Saggistica, casta, classica risposta

Saggistica, casta, classica risposta

Saggistica, casta, classica risposta

Pubblicare saggistica? Sistema chiuso

Sculture di Antony Gormley, credit Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

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Pubblicare saggistica? Sistema chiuso

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Voi che scrivete saggistica, vi siete mai sentiti dire da un editore che anche se il vostro lavoro è valido e ben strutturato, interessante tanto da poter comparire in una delle sue collane, non può essere pubblicato senza sponsor?
È una risposta classica che ogni buon saggista indipendente e svincolato da circuiti chiusi di tipo accademico, si è sentito dare parecchie volte nella sua vita, se ha scritto e proposto più di un lavoro a diversi editori.
I motivi di questa risposta sono abbastanza evidenti.
Di fronte a tre saggi validi, scritti da tre persone diverse, un giornalista, un professore universitario e un ricercatore indipendente e libero, la scelta, per come è strutturata oggi l’editoria, butta dalla torre sempre e soltanto il saggista indipendente e non perché la qualità del suo lavoro sia scarsa, tutt’altro. Nonostante venga giudicata da più editori, interessante, c’è un rifiuto alla pubblicazione, a meno che l’autore non paghi. Si sa, coi soldi si risolve sempre tutto. E se anche il libro del giornalista o del professore non raggiungesse la qualità letteraria e la profondità del lavoro del libero ricercatore, quest’ultimo avrebbe sempre inevitabilmente la peggio. Il motivo è che l’università sponsorizza i lavori dei docenti, in poche parole paga l’editore affinché venga pubblicata l’opera del professore X e della professoressa Y, sostenendo le spese di stampa.
Inoltre l’accademico ha un bacino d’utenza per vendere che è dato dai suoi studenti, quindi l’editore avrebbe già in anteprima un certo numero di vendite garantite dall’autore stesso.
Chi si è laureato o perlomeno ha fatto alcuni esami universitari, avrà sicuramente notato che tra i testi da studiare ad ogni esame, il professore assegna tra i libri fondamentali che si debbono acquistare per forza, o il suo stesso libro, oppure i libri dei suoi amici docenti, quelli della sua stessa area politica. Un gioco che paga. Senza quel libro non puoi dare l’esame, anzi alcuni docenti arrivano spudoratamente a richiedere al candidato di mettere il libro sul tavolo al momento dell’esame, in modo che lo studente non possa barare con le fotocopie.
Ricordo un noiosissimo libro sugli idrocarburi in Sardegna: La distribuzione dei carburanti per autotrazione in Sardegna. Ricerche di geografia applicata all’assetto economico e viario della regione, (il titolo soltanto bastava a scoraggiare qualunque persona sana di mente senza propensione al suicidio), pieno di terribili quando aridi e sterili dati statistici che ti facevano venire un sonno tremendo dopo poco meno di dieci minuti di lettura. Ebbene, un professore ci costrinse a comprare il suindicato testo per dare l’esame di geografia.
Il docente interrogava il candidato e gli chiedeva espressamente prima di ogni altra cosa di mostrargli il libro, obbligatorio portarlo e appoggiarlo sul tavolo, in modo che fosse ben visibile, per dimostrare che era stato realmente acquistato. Mancava soltanto che chiedesse lo scontrino.
Del resto in che altro modo si poteva vendere qualche copia di quell’orripilante tedio cartaceo, perché in soldoni, a chi poteva mai interessare realmente al di fuori dell’esame, un mattone del genere, buono a raddrizzar tavoli sbilenchi?
Anche i giornalisti pubblicano più facilmente di un comune indipendente mortale, specie se lavorano per giornali importanti dove pubblicità e politica sono garantite. Poco importa se l’autore non ha avuto tempo per la bibliografia o le note a pie’ di pagina che ritiene superflue, come spesso l’indicazione della fonte da cui ha attinto le notizie.
In tutto questo i contenuti contano poco.
L’interesse verso il contenuto reale del testo o la precisione con cui è stato costruito, indipendentemente dal nome dell’autore, secondo la logica di ragionamenti attuale, appare davvero del tutto marginale.
È il trionfo del nome, della categoria, della classe e della casta.
La cultura così diventa un monopolio per sole classi privilegiate.
Si parla tanto di pluralismo, di società aperta, di libertà delle interpretazioni di un testo, ma di fatto il sistema è chiuso a chiave, con porte blindate che impediscono l’accesso a chiunque non faccia parte di un gruppo ristretto.
Famosi imperativi ormai logorati dall’uso e dall’abuso, del tipo leggete libri, studiate, non siate ignoranti, approfondite, i libri sono il cibo della mente, andrebbero un attimo ridimensionati perché il lettore pensa di poter scegliere, ma di fatto gli viene data soltanto la possibilità di leggere i libri della casta, escludendo tutti gli altri che non vengono spesso pubblicati perché non hanno sponsor. Se si parte da un principio di discriminazione elitaria, se si parte dal vile denaro, come base unica per la pubblicazione di un testo, come si può mai parlare di cultura a 360 gradi?
La cultura in realtà non esiste, esiste un simulacro unidirezionale di conoscenza che parte da una classe che del privilegio ha fatto scuola e che ha tutto l’interesse a lasciare le cose come stanno.
Quindi se un editore vi chiede lo sponsor per pubblicare un saggio che ritiene valido, significa prima di tutto semplicemente che non esiste meritocrazia, che non siete nati nella giusta classe sociale. Chi sponsorizzerebbe mai un pinko palla fuori dai circuiti accademici?
Tutto questo segna un impoverimento culturale devastante, che ostacola il progresso a favore di una staticità che impedisce il movimento di pensiero. La tanto sbandierata cultura oggi, è soltanto un simulacro posticcio, un’ombra da mito platonico della caverna che inconsistentemente veleggia nel mondo della mera apparenza e dell’indecenza di una vera e propria discriminazione sociale spacciata per grande rivoluzione culturale.

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https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://www.youtube.com/watch?v=vrpJB7ucC5Y

 

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