Il giornalismo è barzelletta

Il giornalismo è barzelletta

Il giornalismo è barzelletta

Di Lucio Pistis & Sandro Asebès©

Il giornalismo è barzelletta

Vintage Rare Print, Mr. Mosquito, by Hawley Morgan, 1908, credit Antiche Curiosità©

 

Quando la cattiva informazione si sposa col populismo e il desiderio sfrenato di farsi pubblicità ad ogni costo, nascono articoli che inneggiano all’eroe. Prendiamo un incidente stradale, come ne accadono tanti, purtroppo nel mondo, una poetessa fresca di premio letterario che per caso si imbatte nell’incidente e per caso fa l’infermiera. Soccorre una donna in difficoltà, un bel gesto. Per istinto un’infermiera o anche per deformazione professionale, soccorre. Arriva un bravo articolista della domenica e ci informa sull’accaduto e sul fatto che ci sia ancora gente che non guarda e passa, ma si ferma per gli altri, tutto molto commovente. Peccato che la notizia insista molto sulla nota che la soccorritrice sia “poetessa”, che sia reduce dal concorso letterario tal dei tali, ci dice perfino dove lavora, in quale reparto dell’ospedale X. Il giornalista sembra informatissimo sulla soccorritrice di cui “casualmente” scriverebbe le avventure. Sembra invece non sapere assolutamente nulla né della dinamica dell’incidente di cui non si cura minimamente, come se fosse un fatto secondario, né della donna soccorsa, la vittima, tanto che di lei non cita nemmeno il nome di battesimo mentre della soccorritrice, chiamata più volte “poetessa”, per chi non avesse inteso bene, elenca nome, cognome e miracolistica.
Il tocco di genio dell’articolista raggiunge la sua trionfale acme quando sottolinea il nome del concorso letterario, riferendoci il titolo della poesia che ha vinto, e informandoci che si tratta della dodicesima edizione della manifestazione volta a favorire le “contaminazioni culturali”.
Partendo dal semplice titolo dell’articolo ci si rende conto che l’attenzione di chi scrive è puntata su un solo soggetto: la poetessa-infermiera, eroina di altruismo e generosità e chi più ne ha più ne metta. Tutto il resto è come se non esistesse, le modalità dell’incidente, le persone coinvolte, completamente ignorate.
L’articolo gira sui social e la gente applaude, brava, per fortuna c’è ancora sensibilità a questo mondo, etc. I commenti sono tutti pro. Ma oltre la notizia, oltre il fatto, a chi ha la mente in grado di capire qualcosa in più rispetto a ciò che viene detto, non viene il dubbio che forse l’articolista ha interesse a tessere l’apologia della sua eroina che probabilmente è una sua amica oppure un’amica di un amico?
Come fa infatti ad essere informato sulla sua vita e su tutti i particolari del concorso mentre della vittima non sa nulla? C’è una canzone di De Gregori che dice: “vivi da lupo e vestiti come un agnello”.
Chi è il lupo in questo caso e chi l’agnello?
Gli agnelli sono quelli che credono che questo tipo di giornalismo sia cronaca sincera e che non sia concertato a tavolino, i lupi sono coloro che vogliono farcelo credere. L’insistenza su un particolare piuttosto che su altri più importanti, rivela lo scopo dello scrivente. Il target è in questo caso smaccatamente pubblicitario.
Che connessione c’è tra soccorrere una persona e un concorso letterario?
Nessuna.
Tra le righe dovremmo forse leggere che chi scrive poesie, è per forza di cose buono e generoso? Stupidaggini, i poeti sono una brutta razza, invidiosi l’uno dell’altro, malevoli, pettegoli e permalosi, egocentrici e vanesi. Lasciamo ai romanzi d’appendice l’idea romantica del poeta eroe, perché nella realtà non esiste.
Perché l’articolista insiste fin dal titolo, e poi più volte sul fatto che la soccorritrice è una “poetessa”?
Perché invece di pubblicare nell’articolo la foto dell’incidente, si posta la foto della suddetta poetessa?
La risposta è semplice.
Perché ci sono molti modi per farsi pubblicità, uno di questi, altamente immorale, è fare self-promotion tramite il dolore altrui, impersonare l’eroina di turno che, disinteressata, salva e soccorre e magari, visto che c’è, fa pure un poco di morale agli altri sui social, dando consigli, autoincensandosi e lisciandosi l’anima con il brillantante. Un po’ come capita quando si vedono gli attori del cinema che si fanno fotografare vicino al migrante debilitato e stanco. Pubblicità gratuita che fa in breve il giro del mondo e riabilita le figure, dà loro nuovo respiro.
Che tipo di giornalismo è questo e dove stiamo andando a finire?
Noi che siamo vecchi lupi di mare abbiamo assistito a ogni sorta di déjà-vu in tal senso; per esempio nelle strutture a strettissima connotazione gerarchica e verticistica, quelle che originariamente aborrivano le interviste e gli articoli dei propri membri sui media ha preso spazio negli ultimi decenni un’impostazione antipodica che porta il soggetto a farsi propaganda e pubblicità a spron battuto per far sì che l’istituto di cui è componente ne tragga luce riflessa. Che nostalgia dei tempi in cui un vecchio comandante fu terribilmente rampognato dalla scala gerarchica per essersi permesso di ipotizzare cifre di deceduti a seguito del terremoto dell’Irpinia. Oggidì un componente delle Forze dell’Ordine ovvero delle Forze Armate aggredisce il fuoco delle telecamere dal primo ciak si gira e la sua presenza sui media è direttamente proporzionale all’incetta di benefit carrieristici conseguenti a quel presenzialismo e a quelle over exhibitions.
Giornalismo strumentale è un termine fin troppo benevolo per questo tipo di impostazione. Una bella botta di propaganda in Italia non si nega a nessuno, una bella raccolta di elogi e di encomi non si lesina a nessun buon dirigente, a nessuno scrittore che abbia amici giornalisti, a nessun poeta, a nessun Pinko Palla purché conosca qualcuno che scrive dentro un giornale-barzelletta.

 

https://antichecuriosita.co.uk/destrutturalismo-e-contro-comune-buon-senso-psico-pillole/

https://www.youtube.com/watch?v=bdNrNdfJomk

https://www.youtube.com/watch?v=3iccz42Yfxs

 

 

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