Pavese, antifascismo, noia, gloria

Cesare Pavese, La casa in collina, Einaudi Tascabili, 1990

Pavese, antifascismo, noia, gloria

 

Cesare Pavese, La casa in collina, Einaudi Tascabili, 1990

Cesare Pavese, La casa in collina, Einaudi Tascabili, 1990, credit Antiche Curiosità©

 

Lucio Pistis & Sandro Asebès©

Pavese, antifascismo, noia, gloria

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Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo, 9 settembre 1908 – Torino, 27 agosto 1950), è considerato da molti quasi alla stregua di un classico. Scrittore, traduttore e critico letterario.
Pavese deve la sua fortuna letteraria al fatto di aver fatto amicizia con molti intellettuali antifascisti di spicco della sua epoca: Leone Ginzburg, Norberto Bobbio, Massimo Mila e Giulio Einaudi.
Apprezzabile sicuramente il suo impegno antifascista, tuttavia ci domandiamo dopo aver letto La casa in collina, di che tipo di letteratura stiamo parlando.
Se la letteratura ha il compito di tediare e sfibrare il lettore con un pessimismo cupo che sa d’inerzia e di intellettualismo descrittivo, allora Pavese può a buon diritto rientrare nella categoria scrittori da ricordare. Ha una scrittura piuttosto ordinaria, senza impennate liriche, senza patetismi, lineare, corretta, senza follie sperimentali. Il problema è che le trame sono stanche, noiose, i personaggi scialbi, senza colore. Le descrizioni minuziose sui loro atti o sull’ambiente sono del tutto gratuite nel sistema del racconto, servono soltanto ad appesantire ferocemente la narrazione, rendendo la lettura difficoltosa, non perché l’autore usi un linguaggio difficile, tutt’altro, è molto semplice da capire, tutto molto chiaro, senza misteri, ma si perde in particolari privi di qualsiasi importanza strategica ai fini della trama, ci dà una miriade di informazioni di cui francamente potremmo fare a meno. In poche parole è uno degli autori più noiosi che abbiamo mai letto e lo diciamo senza acredine verso l’uomo e il suo pensiero. Però un autore va letto e dalla lettura si capisce di che pasta sia fatto. Per noi Pavese è stato enormemente sopravvalutato dalla critica. Il suo antifascismo, unito alle amicizie importanti, ha creato la sua fama. I suoi libri però non la giustificano.
La casa in collina è un romanzo che si fa fatica a leggere fino in fondo, è come un panino troppo carico in cui il condimento va a finire da tutte le parti, tranne che in bocca, lasciandoti deluso.
I personaggi hanno un’inerzia che non ci permette né di detestarli né di amarli, sono semplicemente indifferenti. I dettagli sulla guerra stancano perché ripetitivi e non funzionali ai personaggi. Si salta così dal romanzo alla cronaca documentaristica e anche la scelta di sposarsi diventa asettica e funzionale a un ruolo:

Fuori finiva un grosso incendio che aveva danneggiato un palazzo sul viale. Dei facchini portavano fuori i lampadari e le poltrone. Sotto il sole, alla rinfusa, avevano ammucchiato mobilio, tavolini con specchi, grosse casse. Quelle cose eleganti facevano pensare a una bella vetrina. Mi vennero in mente le cose di un tempo, le sere, i discorsi, i miei furori… Quando conobbi Anna Maria e la volli sposare. Sarei diventato assistente del padre. Avrei fatto dei viaggi. In casa sua si trovavano poltrone e cuscini, si parlava di teatro e di montagna.

Il racconto è completamente privo di pathos, di quella vibrante passione che rende viva la letteratura…

Ma andiamo un attimo alla sostanza… (Continua su Destrutturalismo n. 1).

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DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Libri Mary Blindflowers

Thinking Man editore

 

 

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