Il silenzio sul Pitù

Il silenzio sul Pitù

Il silenzio sul Pitù

Di Mary Blindflowers©

 

Il silenzio sul Pitù

Paolo Toschi, Invito al folklore italiano, 1963, credit Antiche Curiosità©

 

Nel 1963 Paolo Toschi pubblica un libro sul folklore italiano: Invito al folklore italiano Edizione Studium, copertina rigida con sovraccoperta illustrata a colori. Non si tratta di un lavoro sul campo alla De Martino, bensì di una raccolta di usi, consuetudini e costumi popolari italiani di cui l’autore ha trovato rade e conosciute notizie in vari documenti e libri. Si tratta di un testo che, se da un lato dà al lettore una visione d’insieme stile carrellata, delle tradizioni regionali dello Stivale, con un accenno a canti popolari e particolari manifestazioni in uso in ogni regione, dall’altra lascia attoniti per i toni idilliaci, rarefatti, edulcorati e la completa indifferenza dell’autore nel riferire come si svolgono barbare manifestazioni folkloristiche, sì, perché esistono tradizioni buone e cattive, si sa. I canti popolari, i costumi e le poesie attengono al primo gruppo, del secondo invece fanno parte i massacri di animali con la scusa che lo impone la tradizione.
Toschi descrive molto bene il “testamento del pitù”:

Un’altra usanza carnevalesca viva tuttora in alcuni paesi del Piemonte, è specialmente nel Monferrato, come per es. a Tonco, è il testamento del pitù, cioè del tacchino. Il volatile vien legato con la testa penzoloni a un palo eretto appositamente, e i cavalieri che prendono parte alla gara, passando di corsa colpiscono con un bastone il capo del disgraziato animale, fino a che si stacca sprizzando sangue all’intorno. Subito dopo, da una tribuna eretta sulla piazza, un “uffiziale” vestito con particolare dignità, legge il testamento che si suppone sia stato dettato dal pitù prima di morire. In esso, sotto forma di lasciti e ammonimenti a questo e a quello, si compie una rassegna satirica per tutte le magagne, gl’imbrogli, gli scandali avvenuti in paese durante l’anno. L’origine di questa usanza che sopravvive sotto altre forme anche in altre regioni d’Italia, è antichissima e si riconnette con la confessione pubblica dei peccati, che si faceva nelle cerimonie della grande festa di Capodanno (p. 194).

Anna Maria Ortese si ribellò a questa usanza:

Se sia lecito esporre une bestia a questo spettacolo che probabilmente la spaventa e la fa soffrire, poi ucciderla in pubblico, per divertimento, e poi bastonarla ancore per divertimento, io non credo che sia lecito…

Paolo Toschi che ha sempre sporte di lodi sperticate per le tradizioni nostrane, in questo caso, dopo aver riferito la barbara usanza, tace. Non spreca nemmeno una parola per dire che forse uccidere pubblicamente un tacchino a bastonate per continuare una tradizione assurda, è manifestazione che occorrerebbe non continuare a mettere in pratica. L’aspetto che più infastidisce dalla lettura del libro di Toschi, (che ovviamente non fa un fiato neppure sul Palio di Siena, altra manifestazione di crudele maltrattamento degli animali), è che non si tratta di un resoconto impersonale delle varie tradizioni, infatti l’autore propina al lettore il suo parere in continuazione, descrivendo pure episodi di incontri personali, ma sigilla la penna quando si tratta di commentare usanze discutibili e crudeli, trincerandosi dietro il silenzio. Il libro rasenta il ridicolo quando Toschi dice di scandalizzarsi per la Befana e riporta il parere negativo di altri, in modo da non esporsi troppo:

… la befana è brutta e porta ai bimbi cattivi cenere e carboni spenti, ma… in alcuni paesi un uomo truccato da befana arrivava d’improvviso quando i bimbi eran soli in casa, e con parole incomprensibili, mugolando e bofonchiando li terrorizzava lasciandoli in uno stato compassionevole. “Una semplice finta! Sì ma sciocca e malvagia, certamente funesta!” Commenta l’insigne folklorista marchigiano Giovanni Crocioni… (p. 250)

Anche sui botti di Capodanno a Napoli, il Toschi si astiene dal sottolinearne la pericolosità e riporta uno stralcio fin troppo irreale di Bourcard da Usi e costumi di Napoli:

Allo scoccar delle ventiquattro ore, e quando Napoli si siede alle centomila sue mense, incomincia lo sparo degli artifizi. I tuoni, le fiscelle, le folgori, le folgori pazze, i tric-trac, i fit-fit accompagnano i brindisi e le allegrie della tavola; gli amori galoppano, le dichiarazioni sono coverte dagli spari, le strette di mano sono nascoste dallo stomatico; tutte le fisionomie sono gioconde e vermiglie, tutti i cuori si espandono tutti ciarlano, ridono, ogni sofferenza sparisce, ogni malanno è posto in oblio, tutti sono ricchi, tutti contenti… (p. 217)

Lo stile di scrittura è ampolloso, retorico, noioso e le informazioni tutte di seconda mano.
Un libro deludente che dice tante cose senza approfondirne nessuna. Il libro di un accademico che non vuole esporsi.

https://antichecuriosita.co.uk/destrutturalismo-e-contro-comune-buon-senso-psico-pillole/

https://www.youtube.com/watch?v=HPQXSjoo-Zo

 

 

 

 

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