Poesia-prosa, densa significazione?

Poesia-prosa, densa significazione?

Poesia-prosa, densa significazione?

Poesia-prosa, densa significazione?

Vintage Print, credit Antiche Curiosità©

 

Lucio Pistis & Sandro Asebès©

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La poesia si sottrae per sua stessa sostanziale natura alla caducità della prosa, utilizza linguaggio e struttura differenti, per brevità e simbologia. Oggi la prosa è diventata poesia e la poesia prosa in un interscambio che spesso fa riflettere e che genera qualche dubbio. Se la poesia perde il suo ritmo e si limita a costruire una prosa che va a capo e viene definita poesia soltanto in virtù di questa operazione, c’è la totale identificazione della poesia con la prosa. Allora, direte voi, tutto è poesia. A noi francamente non sembra. Non siamo fanatici della rima, del ritmo, della metrica perfetta, ci mancherebbe, anzi, a noi piace l’imperfezione, l’osare, lo sperimentare anche neologismi e nuove connessioni, ma quand’è che la prosa che va a capo può essere definita prosa e nient’altro?
Prendiamo una poesia di Sereni:

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Fissità
da “Gli strumenti umani

Da me a quell’ombra in bilico tra fiume e mare
solo una striscia di esistenza
in controluce dalla foce.
Quell’uomo.
Rammenda reti, ritinteggia uno scafo.
Cose che io non so fare. Nominarle appena.
Da me a lui nient’altro: una fissità.
Ogni eccedenza andata altrove. O spenta.

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Qui non possiamo dire che sia semplice prosa che va a capo, anche se il poeta rinuncia volutamente alla rima, il rinunciare alla rima non significa affatto che non sia poesia. La costruzione del verso, nonostante le apparenze, non ha un andamento prosaico, ci sono pause create ad hoc per far riflettere, immagini precise in un gioco di rimandi metafisici sulla condizione umana, “la striscia di esistenza in controluce”. Si noti poi la ricerca delle assonanze omeoteleutiche, si pensi alla dolcezza studiata di quelle schiacciate palatali sorde nella terza linea (in controluce dalla foce), si rifletta sull’aggressività delle rotanti allitteranti in quarta linea con progressiva chiusura delle vocali sillabiche d’appoggio (Rammenda reti, ritinteggia uno scafo) ovvero sull’orgia di sibilanti nelle linee di chiusura (Cose che io non so fare. Nominarle appena. Da me a lui nient’altro: una fissità. Ogni eccedenza andata altrove. O spenta.) Gli accostamenti non sono banali, rappresentano un concerto di densa significazione emotiva. Specialmente nell’individuare l’assottigliamento impalpabile del confine tra sé e il pescatore, la diversità inconciliabile delle attitudini in discrimen: siamo uguali solo perché in vita entrambi! E l’originalità dell’approccio umilissimo dell’uomo di cultura verso l’uomo quotidiano: io non saprò mai fare ciò che egli è capace di fare, a malapena chiamare lessicalmente le azioni di cui egli è maestro! Come non definirla poesia?

Ecco ora alcuni versi di Michele Mari:

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Tu non ricordi
ma in un tempo
così lontano che non sembra stato
ci siamo dondolati
su un’altalena sola
Che non finisse mai quel dondolio
fu l’unica preghiera in senso stretto
che in tutta la mia vita
io abbia levato al cielo

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Il dondolio su un’altalena, l’amore paragonato a un gioco che va e viene. Anche in questo caso prosa non sostenuta da immagini poetiche. L’assenza di ritmo non è compensata da flash originali e suggestive simbologie. Sembra L’orchestra Ringo & Samuel che canta L’amore è come un’altalena. Ma v’è di più: un’approssimazione stilistica riscontrabile dall’assenza di punteggiatura, come ad esempio in quell’avversativa non preceduta dal canonico asindeto, ovvero nel palese colloquialismo di “in senso stretto” riferito al termine “preghiera”; che rappresenta considerare una prece da rivolgere alla divinità la richiesta di eternare l’oscillazione su un subibaja? La prolessi della relativa impropria (Che non finisse mai quel dondolio), lungi dal risultare figura retorica gradevole, appesantisce lo stile del pezzo, poiché lo ingravida di ridondanza, in ragione di un altro pronome relativo acrostico a distanza di due linee (che in tutta la mia vita /io abbia levato al cielo). Contenutisticamente rilevabile come ridicolo un concetto espressivo di anelito fortemente afflittivo che va ad esprimersi in una metafora infantile ed infertile quale quella della tensione a stornare il volto dalla realtà tetra ed ordinaria nel suo divenire quotidiano pur di eternare le delizie da bimbetti; il tutto riferito ad un legame sentimentale che richiederebbe ben altri empiti e pulsioni!

Scendiamo ancora più in basso, verso orizzonti cloacali, Aldo Nove:

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Io se fossi un pannolino avrei bisogno della merda di un
Bambino per esistere
Perché la merce invenduta piange
E non capirei perché un bambino nella sua vita caga
Migliaia di pannolini ma non me
Che sono un pannolino normale come gli altri
Con il mio codice a barre normale
Sulla scatola…

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Francamente ci viene da ridere al solo pensiero di poter definire questa defecata di bambino, poesia. Già definirla “brutta prosa” è elevarla. Si tratta semplicemente del prodotto stercorario di ciò che il Dio Sterquilinus agevolava negli infanti!

In sintesi per scrivere poesie in prosa bisogna essere poeti e davvero in pochi lo sono.

https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://www.youtube.com/watch?v=aWmkuH1k7uA

 

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