Giancarlo Buzzi, Grazia Deledda

Giancarlo Buzzi, Grazia Deledda

Giancarlo Buzzi, Grazia Deledda

Giancarlo Buzzi, Grazia Deledda

Giancarlo Buzzi, Grazia Deledda, credit Antiche Curiosità©

 

Giancarlo Buzzi, Grazia Deledda

Mary Blindflowers©

 

Nel 1953 la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pavia finanzia, come scritto nelle avvertenze, un libro di Giancarlo Buzzi, intitolato Grazia Deledda, pubblicato dai Fratelli Bocca. L’autore con molta riverenza, ringrazia, da buon accademico:

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Questo lavoro si pubblica con il generoso aiuto dell’Università degli Studi di Pavia e dell’Associazione Alunni dl Collegio Ghislieri cui va il mio fervido ringraziamento. Ringrazio inoltre il mio Maestro Prof. Luigi Fassò, e il Rettore del Collegio Ghislieri, prof. Aurelio Bernardi, per il consiglio e l’incoraggiamento di cui mi sono stati larghi.

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Luigi Fassò fa una prefazione al libro, che poi si rivela essere una tesi di laurea, finanziata dall’Università proprio per intercessione paradisiaca dello stesso Fassò che confessa di aver raccomandato il suo pupillo, come se fosse una cosa normale, del resto in uso oggi più che mai. Fassò dà al suo allievo candidamente del tu, come si fa con gli amici:

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Caro Buzzi,

accolgo ben volentieri la tua preghiera di scrivere una breve prefazione del bel saggio su Grazia Deledda, che la nostra Facoltà di Lettere, dietro mia proposta, ha incluso, con deliberazione unanime, nella collana delle sue pubblicazioni. E credo di fare cosa a te molto gradita trascrivendo qui, semplicemente, il giudizio che intorno ad esso ebbi ad esprimere quando, nel Novembre del 1951, me lo presentasti come tesi di laurea…

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Il libro dunque viene giudicato da Fassò un bel saggio “che rivela un’indagine originale, una maturità critica molto rara nei giovani…”, poi parla di finezza, di esigenza stilistica, e si sbrodola in complimenti affettati.
Il titolo non tragga in inganno. Non si tratta di una biografia ma di un saggetto malevolo e mal costruito, scritto coi piedi e che demolisce l’intera opera deleddiana dall’inizio alla fine, con ostinata cattiveria, accusando continuamente la scrittrice sarda di incultura, ingenuità, addirittura di “disordine mentale”, raggiungendo il top della stupidità quando afferma che la Deledda non sa nemmeno scrivere e che lo sanno tutti. Buzzi lo dice con convinzione, pensando di essere un critico perché glielo ha detto il suo amico professore.
Di tutta la produzione deleddiana che Buzzi analizza superficialmente, salva soltanto Cosima e Canne al vento, per il resto giudica un fallimento tutta la produzione della scrittrice e lo fa con uno stile saccente, ripetitivo, avanzando giudizi opinabili totalmente inefficaci sul piano critico-letterario.
Se è vero che la Deledda non fu mai poetessa, se è vero che i primi lavori peccano di ingenuità e che forse ha pubblicato troppo presto, in un momento in cui le sue capacità letterarie non erano affinate, è tuttavia impossibile liquidare riduttivamente e superficialmente la sua arte come un cumulo di “zeppe” e “spropositi” legati a doppio filo a un regionalismo e un fatalismo anticristiano che non avrebbe sensi universali e che tradirebbe (qui il Buzzi si improvvisa psicologo), il disordine della sua mente e la sua ignoranza fatalista:

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Scrittrice incolta, dunque: persino nelle sue opere migliori della maturità e della vecchiaia, il difetto si svela, con ingenuità addirittura comiche, con la mancanza di proporzioni, con la sciattezza del discorso… Che la Deledda scriva male tutti i critici hanno concordemente riconosciuto… senza scendere alle radici del difetto… la sua ricerca fu sempre a tentoni, o sulla scorta di intuizioni vaghe… scrisse indeffessamente per una vita intera per riuscire a comporre un bel romanzo, tre o quattro volumi mediocri e una serie enorme di libri che nessuna buona volontà, potrebbe, in ultima analisi salvare… Alla radice di tutta la religiosità deleddiana c’è un elementare fatalismo che non ha nulla di cristiano… Un fatalismo cieco e feroce, un fatalismo senza Dio… le contraddizioni in materia di religiosità e morale, nell’opera della Deledda, assumono la caratteristica di un disordine mentale enorme… Le mancava la modestia e ogni benché minimo senso delle proporzioni…

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C’è in queste parole una superficialità di giudizio, una sicumera arrogante e un’ignoranza abissale delle contraddizioni del mondo fatalista sardo che la Deledda rappresenta a pieno titolo e descrive magistralmente. Per un baciapile accademico doveva essere duro da digerire il fondo pagano e ancestrale di una terra antica e diversa come la Sardegna, rappresentata così com’era, nel suo reale animismo paganeggiante e simbolico-sincretico che a Buzzi sembrava feroce e cieco.

Le note bibliografiche del libro di Buzzi sono palesemente scarse. Per giustificarsi l’autore appone questa ridicola dicitura:

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Una bibliografia completa, minuta della critica deleddiana non è auspicabile. Essa comprenderebbe oltre duecentocinquanta numeri, in gran parte articoletti e recensioni insieme a una discreta quantità di saggi o volumi alquanto distesi. Critica inconcludente e ingarbugliata, atta a confondere piuttosto che a chiarire le impressioni del lettore. Per cui rinunzio a citare i centocinquanta lavori che m’è riuscito di vedere…

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Insomma, il lettore deve credere sulla parola. Buzzi dice di aver visionato centocinquanta lavori che giudica tutti in blocco ingarbugliati e confusionari.
In realtà ad essere piuttosto ingarbugliata, noiosa, confusionaria e soprattutto molto ripetitiva, è la sua tesina di laurea in cui si accusa fino alla nausea la Deledda di non aver studiato abbastanza, di essere addirittura una scrittrice mediocre, fallita e impoetica che con tanta fatica è riuscita ad arrivare a Canne al vento e poi è morta di nuovo artisticamente, negando valore di profondità letteraria a molti romanzi precedenti e successivi. Per 168 pagine Buzzi ripete alacremente le stesse cose e unisce il disprezzo snob di chi pensa di aver studiato tanto a una sicurezza interpretativa che del mondo sardo e del suo fatalismo, ha capito ben poco, per non dire nulla, costruendo un saggio basato sul mero opinionismo di casta. Il tempo però ha reso giustizia alla Deledda. Chi si ricorda più del saccente accademico Giancarlo Buzzi? Chi legge i suoi romanzi? Insomma chi se lo fila più?

 

https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://www.youtube.com/watch?v=12COkLF3ixg

 

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