Non posso insegnarvi nulla

Non posso insegnarvi nulla

Non posso insegnarvi nulla

 

Non posso insegnarvi nulla

Antique Engraving Print, Shylock After the Trial, 1873, credit Antiche Curiosità©

 

Di Mary Blindflowers©

Non posso insegnarvi nulla

 

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Corsi di scrittura creativa, non che abbia nulla contro chi insegna a scrivere correttamente, del resto se uno non ha imparato la grammatica alle elementari e alle medie, liberissimo di fare corsi e corsettini a suo piacimento. Oggigiorno però, c’è un corso per tutto, anche per imparare a lavarsi le mani, contare granelli di sabbia, inscatolare pensieri, acchiappare mosche, potare la barba ai fagiani. Nel caso dei corsi di scrittura creativa è quest’ultima parola che mi disturba parecchio, “creativa”. Laddove nemmeno le accademie e le scuole d’arte sostengono di insegnare a dipingere, i corsi di scrittura insegnano addirittura a essere creativi e come ci riescono? Sostenendo che la “è”, terza persona singolare del verbo essere va accentata e che il passato remoto del verbo cogitare è cogitasti; che è meglio fare periodi brevi e secchi, se non sei troppo esperto; che esistono avverbi e luoghi comuni che sarebbe meglio evitare. Poi si leggono brani di scrittori alla moda per osservarne le mirabolanti e fantasmagoriche evoluzioni stilistiche; si prova a scrivere un raccontino e l’insegnante ti dice perché il tuo raccontino non sarebbe sufficientemente creativo, in quali punti cederebbe, cosa modificare senza che il lettore si addormenti, etc. Tutto questo si chiama  insegnare la “creatività”. Tutto molto bello.
In pratica secondo questo principio paghi e diventi uno scrittore. Chiunque abbia il portafoglio gonfio si iscrive ad un corso di scrittura creativa e diventa scrittore, sì perché poi questi corsi che diventano pure famose scuole, ti rilasciano l’attestato di creativo testato che può prendere a testate già tastate tutto il mondo editoriale.
A parte che il metodo selezione scrittori puzza leggermente di classismo, dando per scontato che soltanto quelli in grado di pagarsi un più o meno costoso corso di scrittura creativa, debbano e possano avere ingegno. Sapete l’ingegno, il talento, quella parola così obsoleta, quella specie di deus ex machina, ingestibile che fiorisce un po’ a caso, e senza alcun rispetto per il censo, la condizione sociale, la noblesse oblige.  Eh sì, che screanzato, questo talento. Ma come osa albergare in soggetti che non siano più che ben nati! Che scandalo, che maleducazione, che impertinenza assurda. Chiudiamo il talento in un carcere di massima sicurezza, fingiamo che non esista, condanniamolo all’ostracismo, all’isolamento, alla denutrizione, alla fame imposta come risposta upper class alla voracità del caso, che non ha naso, non ha creanza, non ha buon gusto, questo caso che si permette di centellinare talento dentro menti di persone non socialmente integrate. E poi, parliamoci chiaro, l’alta borghesia ha le sue regolette precise, chi non ne fa parte è invisibile, out, fuori. Quindi per giustificare l’ingiustificabile ecco il corso di scrittura che, in barba al talento che è innato, mistifica, e insegna una creatività artificiale che non esiste, ti vende a caro prezzo fumo con contorno di illusioni. Che poi questo fumo diventi pure un caso editoriale per aver frequentato corsi di scrittura creativa tra i più costosi, quelli dove si radunano come lupi in cerca di prede, gli editor rigorosamente tesserati di mezzo mondo editoriale che conta, non è infrequente.
Il caso letterario montato ad hoc, spesso e volentieri, non è nemmeno letteratura, ma un’operazione politico-economica tesa a distribuire, rendere iper-visibile iper-pubblicizzato e acquistabile in ogni angolo un prodotto innocuo, politicamente corretto, gradito al potere, alla massocrazia, alla pattume-libreria.
Stiamo parlando di una trappola per polli, oggetti simil-libri di cui si dice prima ancora di vendere, che hanno venduto, in modo che la gente si incuriosisca e compri.
Ormai la scrittura non è più un’operazione solitaria ma comunitaria, laddove per comunità delle lettere si intende quella ristretta cerchia alto borghese di aspiranti scrittori in erba, figli più o meno sempre di qualcuno, a cui per diritto divino e della loro borsa gonfia, si concede l’appellativo di creativi.
Peccato che la creatività non si possa pagare, non c’è denaro che possa comprarla, non c’è corso alcuno che possa venderla, perché i soldi sì, servono a diventare scrittori che non scrivono ma non servono a diventare scrittori creativi che scrivono veramente.
Chi scrive lo fa da solo, non in compagnia di editor e insegnanti, pagando, e lo fa perché ne ha voglia e lo sa fare gratis, non perché qualcuno glielo abbia insegnato. L’insegnamento fittizio serve solo in alcuni casi a fare carriera, non a scrivere. Nessuno può insegnarti a scrivere se non hai talento. Se n’è accorto pure Hanif Kureishi che dopo aver insegnato scrittura creativa presso la Kingston University di Londra, ha dichiarato che il 99,9 per cento dei suoi studenti si è rivelato completamente privo di talento: “it’s probably 99.9 per cent who are not talented and the little bit that is left is talent”. I corsisti saprebbero sì scrivere correttamente, ma questo non basta per essere scrittori. Scrivere una storia è un compito che richiede una capacità che non può essere insegnata: “A lot of my students just can’t tell a story. They can write sentences but they don’t know how to make a story go from there all the way through to the end without people dying of boredom in between. It’s a difficult thing to do and it’s a great skill to have. Can you teach that? I don’t think you can”. Kureishi conclude affermando che non spenderebbe mai migliaia di sterline per questi creative writing courses, perdite di tempo: “waste of time”.
La prima cosa che dovrebbe dire un insegnante di scrittura creativa, se soltanto fosse intellettualmente sincero è: “non posso insegnarvi nulla”.

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