Neologismo emozionale, poesia, linguaggio

Neologismo emozionale, poesia, linguaggio

Neologismo emozionale, poesia, linguaggio

Di Mary Blindflowers©

Neologismo emozionale, poesia, linguaggio

Generazione spontanea, credit Mary Blindflowers©

 

Diceva Cioran: “Non si abita un paese, si abita una lingua. Una patria è questo, e niente altro”.
Il neologismo, νέος-λόγος, è parola nuova che nasce e cresce per un’esigenza di esprimere ciò che non si può rendere bene con parole già in voga. Stante la limitatezza di ogni linguaggio, per cui nessuna parola al mondo potrà mai esprimere fino in fondo tutte le sfumature dell’anima, c’è però sempre la possibilità di composizione e scomposizione del suono in parole inventate, non è del resto inventato tutto il linguaggio? Non abbiamo dato arbitrariamente un nome a tutto? Vero è che nella finitezza di quel nome non possiamo esprimere che solo una piccolissima parte di realtà, per questo la lingua si evolve, a causa della sua stessa limitatezza intrinseca, che ha bisogno di espandersi e occupare nuovi spazi per cercare di avvicinarsi a un pallido tentativo di dire ciò che non si può esaurire nel solo suono e significato, etc.
Ci sono diversi tipi di neologismi, quelli derivati da parole straniere, i cosiddetti forestierismi o prestiti; quelli sincratici che fondono parole già esistenti, creandone una nuova; gli accorciati, i composti, le formazioni giustapposte, gli acronimi, i tamponamenti, i neologismi socio-politici, scientifico-tecnologici, artistico-letterari.
Tra questi ci sono i miei preferiti, quelli che con termine assolutamente arbitrario amo chiamare “emozionali” perché nascono ed esplodono da dentro come un grido inopportuno e improvviso e vengono incastonati in seno a una poesia o a uno scritto in prosa per dire ciò che una parola nota non riuscirebbe ad esprimere fino in fondo. Si tratta di parole istantanee che hanno una radice più che altro istintiva e subconscia, nascono infatti dall’immediatezza esplosivo-automatica di una scrittura veloce persa nell’attimo transeunte che viene dato in dono alla carta bianca, in modo che ne conservi il ricordo e venga imprigionato l’istante che altrimenti andrebbe per sempre perduto.
Però il neologismo non può essere soltanto gioco di parole fine a se stesso.
Anche un neologismo puramente emozionale, giocato sull’assonanza, sulla decostruzione e ricostruzione istintiva della parola nota fino a renderla diversa, irriconoscibile, dico, perfino il suono onomatopeico, deve avere comunque e sempre un senso e uno spessore in un gioco di rimandi e corrispondenze.
Siccome il neologismo, come dice la parola stessa, dovrebbe essere nuovo di zecca, non si trova dentro il vocabolario, quindi si pone immediatamente il problema di come dare significato, Anche qui il gioco è istintivo, veloce nel caso di un neologismo emozionale. Il ruolo fondamentale è dato dall’innesto nel contesto in cui la parola viene incastrata.
Non mi piace la baruffa buffa di parole tanto per fare.
Ogni parola deve avere un significato e essere usata con uno scopo. Depauperare le parole di contenuto a favore del gioco stilistico amato e lusingato da tanta nuova e vecchia poesia sperimentale o prosa innovativa, rende il neologismo atono, creando una poesia spenta e innocua che piace al potere, una prosa che gira interminatamente in circolo come una trottola e finisce con il dire nulla. Molti poeti amano creare vacuità contenutistiche che servono a lucidare gli stipiti delle porte e delle finestre editoriali, così attente all’innocuità del senso, ma non hanno vera forza espressiva o trasgressiva.
A questo punto si pone il problema della traducibilità del testo poetico in termini comuni.
Un testo poetico deve essere immediatamente comprensibile?
Il testo poetico ha un universo simbolico che la prosa non può rendere, per questo si scrivono poesie. Non è detto che debbano essere percepibili al volo. Su alcune occorre soffermarsi di più per capire, specie se si percorre la via sperimentale del neologismo che si sa non è gradita a molti, oppure piace se non ci sono complicazioni contenutistiche. In poche parole niente è più allettante del nulla, ma il nulla è destinato a rimanere tale. Ogni gioco di parole deve sottintendere qualcosa, altrimenti diventa un soprammobile barocco, un esercizio stilistico senza vigore, un cachet di arzigogoli che riempiono gli occhi ma non saziano la mente.
Il neologismo non è amato anche perché pone problemi di traduzione di non poco conto e presuppone uno sforzo in più sia da parte dei lettori che dei traduttori che di eventuali recensori del testo, soprattutto quando non ci si trova in presenza di neologismi di suffissazione deonomastica, prefissazione, infissazione, composizione, o di fronte alle comuni parole macedonia, che sono piuttosto semplici da tradurre. Quando si è di fronte a un testo letterario o una poesia in cui il significato del neologismo si deduce dal contesto e può avere anche polisemantiche sfumature difficili da rendere in un’altra lingua, le cose si complicano per chi vuole la comprensione immediata. Se il neologismo non è costruito a tavolino con l’etica dei prefissi e dei suffissi, ma con l’istinto del verso e del ritmo in vista di un significato che non sia solo gioco di suoni, diventa abitare la lingua, per creare la propria utopica patria poetica, la propria identità di anarchica scrittura che non ha nulla a che fare con la patria ufficiale e la sua retorichetta dell’innocuità per sempre, perché l’utopia delle lettere è davvero un altro mondo.

 

 

https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://www.youtube.com/watch?v=iywaBOMvYLI

 

 

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