Carlo Emilio Gadda, L’Adalgisa

Carlo Emilio Gadda, L'Adalgisa

Carlo Emilio Gadda, L’Adalgisa

Carlo Emilio Gadda, L'Adalgisa

Carlo Emilio Gadda, L’Adalgisa, credit Antiche Curiosità©

 

Mary Blindflowers©

Carlo Emilio Gadda, L’Adalgisa

 

Carlo Emilio Gadda, L’Adalgisa, pubblicato per la prima volta da Le Monnier nel 1944 e poi più volte ripubblicato da altri editori. È una serie di racconti in cui vengono messi in ludibrio gentil sesso e ricca borghesia lombarda, la medesima borghesia a cui apparteneva lo stesso Gadda.
Si tratta indubbiamente di un autore per iniziati che amano rompersi la testa dentro i meandri di un’artificiosa e sovraccarica costruzione stilistica. L’illeggibilità è innegabile se per illeggibile intendiamo una prosa sperimentale che finisce inevitabilmente col portare carichi di orpelli che “sparnazzano” spesso e volentieri su se stessi creando nel lettore un effetto d’eccesso, di sovrabbondanza pseudo-rabelaisiana.
Leggere Gadda è come immergersi in un mare limpido dalle tranquille acque, si scorge un’isoletta che si vorrebbe raggiungere. Però, mentre si nuota, l’isoletta viene coperta da tanti oggetti inutili sparsi sull’acqua e che si affastellano insolentemente attorno al lettore-nuotatore. Questi cerca di farsi largo cercando di nuotare e scansare tutti quegli oggetti inutili per cercare di arrivare alla meta. Ad un certo punto però nuota e nuota, scansa e scansa, diventa davvero faticoso mantenere il ritmo e si va a finire sott’acqua pensando che forse non valga la pena di raggiungere l’isoletta, che forse quell’isoletta è soltanto un miraggio, un’illusione ottica per costringerlo all’esercizio di scansare e nuotare, nuotare e scansare, quindi non arrivare da nessuna parte.
In realtà non è proprio così. Da qualche parte si arriva. Si approda nell’isola della critica fotografico-sperimentale-caricaturale degli ideali di una classe medio-alta snob e parecchio ridicola, colta in una quotidianità che viene fatta a pezzi dall’acutezza di uno sguardo colto.
Il senso di denuncia di un mondo falso c’è, ed è forte, chiaro. Se si è tenaci e si scansa l’orpello di una scrittura forzatamente barocca come i fianchi ostinati di certi personaggi, si riesce a coglierlo, ma le figure rimangono sempre e comunque un poco stereotipate. La cantante che si marita bene, invisa dalla suocera snob; la signora rompiscatole che terrorizza i commessi dei negozi; vecchie famiglie, vecchie case di una borghesia immeschinita, vorace, immorale, truffata truffaldina, perbenista e prepotente.
Le critiche però si appuntano soprattutto sulle donne. Gadda è molto indulgente coi difetti maschili quanto impietoso verso quelli femminili. Ecco un assaggio tipico di misoginia gaddiana:

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Era allora una bella e vivace ragazza del nostro popolo… un po’ troppo soda… e davanti, poi, e sulla periferia… un po’… un po’ troppo… non saprei come dire… la Tettòn… la Tètascia… aveva una scrittura un po’ vaga da oca, come capita qualche volta, anche in via delle Oche…

Donna Eleonora Vigoni… possedeva in sommo grado l’arte di lodare il Signore per far dispetto agli uomini. In tali occasioni atteggiava la lunga faccia vizza a un così compunto e disciplinato Deo gratias, che veniva voglia di prenderla a schiaffi…

I due occhi di donna Giulia si puntavano sull’Amilcare come di vipera sul terrorizzato passerotto… lei alta ed enorme davanti il banco… con due anche rotonde e barocche degne di figurare il mappamondo della Giustizia… E quelli o quello pareva supplicare la feroce mantide che gli lasciasse almeno un po’ di vita da arrivare a goder dello strazio… col fare servizievole, dimesso e un po’ curvo in avanti, proprio di chi non ha mai assaggiato una bistecca del Troja, in sua vita…

Quando una donna Giulia o Teresa, e moglie e madre, ha raggiunto quello stato di completezza fisiopsichica per cui la si sente sicura del fatto suo, e quando un demonio appropriato le si agita in corpo, state pur certi che il fuoco tambureggiante dei suoi apoftegmi non conosce rimbecco, né dilatazione possibile… I presenti non potevano che annuire, è ovvio, il nobiluomo e marito poi non parliamone…

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La donna è volgare, mantide, esasperante, sovrabbondantemente autoritaria e temibile. Non vi è un ritratto delicato di donna nemmeno per sbaglio.

Termini gergali, dialettali, neologismi, sono sparsi a profusione nelle pagine de L’Adalgisa dove non mancano nemmeno le frazioni: “varianti che il calcolo combinatorio ci attesta realizzabili… dalla permuta di n parole senza senso prese a cinque a cinque”:

n (n-I) (n-2) (n-3) (n-4) -2
5!

E qui un lettore si ferma e legge note che spiegano ma complicano il groviglio già aggrovigliato.
Le parti migliori del libro sono le descrizioni delle incursioni del marito di Adalgisa alla cattura dello scarabeo stercorario in cui si espone anche una metafora niente affatto scontata sulle attività del borghese-insetto. Scansando gli scogli d’una sintassi elaboratissima che sa d’artificio, si riesce anche a provare un poco di divertimento, ma proprio ogni tanto, che ridere fa male allo stomaco.
Per me Gadda rimane una lettura interessante da un punto di vista critico-filologico ma non appassionante perché manca quella semplice scorrevolezza di un Silone, per esempio, e anche quella limpida nettezza espositiva di Kafka, inoltre occorre fermarsi davvero troppe volte per capire ciò che dice in quell’affastellamento di neologismi e arzigogoli concettosi.
Le definizioni preconfezionate dalla critica, tipo “il più grande scrittore del Novecento”, frasetta tipica evergreen che si applica a chiunque abbia raggiunto una certa fama consolidata nel tempo, scorrono nel regno delle banalità a buon mercato, lo stesso dicasi per l’accostamento a Rabelais che ha un tipo di sovrabbondanza differente e diciamolo, molto più divertente, meno farraginosa e decisamente più scorrevole.

Comunque leggetelo, se ce la fate.

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https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://www.youtube.com/watch?v=aMQfdn_fGRg

 

Comment (1)

  1. Mariano Grossi

    Gadda misogino e, perché no?, autocosciente delle nevrosi che avrebbe creato al lettore, come si capisce da questo passaggio de “La cognizione del dolore” dove decisamente fa l’autoscatto alla sua prosa neurologica. Gonzalo, personaggio autobiografico “lambiccava rabbioso dalla memoria una qualcheduna di quelle sue parole difficili, che nessuno capisce, di cui gli piace d’ingioiellare una sua prosa dura, incollata, che nessuno legge”. Ecco, onestamente è il pezzo a mio giudizio più gradevole dell’opera, quello in cui si coglie almeno una sorta di autocritica!

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