Veramente il divismo è malattia antica

Veramente il divismo è malattia antica

Veramente il divismo è malattia antica

Di Mary Blindflowers©

 

Veramente il divismo è malattia antica

Antique Unframed Large Cameo, credit Antiche Curiosità©

 

Il divismo è una malattia antica.

Si racconta che durante l’Ecyra di Publio Terenzio Afro, alcuni spettatori abbiano abbandonato lo spettacolo per assistere ai giochi dei gladiatori. La commedia fu riproposta nel 160 a.C. insieme agli Adelphoe, ma anche quella volta fu un autentico fiasco. Soltanto al terzo tentativo, per intercessione del capocomico Ambivio Turpione, che pregò il pubblico di seguire fino in fondo lo spettacolo, si ebbe un discreto successo. Spesse volte il teatro romano insisteva sugli effetti speciali più che sul contenuto, proprio per evitare defezioni di un pubblico immaturo, che preferiva i leggeri e crudi spettacoli circensi sangue e arena alla profondità di un testo letterario.

I pantomimi avevano un successo strepitoso, perché si esibivano in performances lascive in cui praticamente non dovevano nemmeno aprire bocca per far andare in visibilio la gente, preda di inaudite quanto sciocche forme di divismo.

La nudatio mimarum era lo spogliarello dell’epoca, in sintesi gli attori si spogliavano integralmente a teatro per un pubblico che fischiava, faceva commenti lascivi e si divertiva gridando e agitandosi.

La trama degli spettacoli di maggior successo era elementare e facile da capire, perché il popolino non voleva cultura ma visioni forti che lo coinvolgessero emotivamente.

A volte si verificavano sul palco perfino vere esecuzioni. Se per esempio nella trama c’era qualcuno che doveva morire, si poteva prendere un condannato a morte, sostituirlo all’attore e ucciderlo davvero. Il pubblico romano voleva anche a teatro il sangue a cui era stato abituato nelle arene, il contenuto e le trame passavano in secondo piano. Il popolo minuto era naturalmente anche avido di sesso, tant’è che non era infrequente che gli attori si accoppiassero sulla scena, suscitando reazioni più o meno scomposte degli spettatori. Un po’ come accade negli spettacoli del Grande Fratello oggi. Si tratta in entrambi i casi di un voyeurismo di bassa lega, che serve a distrarre.

I gladiatori nell’antica Roma erano considerati infamis, schiavi per lo più, che erano costretti a combattere nelle arene. Tra loro c’erano anche uomini liberi che volontariamente, attratti dal successo, decidevano di diventare trastullo del popolino. Essi avevano infatti un successo strepitoso, il loro nome circolava di bocca in bocca, le donne impazzivano per loro.

Il divismo è sempre esistito, non è nato negli anni Cinquanta, come erroneamente alcuni sostengono  e non è neppure mai morto. Inutile lamentarsi del fatto che siamo cambiati in peggio, perché non è vero. Sono mutate soltanto le forme e le modalità di diffusione delle immagini e dei contenuti. L’attrazione per i personaggi famosi, poggia le sue fondamenta su una base di ignoranza e superficialità.

Se presso i Romani il rapporto con il divo era più carnale, più ludico, meno irraggiungibile, adesso si basa sul virtuale, che ha alimentato notevolmente tramite il concetto di inattingibilità, l’incondizionata ammirazione per delle figure immaginarie, costruite ad hoc per fare soldi e attrarre masse di beoti verso la coltivazione di un ideale di bellezza, perfezione e bravura che in pratica, non esiste.

L’inattingibilità del divo consente allo stesso tempo di non avere reali termini di paragone per l’ammiratore che posterà le foto del suo idolo perfettamente ritoccate, escludendo categoricamente che qualsiasi altro comune mortale in carne e ossa e facilmente raggiungibile con le sue rughe e i suoi normali difetti, possa riuscire non dico ad eguagliare, ma anche soltanto ad avvicinarsi a tanta divina luce.

Il fan, preda di illusione collettiva che diventa individuale malattia, così arriverà perfino a stabilire dei paragoni tra la foto dell’irraggiungibile divo del momento e l’immagine reale di persone comuni, che può vedere realmente da vicino, dicendo che il divo è senza ombra di dubbio “più bello”, “più interessante”, più tutto, senza averlo realmente mai visto né conosciuto, data la sua inattingibilità. Si stabilirà un comparativo di maggioranza, basato su prove fittizie, fabbricate da altri per esigenze di marketing.

Qualcuno sostiene che non bisognerebbe mai conoscere di persona i propri idoli, e probabilmente è vero, perché si rischierebbe di esserne puntualmente delusi, dato che ci si potrebbe rendere brutalmente conto che la loro adesione al modello pubblico costruito, potrebbe non corrispondere per nulla alla realtà.

La differenza tra il divismo antico e quello contemporaneo è infatti data dall’irraggiungibilità del divo di oggi. Questa pratica e opportuna inaccessibilità lo rende ancora più mitico, aumentando l’improbabilità della sua reale credibilità.

Ma il lamento di Orazio che scrisse ad Augusto circa il fatto che il senso dell’arte dato in pasto alle masse, fosse diventato soltanto labile, ambiguo ed insignificante piacere degli occhi, non è forse valido ancora oggi?

https://antichecuriosita.co.uk/destrutturalismo-e-contro-comune-buon-senso-psico-pillole/

https://www.youtube.com/watch?v=o4jIRIxf4Yg

Post a comment