I bevitori di urina

Il citazionismo dei bevitori di urina

I bevitori di urina

Di Mary Blindflowers©

 

Il citazionismo dei bevitori di urina

Citazioni, credit Mary Blindflowers©

 

Parlare per bocca d’altri, Leibniz ha detto, Orwell ha sostenuto, Kant ha ripreso, Sant’Agostino ha affermato, Pascal ha asserito, etc. etc. Un citazionismo isterico, continuo, a tratti nevrotico e ossessivamente inutile, con estrapolazioni che perdono il significato originario per essere inserite in improbabili contesti dal sapore sofistico-futile-inutile.

La moda imperante del momento è non parlare mai in forma diretta e semplice, esprimere il meno possibile, glissare di fronte ad eventuali domande sorte durante una conversazione, perché non ci si sente particolarmente autorevoli forse, oppure perché non ci si vuole esporre alle critiche di quanti (e sono tanti) sostengono che soltanto le persone investite da un titolo di ufficiale autorevolezza e strategica importanza, possano e debbano parlare.

Quindi, per esempio, soltanto l’intellettuale acclamato dalle masse, quello che pubblica coi grossi editori o che presenzia in tv e campeggia sui giornali facendo notizia, può avere un cervello, e di conseguenza, è ufficialmente autorizzato a usarlo per dire la sua. Se gli altri provano a fare lo stesso, diventano in automatico avventori di un bar sport di quinta categoria, persone sgradite e sgradevoli la cui credibilità sembrerebbe essere pari a zero perché non c’è un super-ego che la confermi e la avvalori.

Questo innesca in automatico una sorta di autocensura mediatica per cui si cammina sempre in punta di piedi per timore di scivolare, di essere contraddetti e se per caso non si è d’accordo su qualcosa, invece di dire nuda e cruda la propria verità che potrebbe anche non essere quella degli altri, si cita, si estrapola, e inizia la sequela del Tizio ha detto, Caio ha confermato, Sempronio ha rafforzato, perché la propria elaborazione critica su un argomento, non sembra mai sufficientemente ferrata, credibile. Oltre ai pareri autorevoli non si riesce proprio ad andare, scomporre la realtà per capire e insinuare anche nuove riflessioni, appare un’utopia inservibile dato che c’è qualcuno che ha già sentenziato su quella stessa realtà di cui si parla. Nessuno si domanda mai se la sentenza dell’autorevole di turno, scomodato spesso e volentieri, fin dentro i meandri della tomba, possa essere stata falsata da qualche particolare appartenenza o interesse, se la sentenza possa contenere dei margini di errore che il pensiero logico potrebbe anche evidenziare. Nessuna domanda è lecita, perché la domanda presuppone un dubbio e quando si ha a che fare con l’autorevolezza, i dubbi non sono concessi.

L’esercizio del dubbio viene bannato, le domande diventano noiose, il pensiero logico inutile nel mondo del fast-food culturale dove fumanti piatti di cibo letterario prendi e porta via senza pensare, vengono serviti su tavoli mediatici a larga diffusione.

Il citazionismo è la morte della ragione, la tomba dell’intelligenza, se usato in modo eccessivo, inappropriato e soprattutto se sostituisce il proprio pensiero al punto da arrivare a non dire più nulla senza citare qualche personaggio celebre.

Che una frase sia stata pronunciata da un filosofo, uno scrittore, un intellettuale famoso, non significa affatto che sia vera, basti pensare alle tante castronerie pronunciate dai filosofi greci o dai padri della Chiesa sulle donne. Tanti famosi hanno detto cumuli di sciocchezze rivelatesi tali col senno di poi e col progresso delle scienze e della mentalità.

Diogene Laerzio ci ha tramandato un aneddoto relativo a Talete: «Si narra che, tratto di casa da una vecchia per contemplare gli astri, cadde in un fosso, e la vecchia ai suoi gemiti disse: “Tu, o Talete, non sai vedere le cose che sono tra i piedi e credi di poter conoscere le cose celesti?”».

Il problema di guardare gli astri, dimenticando di capire cosa ci sia sulla nuda terra, è diventato atteggiamento comune. Come si può però pretendere di cogliere l’universale se non si è compreso il particolare? Come si può parlare di nuoto se non ci si è mai buttati in acqua? O di aglio se non lo si è mangiato?

Parlare per interposta persona concede la comodità di uno stato cristallizzato molto comodo e sicuro ma non permette di valutare le proprie esperienze personali sull’oggetto di cui si parla.

Si obietterà che non sempre per parlare di qualcosa bisogna averla vissuta. Giusto. Però per parlare di qualsiasi argomento occorrerebbe informarsi sul pro e il contro e mettere in moto le sinapsi per sviluppare un pensiero trasversale e super partes che vada oltre le convenzioni e le frasi già scodellate da altri. Questo richiede uno sforzo in più, perché è più facile copincollare il parere altrui, già bell’e pronto, ma meno efficace a livello di movimento del pensiero che rimane fisso a girare su se stesso invece di tagliare trasversalmente la realtà in nuove connessioni cerebrali di un auspicato futuro non massificato in cui ciascuno pensa con la propria testa.

E se un personaggio famoso (è successo) vi dicesse di bervi la vostra urina, che farebbe un gran bene, voi lo fareste soltanto perché ve lo ha detto un personaggio noto o un divetto della tv?

C’è gente che lo fa. E a pensarci bene che differenza c’è tra un citazionista isterico e un bevitore di urina? Non sono entrambi schiavi del divismo?

Il mondo è bello perché è variamente e svariamente avariato.

https://antichecuriosita.co.uk/destrutturalismo-e-contro-comune-buon-senso-psico-pillole/

https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/10/21/brigliadori-bevo-urina-cosi-cerco.html

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