Meglio lavandaia che intellettuale

Meglio lavandaia che intellettuale

Meglio lavandaia che intellettuale

Di Mary Blindflowers©

Meglio lavandaia che intellettuale

Intellectual Conversations, mixed media on canvas by Mary Blindflowers©

 

L’avversativo rivela la sua tragica evidenza di merce scaduta o in scadenza, che parte verso il nulla, nel preciso momento in cui la discussione dai principi si sposta sul soggetto. Ora poniamo che un qualsiasi Pinko Palla dica che non gli piace sottolineare i libri, oppure che non gli piace un libro che ha letto, che non gli piace un film che ha visto, motivando le sue ragioni.
Si può essere d’accordo, non essere d’accordo, ognuno è liberissimo di esprimere un’opinione favorevole o contraria, anzi contrarissima, spiegandone i motivi. L’inaccettabile non è ovviamente l’opinione contraria ma l’avversativa che non solo è completamente depauperata di argomentazioni valide, ma si permette pure di dare giudizi di valore sull’interlocutore, quando non addirittura di fare la morale:

Se non la pensi come me ti dai solo arie; se il tuo pensiero non coincide con il mio sei solo un cretino, non capisci niente; se il mio libro non ti piace, non sono io deficitario, dato che il mio libro è perfetto, sei tu che non capisci nulla, dovresti studiare di più, non hai compreso il mio genio.

Di fronte a tanta stupidità ci si ferma.

Che la dialettica sia morta lo sappiamo tutti, che la madre degli imbecilli sia sempre gravida, anche. La situazione si complica quando questa particolare genia di imbecilli cronici si infila dentro il cervelletto polveroso l’idea balzana di fare cultura.
Di solito e, per tradizione, il pettegolezzo da cortile viene attribuito razzisticamente a categorie sociali svantaggiate che non hanno potuto studiare. Un tempo si vociferava sulle chiacchiere da lavandaie. Ma fidatevi, gli intellettuali chiacchierano di più e siccome oggi la biancheria sporca non si lava più a mano come un tempo, amebe di intellettualetti piccati, non hanno spesso nemmeno il faticoso sfogo fisico di una robusta lavandaia, quindi belli freschi, riposati, rubizzi e pen pasciuti, apportano decisamente più malevolenza e odio nei loro commenti. Così mentre aspettano che le lavanderie automatiche lavino i propri panni sporchi, cercano di sbirciare nel cestino dei panni sporchi altrui e, malevoli, ciarlano. Ogni volta che si accende una discussione, non solo seguono l’oggetto del loro odio passo passo, ma si improvvisano delatori come ai tempi del fascismo, oppure intervengono e spostano il centro del contendere dall’oggetto al soggetto. Il classico imbecille ha le domande pronte e le sentenze in frizer:

Chi sei? Da dove vieni? Che autorità hai per esprimere un’opinione? Come ti permetti? Non sai nemmeno scrivere e parli, zitto, non sei nessuno!

La cicalata non si appunta sul contenuto della conversazione ma su chi la pronuncia in un soggettivismo malevolo che tradisce frustrazioni annonarie.
Si tratta di un vizio ricorrente che fa terminare tutte le conversazioni sulla letteratura e dintorni, “a pesci in faccia”. A meno che non si plauda a tutto, come Adamo ed Eva prima di cogliere la mela, quando stavano ancora con l’aquilone in mano, felici e completamente ebeti, il risultato sarà sempre lo stesso, un parapiglia in cui ciascuno si offende ostentando superiorità, mostrando le sue ragioni non a suon di dialettica, ma di offese e sragionando come arteriosclerotici.  Allora inizia l’elenco dei titoli, delle lauree, l’esposizione dei diplomi, dei concorsi vinti, degli articoli ottenuti nei giornali, dei libri letti, delle conoscenze altolocate, delle amicizie raffinate e note, etc. Inizia l’elenco delle citazioni di frasi dette da personaggi famosi che non c’entrano nulla con l’argomento in oggetto, ma danno sempre lustro, perché ostentare cultura fa sempre un certo effetto nella gabbia delle iene. Si fa a gara nel dire quanti libri si leggono a settimana, esagerando pure: io ne ho letto tre, io uno, io dieci, io duemilacinquecento in un anno, etc. Trombe, trombine, trombette, suonate con accompagnamento di fanfare, piatti eclatanti, tamburi ritmico-esaltanti. La conversazione diventa una bolgia infernale, una specie di sabba caotico dove a un certo punto nessuno ricorda più di cosa si stava parlando all’inizio e perché. Tutti però sanno che gli altri non studiano, non si informano, non leggono abbastanza, così i giovani diventano vecchi, i castroni becchi, le picche quadri e i cuori fiori con accompagnamento di umori costipati e di ricercati elaborati poemi del ’15-18 rispolverati ad hoc. In poche parole un quattro e quattr’otto.
Se un interlocutore importante dovesse avere un attimo di difficoltà a rispondere, interviene l’amico che inizia a parlare di lui, di quanto scrive bene, di quanto è preparato, di quanto è bello, sincero, famoso, formoso, e dignitoso nel suo avere ragione per forza perché egli è la ragione e tutti devono farsene, nolenti o volenti, la ragione a loro volta e che nessuna logica apodittica ne sia mai stravolta, ci mancherebbe.

La conclusione?

Non si conclude mai nulla, ci si illude di parlare di cultura, ma ciascuno parla solo di sé stesso, di quanto è bravo, bello e snello, ragion per cui una semplice lavandaia è sempre preferibile ad un becero intellettuale che si auto-lava con la sua stessa bava, spargendola pure per il mondo con l’idea che sia preziosa e inestinguibile lava degli dei. Del resto il mondo è bello nella sua avaria spacciata per artistica aporia e ciascuno, nessuno esente, ha i suoi terribili nei. Muoia dunque Sansone con tutti i Filistei.

 

https://antichecuriosita.co.uk/destrutturalismo-e-contro-comune-buon-senso-psico-pillole/

https://www.youtube.com/watch?v=IijhKwisNQU

 

Post a comment