Ma la materia pensa?

Ma la materia pensa?

Ma la materia pensa?

Di Mary Blindflowers©

Ma la materia pensa?

Michele de Tommaso Napolitano, Instituzioni di Metafisica, Genova, Stamperia della Società Medica di Emulazione, 1804, credit Antiche Curiosità©

 

Il filosofo, il pensatore per antonomasia, quello che a scuola consideravamo quasi un rimestatore di lana caprina trasformata alla mattina nel vello d’oro di Giasone, alla conquista di mondi perduti; sì, il saggio, il maestro, l’esegeta, il pensatore che indossava i calzini al rovescio, uno differente dall’altro, l’atarassico, il nichilista, l’epicureista, il lapalissiano perditempo, il politico prestato alla filosofia o la filosofia che diventa politica fino alla loro identificazione. Ai filosofi ufficiali, quelli con il titolo di filosofo stampato sulla fronte tersa dai fazzoletti dei paggetti e degli studenti, è stata sempre data tanta importanza.

Ma quale evoluzione di pensiero ha segnato la filosofia?

La letteratura le è sempre stata superiore per via di un intuito che la filosofia non possiede. Non potremmo mai supporre che un filosofo possa fare discorsi ridicoli o senza senso, dato che studia la logica e si interessa anche di scienza, mentre siamo portati a pensare che un poeta possa e forse debba essere assurdo. Talvolta però è nell’assurdo che si conserva il vero come una perla dentro un’ostrica. Il problema è che i discorsi oziosi non solo abbondano spesso e volentieri nelle bocche dei filosofi del passato e del presente, ma il grado di evoluzione della filosofia, come del resto della razza umana in genere è sempre stato sopravvalutato. L’artefice del pensiero giudica il proprio pensiero, si autorecensisce, autoredimendosi, ecco l’uomo che giudica l’uomo come perfetto ecce homo, escludendo aprioristicamente tutto il non umano da questa illusoria perfezione. Sarebbe interessante il punto di vista di un’altra specie sul nostro grado di evoluzione e di distruttività. Siccome però nemmeno i filosofi riescono a capire il linguaggio degli animali, ci dobbiamo accontentare della parola scritta. Questa rende testimonianza nel bene, nel male, ma in una prospettiva umana unilaterale, ovviamente.

Scrive dunque Michele de Tommaso Napolitano in un curioso libro intitolato Istituzioni di Metafisica, Stamperia della Società Medica di Emulazione, Genova, 1804, che la differenza tra l’uomo e la materia è data dal sentire, niente di più ovvio. Tuttavia vi era chi sosteneva ancora nel secolo della rivoluzione industriale di non essere sicuro che anche la materia non pensasse, da cui la domanda che oggi sembra assurda a qualsiasi muratore del 2000: la materia pensa?

Eh sì, i filosofi nell’Ottocento, mentre il popolino moriva praticamente di fame, di cosa si preoccupavano? Del pensiero della materia le cui facoltà non ritenevano di aver indagato abbastanza a lungo e in modo profondo. Sembra una barzelletta, però è tutto vero. Per avvalorare la dissertazione sulle proprietà più o men pensanti della materia, Michele de Tommaso scomodava anche John Locke:

Giovanni Locke, e dietro di esso lui il dottor Sherlock, il primo nel suo saggio sull’intendimento umano; il secondo nella sua opera sull’immortalità dell’anima, furono di sentimento che quantunque l’animo umano sia spirituale, cionnonostante non si possa asserire con certezza, che la materia non sia capace di pensare…

Ecco poi l’esigenza di confutare l’idea che la materia possa in qualche modo pensare o essere assimilata ai procedimenti e ai meccanismi del mondo animale. De Tommaso si lancia in una accesa dissertazione sul sentire, qualità che supremamente renderebbe giustizia al regno animale, differenziandolo da quello materiale:

Se la semplice costituzione della materia spiega i fenomeni della vegetazione, essa non può poi intrinsecamente spiegare quelli del pensiero…. D’altronde i Naturalisti più accreditati riconoscono una differenza assai grande (all’interno) tra il semplice essere organizzato, anche il più perfetto ed un vero animale, anche il più degradato: questa differenza consiste nel sentire…

Poi ecco l’apologia della sua stessa razza:

Molto maggiore differenza ravvisano i naturalisti tra l’animale, il più perfetto e l’uomo, il più degradato, e degenerato. Il primo è imperfettibile; laddove il secondo è suscettibile di perfezione. Educato pur come volete un Ourang-outang, che voi non ne farete giammai un uomo; mentre potrete, educando anche uno dei più stupidi Ottentotti, formarne un uomo istruito… Fu più bizzarra che vera la proposizione di Elvezio, quando disse, che se l’unghia di un cavallo si cambiasse in una mano, il cavallo diverrebbe un uomo…

Si ravvisa un antropocentrismo autogiudicante, un’esaltazione dell’uomo come unico essere pensante, con la sicumera del termine aleatorio e sciocco di perfezione. 

Ancora oggi l’uomo si considera un essere perfetto, idea derivata dalle menti perverse dei filosofi che hanno fatto scuola e che ci hanno insegnato ad essere superbi. Così in pieno Ottocento mentre i contadini morivano di stenti, i filosofi si chiedevano come ebeti, ma la materia, pensa?

Leopardi ha ridimensionato notevolmente e in senso anti-antropocentrico tutta la faccenda, sostenendo criticamente che la materia pensa perché anche l’uomo come gli animali, è materia pensante, quindi se uomini e animali pensano, la materia pensa. E se l’ha scritto Leopardi, per una volta, possiamo davvero crederci perché è nell’assurdo della filosofia della poesia, l’unica capace di prevedere il futuro, che si nasconde il vero.

https://antichecuriosita.co.uk/destrutturalismo-e-contro-comune-buon-senso-psico-pillole/

https://www.poetryfoundation.org/poets/giacomo-leopardi

Comment (1)

  1. F. Nédel Atèrre

    Che la vera poesia possieda un “intuito”, un potere che manca alla filosofia, è un fatto. Qualcuno sostiene che poesia e filosofia andassero a braccetto, almeno nei primissimi tempi di entrambe, ma è pur vero che hanno smesso presto di farlo (e in quel litigio c’è più di una ragione), anche questo è un fatto. Tra l’altro, se pensiamo a quanto Freud abbia attinto dal Mito -quindi dalla poesia- non possiamo che riconoscere la verità di quanto hai scritto tu. La penso anch’io come te, in ogni caso.

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