Decamerone: giornata quarta, cenni

Decamerone: giornata quarta, cenni

Decamerone: giornata quarta, cenni

 

Decamerone: giornata quarta, cenni

G. Boccacci, Il Decamerone, Formiggini, Roma, 1924, credit Antiche Curiosità©

Mary Blindflowers©

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Decamerone, giornata quarta: cenni.

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Nell’introduzione della giornata quarta, Boccaccio riporta le critiche che vengono rivolte alla sua opera, divulgata prima che fosse completata. Una di queste critiche era quella che l’autore divulgasse una realtà deformata: “… e certi altri (dicono) essere state le cose da me raccontate, che come io le vi porgo, s’ingegnano, in detrimento della mia fatica di dimostrare”. E in effetti l’inverosimiglianza di molte situazioni raccontate e talvolta il barocchismo dello stile sono gli unici difetti attribuibili a Boccaccio. Luigi Russo commentando il proemio del Decamerone chiamava “girigogoli barocchi e gravi” certi suoi periodi del proemio, attribuendo questo difetto stilistico al “riflesso del suo religioso superficiale sentire”. È vero che a volte Boccaccio gira su se stesso e ha un tono pedantesco, tuttavia non si comprende come si possa legare un difetto stilistico con una concezione religiosa, come si possa dire che Boccaccio avesse una visione religiosa superficiale. Una critica ingiusta basata sul fatto che Boccaccio rinuncia alla mistica dantesca a favore di una poesia terrena e di una spiritualità più moderna e progressista, addirittura vicina ai tempi moderni, svincolata dai precetti irreali della chiesa ufficiale anche oggi sempre più anacronistica e corrotta. Scriveva Russo:

 

in Boccaccio, nonostante la pedanteria del costrutto, si pone una dimestichezza un po’ grossa tra dio e un uomo involto nei piaceri delle fatiche d’amore, e vengono fuori dei girigogoli barocchi e gravi riflesso di quel suo religioso superficiale sentire. Dio è subito rapidamente dimenticato, e resta un puro e semplice cappello proemiale… la protasi teologica è propriamente schiacciata dal giro anfrattuoso del periodo, dove tutto ragiona soltanto d’amore…” (G. Boccaccio, Il Decameron a cura di Luigi Russo, postille critiche, Sansoni, Firenze, 1944, p. 273)

L’uomo boccaccesco appare a Russo troppo laico, troppo evoluto e spregiudicato, un uomo che dà del tu a dio, dimentica di averne paura, lo prende per i capelli e lo trascina sulla terra. Tutto questo sarebbe la causa degli arzigogoli stilistici del Boccaccio? Il barocchismo dipenderebbe dal fatto che Dio non ha in Boccaccio la stessa importanza che riveste nella costruzione teologica di Dante? Se Boccaccio avesse potuto sentire le insensate accuse di Russo, probabilmente gli avrebbe risposto per le rime oltre che per la prosa. Le considerazioni di Russo sembrano la replica di quelle medioevali, riportate nella giornata quarta, quando i detrattori di Boccaccio lo accusavano di occuparsi troppo d’amore e di donne e poco di questioni importanti. Russo insiste, imperterrito, definendo Boccaccio “un monello che si mette ad argomentare da pedante”.
Boccaccio era troppo rivoluzionario per l’epoca reazionaria in cui Russo visse, contaminata e intossicata dal ventennio e dai suoi anacronismi. Il trecentesco Decameron era troppo avanti per l’Italia fascista reazionaria e cattolica e il suo autore un “monello” filogino, anticipatore di un umanesimo laico e anticlericale di stampo naturalistico in cui la soppressione religiosa degli istinti non era vissuta come positiva e in cui l’attenzione per le donne sia come destinatarie del suo lavoro, sia come personaggi carnali e sensuali delle sue novelle, frastornava la morale italiana dei benpensanti. Boccaccio opponeva alla morale astratta e teorica della religione tradizionale, la morale naturale della vita vera e degli istinti umani che non si possono sopprimere efficacemente con la teologia…

 

https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://www.youtube.com/watch?v=Vo6lHmpAwuM

 

 

 

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