Poesia, letteratura, servi, padroni

Poesia, letteratura, servi, padroni

Poesia, letteratura, servi, padroni

Poesia, letteratura, servi, padroni

Il volo, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

Poesia, letteratura, servi e padroni

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Giovanni Boccaccio ne Il Commento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, precisamente nel volume primo, crea una digressione dal tema principale, ossia la vita dell’Alighieri, per parlare dell’origine della poesia. In sintesi quando gli uomini ebbero bisogno di celebrare la divinità con parole non usuali e non volgari, pensarono di usare un particolare linguaggio, la poesia, appunto. Ma se i primi poeti erano sorretti dal senso del divino, e da una naturale spiritualità, successivamente, quando i re e i sacerdoti instaurarono il principio di autorità, la poesia da canto disinteressato, si mise al servizio del potere:

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E poi susseguentemente cominciarono diversi in diversi luoghi, chi con uno ingegno, chi con un altro, a farsi sopra la moltitudine indotta della sua contrada maggiori… e a chiamarsi re; e mostrarsi alla plebe e con servi e con ornamenti non usati infino a que’ tempi dagli uomini a farsi ubbidire; e ultimamente a farsi adorare. Il che, solo che fosse ch’il presumesse, senza troppa difficoltà avvenia; perciochè a rozzi popoli parevano, così vedendogli, non uomini ma Iddii. Questi cotali, non fidandosi tanto delle lor forze, cominciarono ad aumentare le religioni, e con la fede di quelle a impaurire i suggetti e a strignere con sacramenti alla loro obbedienza quegli li quali non vi si sarebbono potuti con forza costrignere. E oltre a questo siedono opera a deificare li lor padri, li loro avoli e li loro maggiori, acciochè più fossero e temuti e avuti in reverenzia dal vulgo. Le quali cose non si poterono comodamente fare senza l’oficio de’ poeti, li quali, sì per ampliare la loro fama, sì per compiacere a prencipi, sì per dilettare i sudditi, e sì per persuadere il virtuosamente operare a ciascuno, quello che con aperto parlare sarìa suto della loro intenzione contrario, con fizioni varie e maestrevoli, male da’ grossi oggi non che a quel tempo intese, facevano credere quello che li prencipi volevan che si credesse; servando negli nuovi iddii e negli uomini, li quali degl’iddii nati fingevano, quello medesimo stile che nel vero Iddio solamente e nel suo lusingarlo, avevan li primi usato.

Boccaccio è lucidissimo in questa sua analisi che definisce molto bene la condizione servile dell’uomo di lettere. La poesia nasce dalla tensione naturale verso il soprannaturale che poi è stato imbrigliato dalle religioni nell’etica dell’obbedienza e della paura. I poeti usano il loro linguaggio per servire il principe di turno e far credere al volgo ciò che il principe vuole che creda perché il nuovo Dio è il principe stesso. L’uomo di potere si è sostituito a dio.
Il letterato è sempre stato schiavo del potere. Basti guardare le dediche dei libri antichi per rendersene conto, all’Eccellentissimo, Illustrissimo, Onorevolissimo, Principe tal dei tali, etc. etc.
Cose del passato?
Non direi, semplicemente nei tempi passati la dipendenza era chiara, alla luce del sole, tutti sapevano che il letterato X era al servizio del Principe Y e del potere temporale della chiesa, oggi il vassallaggio degli intellettuali al potere è sottile, la loro dipendenza più viva che mai, rafforzata dall’esistenza dei media che danno voce a figure di letterati tesserati politicamente sempre schierati con questo o quell’altro gruppo-partito da cui sono controllati e di cui si fanno portavoce. Essi pensano con la testa del padrone e convincono il “volgo” oggi chiamato “massa” che ciò che dice il padrone sia cosa buona e giusta. Dicono indirettamente e fingendo originalità, che il padrone ha sempre ragione e che il mondo sarebbe decisamente migliore se si facesse tutto quello che egli ordina. Ovviamente questo padrone non viene mai nominato direttamente anche se tutti sanno chi è. Si genera così un gioco perverso in cui il letterato-miracolato al servizio di un re senza corona, finge di essere libero e di dire sempre “quello che pensa” perché la sua testa sarebbe un meccanismo che produrrebbe idee in libertà. In realtà la macchina della dipendenza è la stessa descritta da Boccaccio, soltanto con sfumature nuove, mezzi diversi, adatti ai nostri tempi, forse anche più subdoli perché si spaccia per genio ciò che si è conquistato con una tessera.
Chi non si sottomette ad un potere ovviamente non ha voce. Non esiste.
A questo punto la domanda è una soltanto.
Ha senso oggi parlare di poesia e di letteratura “libere”, svincolate da interessi parassitari in un mondo in cui si è ancora disposti a cedere l’indipendenza della mente agli interessi di bottega?
Ha senso credere ai pigolii degli scrittori tv costruiti dalla politica, dal servilismo e dal marketing? Ha senso credere che siano minimamente liberi?
La letteratura sta implodendo su se stessa. Si sta autologorando. Il potere la sta distruggendo. Urge una riconsiderazione dei vincoli che la stanno soffocando. Solo la sua liberazione dai gravami della politica consentirà una vera rivoluzione culturale. Ma siamo ben lontani da questo. Nessuno vuole questo, tranne pochi esclusi che non hanno voce e che finiscono con l’allinearsi a loro volta per non morire in un dimenticatoio. Nessuno vuole cambiare lo status quo perché ciò comporterebbe una revisione totale, una ridiscussione  completa e imbarazzante per molti, troppi, e un rovesciamento in cui prevarrebbe il talento, uno scandalo davvero intollerabile in una società di servi e padroni.

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https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://www.youtube.com/watch?v=IijhKwisNQU

 

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