Gaffi, Transeuropa, zero spaccato

Gaffi, Transeuropa, zero spaccato

Gaffi, Transeuropa, zero spaccato

 

Gaffi, Transeuropa, zero spaccato

Giri da fermo, credit Mary Blindflowers©

 

Gaffi, Transeuropa, zero spaccato

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Mary Blindflowers©

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Suprema scortesia da parte di un editore è non firmare la mail di risposta, oppure firmarla con un semplice La redazione, una spersonalizzazione piuttosto frequente tra le case editrici, così si evita il coinvolgimento personale. L’aspirante scrittore non ha un interlocutore preciso, è come se parlasse con un muro. Una bella sensazione. Rispondere senza firmarsi è un modo come un altro per levarsi di torno l’importuno seccatore che si mette in testa di poter sottoscrivere la sua domanda di pubblicazione senza essere presentato da nessuno, come se vivesse nel mondo delle favole.
Non rispondere per nulla è un altro gradevole e frequentissimo servizio di bon ton editoriale che rientra nella cafoneria usuale della prassi. E non lo fanno solo i grossi editori, che avrebbero la scusa di essere sommersi di manoscritti, ma anche quelli piccolissimi e scarsi, con zero distribuzione, Oèdipus, per esempio. Con l’alibi che sono occupatissimi, quel secondo che impiegherebbero a dirti, crepa pure e va’ dove vuoi, con una serie di circonluzioni di pseudocultura posticcia, sarebbe troppo, tempo perso, vino versato alla terra, ecco dunque il silenzio tombale, perché il re è re e tutti gli altri non contano un granché, a meno che non siano amici di qualche loro amico.
Anche la famigerata linea editoriale che diventa risposta da manuale, è un classico: siamo spiacenti di doverle comunicare che il suo lavoro non rientra nella nostra linea editoriale. Significa in parole semplici che non hanno una collana in cui il vostro scritto possa essere incluso.
Ma è sempre vero?
Più della metà delle volte non corrisponde a verità, ma è una risposta standard che usano semplicemente per snobbarvi e dirvi che non vi pubblicheranno mai e che probabilmente non leggeranno nemmeno quello che avete scritto della cui qualità o meno, importa loro quanto il famoso ficco secco dentro una bustina di plastica.
Per i raccomandati la linea editoriale non è mai un problema perché se l’editore non ha la collana, la inventa, la crea apposta per loro oppure usa la dicitura apposita: “fuori collana”. Quando noblesse oblige lo spazio si trova, un posticino per un compagno di partito c’è sempre, lo si costruisce pure ad hoc e anzi il fatto di essere “fuori collana” viene reclamizzato come sintomo di qualità dell’opera che non sarebbe magari inquadrabile in un genere preciso, ma una novità strabiliantissima.
Gli Eap, famigerati editori a pagamento, rispondono subito con un feedback positivo, in modo che vi sentiate lusingati e pensiate immediatamente che valga la pena di sborsare sonanti quattrini, “accollarsi il rischio di impresa”, come dicono quelli che si intendono di economia, per pubblicare un libro che nel 90 per cento dei casi non avrà distribuzione alcuna al di fuori della piccola cerchia dei vostri amici.
Tra gli Eap (editori a pagamento) mi sentirei di annoverare anche un editore che grida ai quattro venti di essere free, ossia Transeuropa che, in risposta alle domande editoriali del signor X, non solo non firma la mail, scrivendo La Redazione al posto di un nome e cognome, ma chiede lo sponsor: il suo saggio è interessante ma lei non ha uno sponsor? Un ente o una università che le finanzi la pubblicazione? Domanda assolutamente retorica, perché guardando il curriculum che il signor X ha inviato si vede che non insegna affatto all’università ma è un ricercatore indipendente e fingono di non sapere, i bravi stampatori, che nessun Ateneo al mondo finanzierebbe qualcuno al di fuori della casta. Ora non si sa se questo tipo di risposta sia per Transeuropa la prassi nella saggistica, oppure se hanno proceduto in questo modo per levarsi di torno un interlocutore sgradito e fastidioso, come trattamento specialissimo riservato al signor X. Fatto sta che chiedere a un non accademico se ha uno sponsor accademico equivale a chiedere al ghiaccio se è acqua calda, e in soldoni dire volgarmente se mi paghi io ti pubblico. Più Eap di così si muore. A questo punto il signor X si incuriosisce per la narrativa e chiede se procedono nello stesso modo anche per i romanzi. Nessuna risposta. Educatissimi, proprio. Il signor Della Casa, autore del famoso Galateo, sarebbe orgoglioso di loro. Del resto vi siete mai chiesti da dove vengano tutti quei bei nomi sconosciuti sulle copertine Transeuropa? Molti di loro non hanno alcun curriculum editoriale. Crescono la notte per i boschi? Eh sì, nelle intricate foreste dei corsi o laboratori di scrittura creativa a pagamento, dello stesso editore con cui poi pubblicano.
Passiamo a Gaffi, editore in Roma, un gran signore, padrone del bon ton e dell’educazione comunicativa a 360° centigradi costo oro colato. Innanzitutto ha un sito dove non si capisce un emerito tubo, né come faccia un comune mortale a mandare gli elaborati in valutazione, questo anche se l’editore dice di essere un tipo che pubblica solo roba molto sperimentale e alternativa, non il solito trombone, insomma, sarebbe uno mentalmente avanzato, mica un Neanderthal qualsiasi. Ottimo, uno a forza di leggere le sue interviste nei blog amici che vogliono ingraziarselo e gli lisciano il pelo e il contropelo, quasi quasi ci crede. Il solito signor X allora va in avanscoperta, e pone una domanda: Spett. Editore, accettate proposte editoriali? E se sì, quali sono le modalità di invio? Cordialmente e appone la sua firmetta di illustre sconosciuto.
Gaffi Risponde dopo trenta secondi primi, caspita che rapidità, più veloce della luce. Senza nemmeno un buongiorno o un buonasera, né un vaffa, né tantomeno firmarsi, poche parole: solo se in armonia con la nostra linea editoriale. Che razza di risposta è? Che vuol dire? Il signor X risponde di aver visto le collane e che l’armonia ci sarebbe, in teoria, almeno, quindi manda. Dopo qualche minuto però l’editore cambia idea dicendo che devono riorganizzare le collane fino al 2021 e che quindi non leggerà un fico secco, risposta in aperta contraddizione con la prima. La seconda volta però si firma, che onore, ora sì che il signor X dormirà tranquillo. Anche in questo secondo caso professionalità pari a zero, educazione inesistente. Non un saluto di prassi, nulla, nemmeno un crepa per far capire che non è un robot di metallo cromato ma una persona reale. Sembra di interagire con un drone o una specie di E.T. telefono-casa, con l’editoria della Nasa.

