Io detesto i poeti

Io detesto i poeti

Io detesto i poeti

Mary Blindflowers©

Io detesto i poeti

Lucifer in the World, mixed media on canvas by Mary Blindflowers©

 

Che le definizioni siano sempre abominevoli nella loro finitezza, si intuisce dalla pochezza di certe etichette, di certe auto-promozioni tese all’esaltazione più totale del sé. Mi viene una specie di orticaria di fronte a personaggi che si auto-definiscono “poeti”, lo scrivono nei loro profili social e pretendono pure dagli altri che vengano chiamati tali.
Ma poeta alla fine cosa vuol dire?
Nulla.
Poèta sostantivo maschile dal latino pŏēta, gr. ποιητής, der. di ποιέω «fare, produrre». Non si tratta di una categoria lavorativa. I poeti, tranne alcuni molto famosi, non vengono mica pagati per fare i poeti. La maggior parte pubblica i suoi versi con editori che non danno loro un soldo, circostanza che viene rigorosamente taciuta, perché si sa, la poesia non si vende ma non si dice in giro “io non vendo”, che figura farebbero gli allori dei figli di Pascoli? E la poesia non si vende per colpa dei poeti stessi oltre che di una editoria ridicola. Questi etichettati poeti infatti si sono accasati nel Parnaso dove si chiamano tra loro poeti, e si lisciano a vicenda le barbe e i rossetti, si danno un poco di rosso sulle guance per sembrare ancora vivi, si truccano le labbra esangui per dare l’impressione che la catacomba sia un luogo soleggiato, poi ogni tanto, tra un vagito autoreferenziale e dei discorsi perlopiù senza senso in cui si lodano e si sbrodolano a vicenda, ungendosi con l’olio sacro della loro categoria allegorica in brodetto reverenziale di giuggiole guaste, versificano, si mangiano le paste, bevono un drink tra un reading e l’altro, Intanto lavorano sottobanco nelle segrete del loro castello di carta e si procurano qualche articolo su qualche giornale più o meno importante, dopo aver conosciuto un giornalista che ci lavora dentro e avergli unto ben bene le chiappe, per poi fingere grande stupore quando il giornalista unto e bisunto gli dedica due righe forse scritte dal poeta stesso. Allora le bocche assumono la forma di una o allungata, le interiezioni si sprecano, tutti fingono gaudio e sorpresa, anche se sanno perfettamente come vanno le cose in questo nostro piccolo mondo sporco. E i commenti fioccano, “bravo, te lo meriti, lo sapevamo che sei forte, bis, tris”, conferma di forza infatti sarebbe l’articolo, non il contenuto di ciò che scrive ma l’apparire sulla carta stampata e il poeta ringrazia le pisce di commenti simili a bisce che soffiano sul prato dell’insipienza. Un teatrino, una montatura, eppure funziona sempre. Costruirsi un mondo artificiale è proprio di chi si autoproclama poeta. La poesia però come la letteratura e l’arte in genere, dovrebbe essere un artificio attraverso cui si dicono delle verità scomode con un bugia e non la costruzione di bugie attraverso verità fittizie spacciate per vere.
I versificatori creano così una casta ideale che non esiste nella realtà, “i poeti”, una sorta di pomposa quanto vacua sintesi di bellezza, dato che si parla solo e soltanto di bellezza colta in stato più o meno aurorale e di studio. Ah lo studio, vero. Caspita lo studio. Fior di poeti laureati sostengono a gran voce che senza studio non si fa il poeta, che i giovani non studiano più, per questo non sanno scrivere e via dicendo.
Peccato che ci sia gente che passa la vita a studiare ma di poesie non ne sa fare proprio né ne saprà fare mai, perché c’è una componente oggi completamente trascurata che si chiama “talento”, che brutta parola, fa paura. Buttata giù in cantina, legata alle catene, condannata al rogo perpetuo, questa semplice parola, atterrisce i poeti.
Nessuno di loro vi dirà di avere talento, perché quasi nessuno ne ha, ma tutti diranno a gran voce di essere poeti e di aver studiato moltissimo.
L’altra frasetta molto di moda dopo lo studia studia è quella che recita a papera che ormai tutto sia già stato scritto, tutto sia già stato detto. Ci sono due tipi di poeti che affermano questo: i vecchi ottuagenari che pensano di aver fatto la storia della poesia coi loro versi ottocenteschi, convinti che dopo la loro morte ci sarà il nulla poetico, perché gli altri non sarebbero in grado di raggiungere l’alto grado delle loro liriche; i giovani che leggono qua e là e scopiazzano, abborracciando versi un po’ da lì, un po’ da qui, scrivendo nel rimestaggio e nel rimpasto, per poi dire, ecco la mia poesia, non vi aspettate però che dica cose nuove perché tutto ormai è già stato sperimentato, fatto e detto. La poesia è soltanto elaborazione riciclata.
Questi poeti o personaggi che si ritengono tali, sono veramente convinti di ciò che dicono al punto da non voler mai essere contraddetti. Sentenziano, sanno tutto, si augurano che la poesia non muoia mentre dicono contemporaneamente che è già morta, sostenendo che non avrebbe più nulla da dire e guai a chi osa affermare il contrario! Al rogo!
Contraddittori, fatui, inutili, spesso pessimi verseggiatori, inutili rimatori, camminano tronfi leggendosi e leggendo i loro amici, stringono mani, baciano le donne sulle guance, postano sui social, spesso dirigono riviste che nessuno legge (in pratica si leggono tra loro), blog che nessuno vede e continuano a chiamarsi “poeti”, “noi poeti”, “noi artisti”, e danno pure consigli su come vivere, su come mangiare, su come vestirsi, su come apparecchiare la tavola, su come cucinare il pollo, tutte cose innocue e popolari. Si muovono come se fossero una categoria con un peso specifico e uno stipendio fisso, come se al mondo importasse davvero qualcosa dei loro versi, dei loro pollo, dei loro vestiti, della loro vita, delle loro tavole apparecchiate.
E si affannano a mettere commenti positivi sotto i commenti di poeti arrivati, per farsi notare dai loro editori, per farsi presentare… Recensiscono bene gli amici perché sono amici, e i personaggi famosi perché sono famosi e sperano di diventarlo a loro volta, tramite la piaggeria. Evitano discussioni scomode, perché il poeta vive sulla luna e non vede i drammi dei comuni mortali, porta sempre i guanti per non sporcarsi le mani mollicce. Se qualcuno vuole fare discussioni scomode non è più un poeta come loro, è un marziano, finiscono i tag, i coinvolgimenti, le lodi e gli dicono ora s’imbrodi. Il contrasto è un tasto guasto.
I “poeti”, se potete, evitateli come la peste. Io detesto i poeti.

https://antichecuriosita.co.uk/destrutturalismo-e-contro-comune-buon-senso-psico-pillole/

https://www.youtube.com/watch?v=GaXuMC_GHEE

 

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