Io vissi di tramonti nel cuore delle sere

Io vissi di tramonti nel cuore delle sere

Io vissi di tramonti nel cuore delle sere

Di Pierfranco Bruni©

 

Io vissi di tramonti nel cuore delle sere

Alghero, credit Mary Blindflowers©

 

“Io vissi di tramonti nel cuore delle sere/ in attesa del giorno nuovo/ lungo le vie dei deserti e dei mari” (Manuz Zarateo). Il Mediterraneo delle statue e del racconto affidato ai musei. Il Mediterraneo delle parole e dei linguaggi. Il Mediterraneo degli incontri imprevedibili tra Ulisse, Cristo e Maometto. Il Mediterraneo ancora degli Orienti (i più Orienti che abbiano nella nostra storia e nelle nostre memorie) e dell’Occidente. Ma in un Mediterraneo che ha un cruore cristiano, musulmano, berbero, ebraico, armeno (intrecciamo religioni e civiltà), greco e Magno-greco, la letteratura diventa il meridiano dell’attesa.

Occorre precisare alcuni dettagli che riguardano il tema in questione. In un tempo in cui il Mediterraneo non è soltanto una geografia o un “modello” geopolitico, l’antropologia delle etnie assume una concordanza con quelle eredità che hanno attraversato la civiltà pre Magno Greca sino a tutto il contesto Romano. È proprio nello spaccato tra le identità greche, neogreche e latine che le etnie del Mediterraneo assumono una valenza sia politica sia prettamente antropologica sia metafisica.

Finora abbiamo trattato la questione relativa al rapporto etnie e Mediterraneo come se fosse una dimensione meramente territoriale. In un tempo di vissute incompiutezze esistenziali il Mediterraneo resta un destino, come volle definirlo Braudel, ma anche una sostanziale filosofia della conoscenza dei saperi.

I veri saperi del Mediterraneo nascono dalla definizione di un processo etnico che significa la forza di una archeologia dei saperi dei popoli e delle loro identità. In fondo questo Mediterraneo oggi resta senza una precisa identità. Anzi senza una appartenenza perché se vogliamo dirla in termini di saggezza delle conoscenze le identità ci sono ma sono una dichiarazione di confusione e di reali conflitti anche di ordine economico oltre che religioso etico e culturale tout court. I beni culturali, come patrimonio nazionale, sono una testimonianza nel vissuto della storia e dei popoli, che devono trovare le ragioni per un dialogo a tutto tondo con le risorse e le vocazioni che vivono dentro il territorio. Dobbiamo cominciare ad entrare nell’ottica che il bene culturale non è soltanto una questione materiale. L’immaterialità diventa una metafisica delle civiltà.

Non solo il pensiero meridiano disegnato da Albert Camus, ma anche quell’orizzonte degli abbracci tra il mare, metafora del tutto, e il deserto (metafora del comunque sempre), ovvero dell’acqua e della terra. La Bibbia ci recita la durezza dello sguardo dei padri del deserto con la dolcezza delle parole e così ci porta, altresì, lungo il cantico che Salomone ha raccolto come i cantici dell’ebbrezza tra le colombe e i danzatori dervisci.

La cultura è nella immaterialità: dalle lingue alle etnie, dalla musica alla canzone d’autore, dalla presenza delle minoranze linguistiche in Italia (sulle quali stiamo portando avanti studi, ricerche, pubblicazioni e modelli valorizzanti riconosciuti da tutto il mondo con una presenza in molti Paesi esteri e la documentazione è abbastanza evidente) alle antropologie comparate.

Il territorio come bene culturale è un intreccio di beni materiali e immateriali. Oggi parlare di territorio, di patrimonio culturale, di storia significa anche non dimenticare il senso e l’appartenenza di una memoria che vive nei simboli. E i simboli si trasmettono, si contestualizzano, si interpretano. Hanno un loro valore. Penso ai castelli, alle aree archeologiche, ai musei. Se i beni culturali sono identità, la etno – archeologia è una testimonianza straordinaria in questo discorso, e se tali vengono da noi considerati abbiamo il dovere di aprire un vasto dibattito sul loro ruolo all’interno dei territori. Nel depositato della storia ci sono modelli di civiltà e percorsi di epoca che intrecciano segni di identità.

C’è un dato dal quale bisogna partire. Il Sud ha una ricchezza non indotta. Una ricchezza che è sempre più risorsa vocazionale. Ecco perché insisto nel discutere di bene culturale e valorizzazione dei territori. Non avrebbero senso i beni culturali senza una vera valorizzazione soprattutto del Sud. Questi beni sono i simboli di una identità comunitaria oltre ad essere stati riferimenti e contenitori di un processo storico all’interno di un territorio. La letteratura diventa sempre più una chiave di lettura fondamentale. Soprattutto la poesia.

https://antichecuriosita.co.uk/destrutturalismo-e-contro-comune-buon-senso-psico-pillole/

https://www.youtube.com/watch?v=YqI4gd11d6Q

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