I motivi estetici dell’arte d’annunziana

I motivi estetici dell'arte d'annunziana

I motivi estetici dell’arte d’annunziana

Mary Blindflowers©

Schilirò, I motivi estetici dell’arte d’annunziana

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I motivi estetici dell'arte d'annunziana

I motivi estetici dell’arte d’annunziana, credit Antiche Curiosità©

 

Vincenzo Schilirò nel 1918 diede alle stampe “I motivi estetici dell’arte d’annunziana” pubblicato a Catania da Niccolò Giannotta. Il titolo tradisce le aspettative del lettore, perché su 268 pagine di saggio, soltanto qualche pagina è veramente dedicata a D’Annunzio che diventa pretesto per una dissertazione dotta su principi di estetica generale. Dopo aver esibito la sua concezione dell’arte, critica verismo, simbolismo, approccio nietzschiano, Schilirò enuclea una teoria in parte contraddittoria, in parte ragionevolmente giustificabile con una logica stringente, espressa con lo stile un poco ampolloso e fumoso dell’epoca. Il testo risulta nel complesso interessante più come trattato di estetica che come critica efficace allo stesso D’Annunzio. Di quest’ultimo detesta il superomismo che collega a Nietzsche, filosofo asistematico della cui scarsa organicità espositiva si è fatta, come tutti sanno, ampia manipolazione. La prima parte del libro è sicuramente la più riuscita, quella in cui l’autore critica le scuole di scrittura, sdoganate dall’evidenza che l’ingegno non si possa insegnare, e la cristallizzazione fissa dei generi letterari, nonché “la creazione con metodo”, che poi è tipica dello stesso d’Annunzio: “non è riuscito a emancipare il suo pensiero dalla forma precettistica. Egli non rivela sé, poeta; bensì si inchina ad una legge… pensa di creare con un determinato metodo”, costringendo le intuizioni in una camicia di Nesso e perdendo così la spontaneità a favore dell’esaltata idea superomistica.
Nella seconda parte Schilirò si perde nella retorica moralistica. Del resto non dimentichiamo che scrive agli inizi del Novecento. Sul rapporto arte-morale ecco una scivolata piuttosto grossolana. Fa capolino tra le pagine il codino del sacerdote moralizzatore che sigla affermazioni che fanno ridere: “i sommi artisti son tutti morali!” e lo dice con il punto esclamativo, per dare più forza alla sua sentenza inappellabile.
Peccato che tale sentenza cozzi con quanto egli stesso affermi:

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L’arte, come elaborazione dei fatti interni, non è né morale né immorale. Essa non può avere un determinato fine etico… l’arte è estranea alla moralità del contenuto… Si dovrebbe tener presente che il vero contenuto dell’arte, ò l’intuizione dell’artista, mentre gli elementi deduttivi, induttivi ed etici dell’opera artistica rappresentano l’attività mentale e morale dell’autore, della quale egli risponde come uomo e non come artista.

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Alla fine però Schilirò non ce la fa a superare l’uomo religioso che è in lui e dà la preminenza alla morale piuttosto che alla supernatura dell’arte, giudica quindi la letteratura dannunziana esclusivamente su base etica, senza procedere ad un’analisi critica di tipo stilistico o contenutistico, che probabilmente sarebbe stata necessaria. Egli si appunta sulla vacuità morale dei romanzi dannunziani e per far questo scomoda la filosofia dell’uomo superiore di Nietzsche, la musica di Wagner e soprattutto l’estetica a cui il libro, a dispetto del titolo, sembra interamente dedicato. L’autore giudica positivamente lo stile dannunziano: “signorilità plastica e sinfonica”, senza però analizzarne di fatto una virgola, veleggiando costantemente nell’aggettivazione sfumata, imprecisa e che dice tutto ma anche nulla. Così Schilirò costruisce un castello, poi ne smonta le lodi. Le opere di D’Annunzio sono come belle statue di bronzo con l’interno vuoto, il che probabilmente è vero. Il problema è che l’opera viene giudicata vuota non per via dello stile e della retorica e delle esaltazioni machiste, ma perché “svalutante i più alti valori umani”, laddove “nulla è sacro e il poeta si mette al di sopra delle leggi umane”.
La critica di Schilirò dunque non è letteraria, non stilistica, ma etica e questo nonostante egli stesso ammetta che l’arte non è né morale né immorale.
La tronfia esaltazione del superuomo che francamente oggi appare realmente ridicola nei romanzi di D’Annunzio, perché ha alimentato la costruzione di una mentalità machista e misogina che grava ancora pesantemente sulla mentalità retrograda italiana, non disturba Schilirò, figuriamoci, la parola misoginia non compare mai nella sua analisi. Egli preferisce fissarsi sull’assenza di quelli che chiama “lacci morali” vissuti dalla poetica di D’Annunzio come:

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ciarpami che irretiscono il genio, capovolgendo tutto un complesso di valutazioni etiche e civili… E veramente da dilettante il Poeta tratta i più alti valori umani… la religione è un gioco, un capriccio, un’abitudine, una preziosità… il sentimento religioso non supera la superstizione e il convenzionalismo…

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Anche l’analisi che Schilirò fa della filosofia di Nietzsche è falsata da un punto di vista cristiano che indulge al riduttivismo.
Di Nietzsche d’Annunzio assorbì in realtà soltanto la parte che serviva a rafforzare la sua esaltazione di stampo maschilista, ma i tempi nel 1918, quando scriveva Schilirò, non erano ancora maturi perché si procedesse ad una critica in tal senso, in quanto la disparità tra i sessi era ancora considerata la normalità.

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https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://www.youtube.com/watch?v=hTWKbfoikeg

 

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