Queste risposte di due editori tipo, tra l’altro nemmeno troppo importanti, realtà men che medie nel mare magnum dell’editoria italiana, danno la misura di dove la cultura stia miseramente naufragando.
Questa gente non ha il minimo rispetto per il lavoro altrui né per l’interlocutore come persona.
C’è una profonda maleducazione di fondo, si arriva ad abolire perfino la base di una seria risposta professionale, il saluto iniziale e il congedo finale, elementi basilari della compilazione di una lettera formale, cose che si imparano alle scuole elementari. Non esiste più nemmeno quel minimo stilistico rispetto per un autore con cui non hanno dimestichezza e familiarità.
Questi sarebbero operatori culturali?
Renderebbero grande il nostro Paese?
Diffonderebbero il sapere?
Totò direbbe: ma mi faccia il piacere!
Questi avrebbero la famosa carta bianca sulla sorte dei nostri libri con cui nel 99,9 per cento delle volte ci si pulirebbero tranquillamente il culo senza neppure averli aperti? Questi invitano la gente nei blog a mandare i loro elaborati per sottoporli alla loro attenzione? Se non si hanno nemmeno le basi comunicative utili per una interazione normale e non dico cordiale, per carità, ci mancherebbe, ma almeno basilarmente e formalmente educata che abbia i minimi requisiti della professionalità, di che cultura mai parliamo?
Il fatto di possedere un capitale che consenta loro di creare una casa editrice, rende gli editori migliori di un qualsiasi signor X, tanto da dargli il diritto di rispondere senza nemmeno dir buongiorno dopo che gli è stata rivolta la parola in modo educato?
Il fatto di avere due soldi in tasca e creare business, rende gli editori migliori degli autori?
Qui siamo proprio di fronte ad una prepotenza, una cafoneria che la dice lunga sui rapporti di forza tra editori e scrittori, sulla completa sottomissione di questi ultimi, e sulle falsità editoriali spacciate da giornali e blogger che ripetono a pappagallo le sciocchezze-propaganda degli editori.
Nel novanta per cento dei casi poi questi stampatori non saprebbero nemmeno scrivere il bugiardetto delle medicine o compilare l’elenco della spesa. Hanno solo soldi che gli hanno permesso di avviare un’impresa, di stampare e pubblicizzare dei libri non sempre al top, da immettere sul mercato e mandare alle librerie, quando ci arrivano, perché, parliamoci chiaro, l’editoria è diventata solo business. Questo business ora implica anche maleducazione, richiesta mascherata di soldi e mancanza di rispetto, mentre contemporaneamente si sbandiera il prodotto-libro come grande rivoluzione culturale e crescita dell’umanità.

Quando manca il rispetto per gli altri, si ha un valore pari a zero spaccato, si è soltanto dei ricchi cafoni e niente più.

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https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://www.youtube.com/watch?v=Hfok12pL3bw

 

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