Manni, Istoria del Decamerone, 1742

Manni, Istoria del Decamerone, 1742

Manni, Istoria del Decamerone, 1742

Manni, Istoria del Decamerone, 1742

Manni, Istoria del Decamerone, 1742, credit Antiche Curiosità©

Manni, Istoria del Decamerone, 1742

Mary Blindflowers©

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Domenico Maria Manni (Firenze, 8 aprile 1690 – Firenze, 30 novembre 1788), nel 1742 diede alle stampe Istoria del Decamerone di Giovanni Boccaccio, pubblicato da Antonio Ristori. Si tratta di un corposo saggio diviso in tre parti e leggibilissimo anche oggi.
La prima parte affronta il tema delle note biografiche di Boccaccio, nella seconda si analizzano le novelle del Decamerone mentre la terza parte, non scevra da polemica, è interessante anche perché si rammentano le censure e le correzioni che hanno subito le novelle boccaccesche nel corso del tempo.

L’edizione originale dell’opera del Manni, ha nel frontespizio il ritratto inciso di Boccaccio da un medaglione; tra pagina 10 e pagina 11 compare una tavola incisa rappresentante la casa in cui talvolta Boccaccio, “standosi talvolta in Certaldo, abitava” posseduta, all’epoca in cui Manni scrive, dai nipoti del Marchese Niccolò Ridolfi, Canonici di Ferrara. “Nella torre” di detta casa, “vi ha un’Arme della casa de’ Medici, e sotto è un cartello di Marmo col seguente distico: HAS OLIM EXIGUAS COLIT BOCCACCIUS AEDES NOMINE QUI TERRAS OCCUPAT ASTRA POLUM”.

 

Domenico Maria Manni, Historia del Decamerone di Giovanni Boccaccio, Firenze, 1742

Domenico Maria Manni, Istoria del Decamerone di Giovanni Boccaccio, Firenze, 1742, credit Antiche Curiosità©

 

A pagina 390 c’è un’incisione a tutta pagina di Papa Bonifacio Ottavo. Tra pagina 130 e pagina 131 ecco una tavola pieghevole con una dedica in latino, degli stemmi araldici e il ritratto di Boccaccio. Varie miniature sono sparse in tutto il testo.

 

Domenico Maria Manni, Historia del Decamerone di Giovanni Boccaccio, Firenze, 1742

Domenico Maria Manni, Istoria del Decamerone di Giovanni Boccaccio, Firenze, 1742, credit Antiche Curiosità©

Il Manni esprime ammirazione per l’opera del Certaldese e nelle Avvertenze de l’autore a chi legge, le cui pagine hanno la numerazione romana, chiarisce lo scopo del suo lavoro:

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dischiudere la verità delle Novelle del Decamerone non più Favole Milesie; e di togliere al nostro divin Prosatore, cui non ebbe uguale con tanti suoi facondissimi Dicitori la Grecia, di toglierli, dico, e di purgare la nera macchia cospersa dagl’inimici, di impostore bugiardo, scostumato, miscredente. Di sorte che se egli è stato finora ammirato sottosopra come infingitore leggiadrissimo di novelle; in avvenire verrà da ognuno esaltato alle stelle come leggiadrissimo, ed ingenuissimo raccontatore per nostro profitto di vere Storie.

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Detto questo Manni, dopo alcune curiosità biografiche, cerca di rinvenire in ciascuna novella decameroniana, analizzata singolarmente, la radice storica da cui è nata, per provare che l’opera di Boccaccio, sotto il velo di nomi cambiati e l’ironia delle storie, ha sempre avuto una base storica.
Difende quindi il certaldese da certa critica malevola del gesuita Paolo Beni che aveva degradato anche la grandezza di Dante definendo le sue rime “sforzate e sconce, da aborrirsi”:

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Paol Beni negl’infelicissimi Libri dell’Anticrusca e del Cavalcanti esagera follemente, nella Novella presente (novella X, giornata I), che è la più breve di tutte, essere sopra trenta errori di lingua, e di stile, che egli va quivi ad uno ad uno annoverando; ma si dee non far caso alcuno del suo biasimo, siccome di persona non ben pratica della favella come faceva di mestiere… Ma, oh Dio! Dove faremmo noi seguendo il giudizio di questi Censori? Anche nel Comento sopra il Tasso proruppe il Beni in dire, che questo non incorre in alcuna di quelle vanità, e bassezze, per non dire sciocchezze, di cui son pieni molti altri Italiani Poeti, e sopra ogni altro è Dante l’Alighiero, Poeta per cento colpe, e bassezze, ma sopra tutto per le sconce, e sforzate rime da aborrirsi, e fuggirsi a più potere.

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Il libro di Manni è pieno di spunti e di curiosità che ci fanno capire il motivo per cui gli accademici non vogliono che i non accademici tocchino i libri antichi, semplicemente perché sono una miniera di informazioni che spingono il lettore a diventare ricercatore, a incuriosirsi, a cercare, a scavare nella storia. E gli accademici non vogliono che questo accada, pretendono l’esclusiva. Riscrivono nei loro saggi informazioni attinte a piene mani dai testi antichi e dai documenti d’archivio a cui hanno facile accesso, citandosi continuamente tra loro e lisciandosi reciprocamente. Si sa che per un comune mortale non accademico ci vuole il permesso scritto di un accademico per consultare libri antichi nelle biblioteche (ho esperienza di quelle italiane, purtroppo).
Con la digitalizzazione dei libri antichi on line qualcosa si è mosso, ma tanta è ancora la strada da fare perché ovviamente non tutti i libri antichi vengono digitalizzati dalle biblioteche. La casta non mollerà la presa dell’esclusivismo culturale e dello snobismo tout court. Nelle tesi di laurea le citazioni in nota di autori non accademici, indipendentemente dalla qualità dei loro testi, vengono sempre sconsigliate dai professori che suggeriscono di levarle, proprio per mantenere il privilegio di casta nel piccolo universo concentrazionario in cui vive la cultura universitaria.

Comunque, se non avete la possibilità di acquistare il libro di Manni in edizione originale, potete trovarlo digitalizzato in rete.
Vale davvero la pena di leggerlo.
Molto interessante anche un altro testo di Manni: Degli occhiali da naso inventati da Salvino Armati gentiluomo fiorentino, 1738, Stamperia d’Anton Maria Albizzini.

Non leggetevi gli accademici che parlano dei testi antichi come gran sacerdoti, consultate direttamente la fonte. Strappate le vesti agli dei, lasciateli in mutande.

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https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://www.youtube.com/watch?v=IijhKwisNQU

 

 

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