Filosofie e religioni dell’India

Yoghi Ramacharaka, Filosofie e religioni dell'India, Brancato 1991

Filosofie e religioni dell’India

Di Mary Blindflowers©

Yoghi Ramacharaka, Filosofie e religioni dell'India, Brancato 1991

Yoghi Ramacharaka, Filosofie e religioni dell’India, Brancato 1991, credit Antiche Curiosità©

 

William Walker Atkinson (Baltimora, 1862 – Los Angeles, 1932) giurista e filosofo statunitense, ad un certo punto tediato dalla professione forense, decide di dedicarsi alla filosofia indiana e alla teologia e dà alle stampe diversi libri a tema. Filosofie e Religioni dell’India è uno di questi, un testo che potrebbe essere utile a un lettore completamente a digiuno di scuole e fondamenti filosofici indiani che l’autore, sotto lo pseudonimo di Yoghi Ramacharaka, semplifica e divulga. Stiamo parlando di un libro semplice, di divulgazione filosofica spiccia, in cui l’autore sintetizza il modus vivendi ed operandi delle varie correnti indiane in capitoli che chiama “lezioni” e in cui esprime, purtroppo, anche la sua personale fastidiosa opinione sulle differenze tra l’una e l’altra corrente e sul concetto di Verità, dando al lettore comunque un orientamento sui principali testi indiani, ovviamente non assorbibili e non riassumibili in un saggetto di poco più di 200 pagine. Il libro ha lo scopo di informare. Se soltanto le informazioni non fossero farcite da frasi ed espressioni in maiuscolo per affermare verità in cui lo stesso autore crede ciecamente e in modo un poco fanatico, il testo sarebbe fruibile come trampolino di lancio per andare poi a cercarsi da soli i libri indiani e leggerseli, che poi è la cosa migliore da fare se si è interessati ad un determinato argomento, leggere direttamente la fonte, dato che l’intermediario divulgatore non può essere mai lucido e obiettivo come la fonte originaria, perché è sempre un interprete che vede il mondo coi suoi occhi.

Alla fine del testo Ramacharaka propina la meditazione per il mese successivo, tutto in maiuscolo:

La verità sempre dimora nell’interno. Colui il quale realizza questa verità diviene signore della propria vita.

La continua insistenza dell’autore sul concetto di verità ha un forte sentore di contaminazione dal cristianesimo occidentale. In questo consiste il limite del libro, non si limita a spiegare le filosofie orientali, ma applica il suo continuo punto di vista, la sua prepotente esigenza di trovare la verità nelle sue lezioni, nei suoi insistenti quando noiosi “messaggi speciali”, di una banalità sconcertante, mutuata direttamente dal Vangelo e non di certo dai testi orientali:

Possiamo considerare la Verità mediante il simbolo dell’Attività Creativa. Non solamente la Verità ha Energia Creativa ma è l’Energia Creativa medesima. All’infuori della Verità non può esistere Energia Creativa. Tutto ciò che è è sempre stato, o che sempre può essere creato deve essere manifestato, espresso od emanato dalla Energia Creativa della Verità… La Verità è la Causa, la Sorgente ed il Motivo di tutta la Creazione. Nulla all’infuori della Verità può creare, e perciò nulla può essere creato da cosa alcuna che non sia la Verità. Tutto il resto è Errore, Falsità. Possiamo considerare la Verità mediante il simbolo dell’Intelligenza. La Verità non è soltanto onnisciente, ma è l’Onniscienza medesima. All’infuori della Verità non vi è, non vi è mai stata e mai potrebbe esservi alcuna Saggezza. Tutta la Saggezza che noi vediamo deve essere manifestazione, espressione od emanazione della Verità. La Verità è la sorgente a cui tutta la Saggezza deve essere attinta. Ogni apparente conoscenza all’infuori della Verità è falsa…

Ramacharaka fracassa letteralmente le muse al lettore ripetendo a più riprese e in maiuscolo che la Verità è tutta la sostanza, tutto il potere, tutto l’essere. Con questo ridondante quanto inefficace concetto di Verità assoluta, ribadisce il ribadito.

La verità orientale in realtà non è un concetto intellettuale ma una trasformazione dell’essere, una liberazione con mente e corpo. La verità consiste semplicemente nel vedere la propria vera natura, nell’immergersi in se stessi, una vera illuminazione. Ma tutto questo ha poco a che fare con la visione rigida di Verità maiuscola proposta dall’interpretazione di Ramacharaka che è di stampo prettamente occidentale.

Per la filosofia indiana invece l’uomo stesso è Brahman, l’uomo stesso è verità che non nasce e non muore mai, per cui non si può parlare di inizio e di fine, di nascita e di morte:

Questo Atman dentro il mio cuore è più piccolo di un grano di riso o di frumento, di un seme di senape o di un grano di miglio; e tuttavia questo Atman dentro il mio cuore è più grande della terra, più grande dello spazio atmosferico, più grande del cielo… Questo Atman dentro il mio cuore è il Brahman stesso (Chandogya Upanishad).

Non ci fu mai un tempo in cui non ero, io, tu, e questi prìncipi tutti, né ci sarà mai un tempo in cui non saremo, noi tutti, dopo questa esistenza. A quel modo che in questo corpo il sé incorporato passa attraverso l’infanzia, la giovinezza e la vecchiaia, così, alla morte, egli assume un altro corpo. Il forte non è su ciò mai perplesso” (2,13-14). La verità è l’Atman, ed esso è identico al Brahman. Egli non nasce e non muore mai, né, essendo stato, v’è tempo in cui non sarà ancora. Innato, eterno, permanente, antico, egli non muore, quando muore il corpo… A quel modo che un uomo abbandona i suoi vecchi vestimenti e ne prende di nuovi, così il suo sé abitante nel corpo abbandona i suoi vecchi corpi e ne prende di nuovi (Bhagavad Gita, 2, 21-23).

Leggetevi i testi originari.

https://antichecuriosita.co.uk/destrutturalismo-e-contro-comune-buon-senso-psico-pillole/

https://www.youtube.com/watch?v=J65GxJ2v9Wg

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