Recensori, opinionisti , dilettantismo spiccio

Recensori, opinionisti , dilettantismo spiccio

Recensori, opinionisti , dilettantismo spiccio

 

Recensori, opinionisti , dilettantismo spiccio

Terre secche, credit Mary Blindflowers©

 

Recensori, opinionisti , dilettantismo spiccio

Lucio Pistis & Sandro Asebès©

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Recensioni di tutti i tipi invadono la rete. L’approccio più in voga è quello dilettantistico, ossia fare un riassuntino del libro letto per poi dire a chi legge, è un buon libro oppure è un libro che si poteva anche non stampare.
Un campo inesplorato è la recensione della recensione.
Fermo restando che tutto possa essere soggetto al vaglio critico di un osservatore più o meno sagace, ci si accorge che spesso le recensioni sono scritte in modo piuttosto discutibile. Se la trama occupa più della metà del testo e si arriva immediatamente alla conclusione che esplicita un giudizio opinabile, non suffragato da prove, non si tratta di una recensione, ma di mero opinionismo riassuntivo, ossia un riassunto con un’opinione finale.
Manca l’analisi stilistica, la critica vera e propria del testo.
Rimontando al verbo base che la compone, censeo, che significa esprimere un parere, proporre, decretare, stimare, giudicare, essere del parere, trovare ragionevole, consigliare dopo aver accuratamente esaminato e registrato la sostanza di una entità per stabilire la “tassa” da imporre, in senso figurato il valore di quel che si produce (census), una recensione seria si compone di tre parti. La parte introduttiva immerge il lettore nell’atmosfera del libro e può anche non esserne il riassunto, anzi, se si evita di anticipare l’intera trama, è meglio. La parte centrale denota argomentando in maniera precisa pregi e difetti contenutistico-stilistici di un testo. Si arriva così alla conclusione che non deve basarsi su un opinionismo spiccio e fine a se stesso, opinabile nelle sue linee fondanti, ma su prove costruite nella parte centrale. Non per niente il verbo greco che costituisce il calco dell’etimo latino della parola è ἀνασκοπέω, che significa “esamino da cima a fondo, con movimento dall’alto verso il basso”, dunque nel caso dell’opera dopo averla letta tutta ed accuratamente.
Se per esempio nella parte centrale si dice che un autore non sa usare il congiuntivo, si fanno degli esempi precisi a dimostrazione di ciò che si afferma, cercando di eliminare il più possibile la soggettività dai parametri di valutazione di un testo letterario. Laddove un certo grado di soggettività sempre permane, è buona regola non giudicare mai un libro basandosi sui propri gusti personali. Per esempio se non ci piace il romanzo cronachistico, non possiamo dire che un romanzo non ci piace semplicemente perché è cronachistico, se non ci piace il fantasy, non possiamo dire che il libro non ci piace perché è fantasy. Occorre uscire un po’ fuori da se stessi per cercare di costruire una visione oggettiva dell’oggetto libro. Inoltre ci sono alcuni libri non facilmente inquadrabili dentro le tradizionali categorizzazioni di genere, quindi occorre attivare il discernimento critico che non è una parolaccia, ma la capacità di comprendere se un testo sia sviluppato in modo adeguato al di là del genere cui si pensa possa appartenere.
Ci siamo aperti un profilo fb con un nome maschile e abbiamo criticato alcuni articoli del direttore di un noto blog che si occupa di letteratura e che, a detta dello stesso direttore, è molto seguito. In realtà il numero delle visualizzazioni non è indicato, quindi dobbiamo fidarci sulla parola. Ma non facciamo nessuna fatica a credergli. Gli articoli che ci siamo permessi di criticare erano recensioni a diversi libri di Luca Canali, di Roth e altri autori. Il riassunto delle trame occupa in tutti i casi il 90 per cento del testo. Nel caso del libro di Canali si arriva immediatamente alla conclusione che il libro è incoerente, ma di fatto l’incoerenza non è stata rilevata né dimostrata in alcun modo. Il lettore si deve fidare ciecamente e senza prove del parere del recensore. Infatti manca completamente la parte centrale in cui avrebbe dovuto svolgersi la critica. Come sempre accade sui social, non è il direttore del blog e autore della recensione ad aver digerito male la polpetta della nostra critica, ma uno dei suoi collaboratori, anzi una damigella di corte, che molto piccata, ha risposto che non abbiamo postato la foto del profilo. La confutazione della critica viene rimandata, a favore di uno spostamento dell’attenzione dall’oggetto (la recensione del libro con tutti i suoi eventuali difetti), al soggetto (l’interlocutore). Per quanto riguarda la critica che è stata fatta alla recensione, la recensione della recensione di cui si parlava ab initio, la damigella di corte ha risposto soltanto che siccome l’approccio del blog è differente dalle esigenze del criticante, allora va orgogliosa della critica. Insomma non ha confutato la critica.
Dalla conversazione emergono alcuni dati di fatto che secondo noi si ripetono all’infinito nei social. Direttori e gente che rappresenta un ruolo, fanno sempre buon viso a cattivo gioco, mentre stuoli di servi intervengono per offendere l’interlocutore criticandone la persona e cercando di produrre fumo negli occhi di chi legge. C’è un rapporto di sudditanza psicologica che si avverte, è palese, una gerarchia direttore-cavalieri, per cui la zuffa la fa chi non ha ruoli importanti, ma demanda ad altri l’onere di difendere l’indifendibile a spada tratta.
Che la recensione sia di stampo dilettantistico è un fatto oggettivo, non è una critica malevola e ingiusta, mancano proprio le tre parti fondamentali che dovrebbero definire una recensione degna di questo nome, ma il dilettantismo della recensione non viene confutato, viene spacciato come un differente format, differente rispetto agli standard di qualità del criticante.
C’è la tendenza a buttare nei blog una quantità innumerevole di articoli scarsi, privi di qualunque rigore critico, di qualunque approfondimento. Alcuni blog hanno più di 30.000 articoli e se ne vantano, come se la quantità fosse un valore. La quantità serve a essere visibili in rete, si sa che più articoli si buttano nel calderone, più si è visibili, ma alla fine, di tutto questo dilettantismo, resta qualcosa a parte la visibilità?
Se si critica un libro occorre quantomeno avere in mano degli strumenti rigorosi, dimostrare un minimo di competenza, altrimenti si rischia veramente di abituare i lettori all’opinionismo spiccio e inutile con recensioni altrettanto inutili che girano attorno a un mondo senza senso che fa della non-qualità, vanto e pregio e permette a qualunque imbecille di diventare critico letterario.

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https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://www.youtube.com/watch?v=12COkLF3ixg

 

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