Cina, resoconto, viaggio, congresso

Cina, resoconto, viaggio, congresso

Cina, resoconto, viaggio, congresso

Antique Chinese Ivory Game Set, credit Antiche Curiosità©

 

Di Anna Maria Dall’Olio©

Te la do io la Cina

L’esperienza all’89° Congresso Universale Esperantista (tenuto dal 24 al 31 luglio 2004 a Pechino) è stata memorabile, ma non aspettatevi considerazioni da turista: ho visitato la Cina da congressista. La finalità del viaggio era infatti seguire il più possibile le fasi del congresso e partecipare solo a qualche escursione in città e nei dintorni. Sapevo già che il badge del congresso sarebbe stato un lasciapassare sufficiente e soprattutto avrei visitato luoghi inaccessibili agli stranieri, come la sede di Radio Cinese Internazionale.
Novella Marco Polo, arrivai a Pechino da Venezia con altri ardimentosi, emiliani e lombardi. Per tutti noi la Cina era una ghiotta novità, tranne per Mario Amadei, l’anziano segretario del gruppo bolognese “Achille Tellini”, che aveva partecipato al precedente congresso nel 1986. Sull’aereo vantò la sua amicizia con un giornalista cinese, che avrebbe presto rivisto.
Passando per chilometri sotto gran pavesi, dove intendevamo solo “89”, ci sistemammo nel Beijing Continental Grand Hotel collegato al Beijing International Convention Centre. Eravamo elettrizzati: in questo luogo, sede del comitato delle Olimpiadi del 2008, in contemporanea si sarebbero tenuti eventi e 7-8 seminari di vario argomento, tutti in lingua esperanto. Noi però ci saremmo trattenuti per un’altra settimana: quando si sarebbe ripresentata l’occasione di tornare in Cina?
All’arrivo, ci furono chiesti documenti e cauzione: in cambio furono consegnati la chiave e il sacchettino con i tagliandi – rigorosamente con data – per accedere alla sala della colazione.
Dunque si svolse il congresso che riunì, almeno i primi giorni, 2.031 persone di varia nazionalità, di cui più di 1.000 cinesi, che in larga maggioranza non avevano mai visto un occidentale se non in TV o al cinema.
Conoscemmo l’amico di Amadei, che si offrì di accompagnarci nel centro città: promise che ci avrebbe mostrato un luogo dove avremmo potuto fare domande anche “scomode”. Attraversati in taxi parecchi quartieri, molto diversi tra loro, giungemmo in un antico quartiere di case popolari tutte uguali, basse e bianche. Vi abitava un amico del giornalista, di professione archeologo. Era un appartamento sui 100 m2, spartano e antiquato nell’arredamento. Eppure fummo introdotti a un lusso sconosciuto in Occidente: nella sala troneggiava un televisore al plasma enorme. Presto fummo informati che un operaio cinese guadagnava una somma corrispondente a 180 euro al mese, un archeologo a 300 e un giornalista a 600. Salutato il padrone di casa, salimmo sui risciò per goderci un tour tra gli Hutong, vicoli assai angusti. Arrivammo in una piazza, dove ci aspettava un palazzo storico, presente su poche guide, dove nel diciassettesimo secolo per qualche tempo abitò l’imperatore prima di trasferirsi definitivamente nella Città Proibita.
Incontrammo di nuovo il giornalista in altri due tour.
La prima visita iniziò all’insegna del giallo. Quella volta eravamo in 5 e il giornalista annunciò che ci sarebbe venuto a prendere un “amico”, che ci avrebbe portato ovunque avessimo voluto. Si decise di visitare lo zoo e il Tempio della Sveglia della Vita, più noto come Tempio della Grande Campana. Immaginate la nostra faccia, quando vedemmo arrivare una camionetta della polizia. Il poliziotto ci scrutò tutto il tempo e si tenne a distanza pure al ristorante, senza mai perderci d’occhio. Dovette rimanere soddisfatto del nostro comportamento, perché fece sapere al giornalista che non sarebbe più tornato.
Della seconda visita ricordo ancora la lunga passeggiata nel cuore commerciale (solo una passeggiata però, perché i prezzi erano uguali ai nostri) e la scia di folla che ci fotografava, scambiandoci per americani. Da menzionare i poliziotti in borghese, disposti a scacchiera in piazza Tien An Men, nei panni di fotografi muniti di aquiloni neri, forse ricavati da sacchi da spazzatura.
“Hanno paura dei giovani.” disse il giornalista.
In tredici giorni avemmo tutto il tempo di imparare un’altra caratteristica inevitabile della vita cinese: la burocrazia più che bizantina. Nel Continental qualsiasi pretesto era buono per controllarci i documenti più volte al giorno e soprattutto per farci riempire moduli sempre con gli stessi dati, peraltro già in possesso nel computer. In ogni caso, ci aspettava una sorpresa poco piacevole al momento della partenza.
Il volo di ritorno era verso le 22, per cui la sera prima si decise di ritrovarci verso le 10.30, prenotare un’altra stanza per depositare le valigie e girare i dintorni.
Naturalmente il giorno dopo alle 9 ero già alla reception in procinto di consegnare le chiavi dell’hotel. Richiesi la cauzione.
“Il sacchettino dei tagliandi, prego.”
Al momento di entrare per l’ultima volta nella sala della colazione, mi avevano ritirato l’ultimo tagliando, ma mi avevano lasciato il sacchettino. Poteva servire?
Porsi quello che voleva e chiesi:
“Scusi, ma se non l’avessi avuto?”
“Niente cauzione.”
Feci le spallucce, firmai il modulo di uscita, sedetti da una parte e attesi gli altri. Arrivarono e presto li sentii discutere con l’impiegato. Chiaro: avevano gettato via il sacchettino.
Mi avvicinai al bancone.
“Scusate, siamo qui da 13 giorni e non sapete ancora chi siamo e da dove veniamo. C’è bisogno anche del sacchettino?”
Quello si girò:
“Lei conosce queste persone?”
“Siamo venuti insieme dall’Italia e siamo stati insieme tutto il tempo.”
“Garantisce per loro?”
“Certamente.”
L’impiegato prese un altro modulo e ricopiai, passaporto alla mano, pari pari tutti i dati che avevo trascritto pochi minuti prima. Solo allora ai miei compagni di ventura furono restituite tutte le cauzioni.
Stavamo per uscire, quando ci venne in mente che dovevamo lasciare le valigie in custodia. Che fare?
Ci guardammo un attimo.
Tornai dallo stesso impiegato e gli spiegai le nostre esigenze. Non si scompose: prese un altro modulo e lo riempii con le mie generalità ancora una volta. Poi chiamò un giovane facchino e mi consegnò una chiave, che avrei dovuto riconsegnargli appena depositate le valigie. Il ragazzo ci condusse tutti nella stanza e poi, come garante, tornai dall’impiegato, pronto con una busta e un altro modulo, che io e il facchino riempimmo subito. Soddisfatto, l’impiegato chiuse la chiave in una busta, che fece firmare a entrambi e chiuse in una specie di cassaforte. Infine, riempì un modulo anche lui.
Al ritorno all’hotel, in largo anticipo rispetto alla partenza dell’aereo, ovviamente accadde tutto in senso inverso.

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https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_esperanto

 

 

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