivi possibili, non può esistere se non soggettivismo, informazione-spettacolo, finzione scenica da teatro di quinta categoria.
Forse il lettore non ha proprio idea di cosa sia la poesia e nemmeno i poeti, forse il suo punto di vista atto a distinguere una recensione da una intervista, in un mondo in cui tutto si confonde e si mescola, è la pretesa di un idealista che vive in un tempo che non c’è. Resta il fatto che per il lettore perfino una recensione deve essere sostenuta da un certo grado di oggettività, cercando di dimostrare ciò che si afferma nel bene e nel male con esempi probanti e non abbandonandosi al gusto personale per il gusto di farlo, dato che il gusto individuale non dovrebbe costituire mai essenza e pilastro di una critica seria.
Il lettore non ama i poeti che si definiscono tali con la connivenza di amici, conoscenti e giornalisti che fanno dell’opinione scienza, non ci tiene ad essere uno di loro né a condividerne la presunta grandezza nemmeno per tutto l’oro del mondo.

State bene.

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https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://en.calameo.com/read/0062373361d7556bb3ead

 

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