La rivoluzione comoda comoda

La rivoluzione comoda comoda

La rivoluzione comoda comoda

Di Mary Blindflowers©

La rivoluzione comoda comoda

The comfortable revolution, drawing on paper by Mary Blindflowers©

 

La rivoluzione scomoda è quella di cui non si parla mai, quella di chi sostiene che non puoi guardare il dito indicando il cielo, evitando di capire cosa c’è dietro le nuvole, come funziona il meccanismo del proprio tempo.
Un intellettuale che non vede le storture del sistema in cui è costretto a vivere non può produrre cose nuove, perché ha per forza di cose una visione parziale della realtà.
Uno scrittore che rifiuta di comprendere lo stato in cui versa l’editoria italiana, e dice contemporaneamente di non essere affatto interessato al discorso economico, mente due volte.
Qualunque scrittore, buono o cattivo che sia vuole vendere e vuole vendere non per i soldi in se stessi ma perché il fatto di aver venduto indica che più di qualcuno ha letto il suo libro, e se il libro è comunicazione, essere letti è il fine ultimo, a meno che uno non voglia scrivere per se stesso e farsi un’autoanalisi del serpente che si morde la coda. In quel caso perché pubblicare? Basterebbe tenere un diario intimo, come si faceva alle elementari, quei diari con la chiavetta di latta che nascondevano pensierini e segreti di Pulcinella.
Chi dice che il lato economico non conti, se la sta raccontando per paura di affrontare le cose come stanno e raggelarsi in discorsi oziosi e privi di senso. Soltanto che il lato economico è monopolizzato dalla politica.
La rivoluzione comoda comoda, quella della stessa upper class che studia in importanti università a pagamento e poi pensa di fare letteratura rivoluzionaria e innovativa, non parla mai di questo, sorvola, ma che volgarità il lato economico, noi qui si fa cultura con la c maiuscola, noi scriviamo dimenticandoci che scrivere può anche essere un lavoro, lo facciamo per diffondere il nostro stile nuovo e fresco, perché siamo i samaritani della letteratura e vogliamo un mondo migliore. Poi si lamentano, questi stessi samaritani, che ci sono in giro tanti libri brutti.
“I libri brutti”.
Da dove vengono?
Come mai stanno in libreria?
I rivoluzionari per finta che sostengono che gli editori pagano i loro autori puntualmente, poi si lamentano dei pessimi libri commerciali, non si chiedono mai perché libri improponibili campeggino nelle vetrine.
Chi pubblica questi libri brutti? La fata turchina?
Si omette di dire, si critica il prodotto ma mai il produttore. I libri letterariamente scarsi che intasano le librerie sono forse nati dal nulla? Ma non era scientificamente superata la teoria della generazione spontanea? Perché degli oggetti di carta scritti coi piedi stanno in grandi pile dentro posti che si dice vendano libri?
Il rivoluzionario comodo comodo questo non lo sa o finge di non sapere, perché non si pone domande ma offre risposte. La risposta è facile, a portata di mano, la domanda complica, infastidisce, irrita.
Così il nostro rivoluzionario comodo comodo fa un manifesto in cui dice che bisogna dare più forza e vigore alla letteratura e combattere contro i “libri brutti” senza capire come nascano e perché. Le origini sono ritenute coserelle prive di importanza.
Con quale ricettina della nonna si combatte l’antiestetica invasione di ultracorpi inutili nelle librerie? Con lo stile, dando alle stampe “cose nuove” che non ricalchino il realismo pedissequo di opere del passato, ma diano modo al lettore di usufruire di una comunicazione più alta, non commerciale. Tutto molto bello, condivisibile. Non fa veramente una piega. Manca qualcosa però. Molte risposte poche domande. La punta dell’iceberg è quello che si vede ma la parte migliore sta sotto.
C’è tutto un mondo sommerso in editoria, un mondo che consente soltanto a chi ha forti aderenze di andare avanti e di farsi un nome, c’è un mondo di editor che reclutano compagnie di lecchini a pagamento direttamente dai loro corsi di scrittura creativa, poi ci son i figli degli accademici, dei registi, degli scrittori, le pupille dei critici, le tessere, etc, etc.
Il rivoluzionario da salotto fa la tosse, si aggiusta gli occhiali, si liscia i pantaloni di Armani e dice che a lui non interessano queste cose, gli interessa solo la scrittura, non fa discorsi politici, perché per combattere la politica devi fare politica, quindi non si pone domande e non si interessa del perché e del percome dei fenomeni, ma solo di ciò che vede. Si limita a discutere di faccende stilistiche. Il discorso a questo punto si fa elitario, parziale, ozioso, circolare, comodo, comodo.
Puoi optare per il realismo o per l’onirismo, puoi cercare di fare sperimentalismo, puoi farlo bene, puoi farlo male, puoi combattere contro l’onnipresenza ingombrante degli autori, puoi preferire il silenzio al rumore, la qualità al business, si possono fare discussioni infinite sulla letteratura e sulla poesia e sull’arte in genere, resta il principio che mettersi i prosciutti sugli occhi per non vedere che i libri che dominano il mercato nascono da un’editoria che non funziona perché è in mano a una casta che della letteratura e della bellezza e dello stile e della poesia, se ne frega altamente, significa originare discorsi e manifesti e proteste parziali, all’acqua di rose; significa guardare l’iceberg senza capire che esiste un suo mondo sommerso, quel mondo che pubblicizza autori mediocri come se fossero dei scesi dal cielo a miracolare, che corre a recensire positivamente i libri business replicati in pile e pile di carta sprecata dentro librerie indegne di essere chiamate tali; non vedere e non farsi domande mai significa fare una rivoluzione comoda comoda, chiedendo scusa a sua Altezza editoria, prima di parlare.

 

https://antichecuriosita.co.uk/il-destrutturalismo-punti-salienti/

https://www.youtube.com/watch?v=YfLUYSxCmyw

 

 

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