Come si fa a non amare Primo Levi?

Il Polpiprofeta

Come si fa a non amare Primo Levi?

 

Come si fa a non amare Primo Levi?

L’evasa, prova colore by Mary Blindflowers©

 

Mary Blindflowers©

Come si fa a non amare Primo Levi?

.

Che differenza c’è tra cronaca e letteratura e quand’è che la cronaca può diventare letteratura?

Questa è una domanda che spesso mi pongo, soprattutto perché in Italia i romanzi che sono la mera riproduzione quando non la copia vera e propria di fatti cronachistici, sembrano avere grande successo, ovviamente dopo grandi operazioni di marketing e adeguata pubblicità. 

Il trasferimento puro e semplice di un fatto di cronaca in un’opera letteraria, raramente diventa letteratura, se l’autore non aggiunge qualcosa che colpisca la fantasia del lettore. Non basta semplicemente inventare dei personaggi fittizi o raccontare di persone realmente esistenti, occorre qualcosa di più, un significato che vada oltre i personaggi stessi e oltre la stessa arida cronaca che si vuol rappresentare, occorre una fascinazione che si raggiunge attraverso la magia del linguaggio che spesso non si può nemmeno definire con precisione.

Primo Levi per me faceva letteratura, e la faceva in modo sublime, a dispetto del giudizio di Pavese che non volle pubblicarlo. Da subito si intuisce che l’autore non vuole solo fare cronaca:

Ero stato catturato dalla milizia fascista il 13 dicembre 1943. Avevo ventiquattro anni, poco senno, nessuna esperienza, e una decisa propensione, favorita dal regime di segregazione, cui da quattro anni le leggi razziali mi avevano ridotto, a vivere in un mio mondo scarsamente reale, popolato da civili fantasmi cartesiani, da sincere amicizie maschili e da amicizie femminili esangui. Coltivavo un moderato e astratto senso di ribellione.

Non si può dire che questo incipit non sia letterario perché si introduce magnificamente l’interiorità del personaggio senza nemmeno descriverlo fisicamente.

E ancora:

E venne la notte, e fu una notte tale, che si conobbe che occhi umani non avrebbero dovuto assistervi e sopravvivere. Tutti sentirono questo: nessuno dei guardiani, né italiani né tedeschi, ebbe animo di venire a vedere che cosa fanno gli uomini quando sanno di dover morire.

L’autore non si limita a riferire fatti realmente accaduti ma ci parla del mondo interiore sia delle vittime che dei carnefici, e ci rende partecipi, senza inutili patetismi, coinvolge il lettore in questa sua comunicazione che non è monodirezionale ma è un dialogo vero e proprio con chi legge. Si fanno domande, si interroga il lettore che diventa da passivo, completamente attivo, lo si invita a pensare in modo semplice e chiaro, senza fronzoli. Non si tratta dunque di un racconto asettico, di una cronaca trasferita sulla carta, ma di un’elaborazione creativa vera e propria che scava in profondità nella sofferenza anche attraverso la percezione di piccoli gesti quotidiani:

Le madri vegliarono a preparare con dolce cura il cibo per il viaggio, e lavarono i bambini, e fecero i bagagli, e all’alba i fili spinati erano pieni di biancheria infantile stesa al vento ad asciugare: e non dimenticarono le fasce, i giocattoli e i cuscini e le cento piccole cose che esse ben sanno e di cui i bambini hanno in ogni caso bisogno. Non fareste anche voi altrettanto? Se dovessero uccidervi domani col vostro bambino, voi non gli dareste oggi da mangiare? … L’alba ci colse come un tradimento, come se il nuovo sole si associasse agli uomini nella deliberazione di distruggerci…

Quindi non mi trovo d’accordo con Pierfranco Bruni, forse troppo condizionato da scelte politiche, quando consiglia addirittura di non leggere Levi perché farebbe solo cronaca e non letteratura:

Cesare Pavese si rifiutò di pubblicare il libro di Primo Levi, “Se questo è un uomo” all’interno della collana di narrativa, poiché lo riteneva un libro di cronaca. Una mera cronaca senza letteratura. Non lo ha mai considerato un romanzo. Soltanto dopo la morte di Pavese venne pubblicato dalla Einaudi. Discutiamo dunque di letteratura del Novecento. Nel segno non solo della rilettura di quella storia che ci è stata imposta dai testi scolastici e universitari. Testi completamente affidati a modelli ideologici. Di discussione nel corso di questi anni ne abbiamo fatte tante, ma ci sono responsabilità sia istituzionali che di metodologia applicata alla pedagogia. La vera storia della letteratura italiana del Novecento non è quella che si fa studiare nei libri di testo – scuola superiore e università. È una letteratura “gestita” politicamente. Più volte siamo entrati nel merito di ciò. Certo. Ma leggete un po’ i contemporanei: da Tondelli a Sanguineti, (per risalire indietro e non ridiscendere) fino all’autore di “Gomorra” (tra l’altro condannato per plagio), a tutta una letteratura in odore di sinistra e di sociologismo. Dico questo perché? Perché si è antologizzati e “modulati” soltanto se si risponde ad un canovaccio che è quello di un determinismo marxista e gramsciano o milaniano o a un canovaccio ormai diffuso, che è quello della letteratura cattolico – comunista. Una non letteratura di partito, frutto del marketing. Sfido a trovare pagine su Giuseppe Berto, su Marcello Gallian, su Francesco Grisi, Diego Fabbri, Antonio Barolini, Ignazio Silone che non sia il “Fontamara”, facendolo poi morire, in alcuni testi scolastici, nel 1977 mentre muore un anno dopo, con un libro qualificante per tutta la sua opera qual è “Severina” edito postumo, sul quale lo scrittore ci ha lavorato sino agli ultimi giorni della sua vita, agosto 1978. Poi, la nota dolente è quella di continuare a considerare “grande” scrittore, Primo Levi. Pagine di testimonianza e nient’altro, anche se sue, non di certo copiate, come si usa adesso. I suoi scritti non superano la testimonianza umana ma la letteratura ha una griglia simbolica e di “pensiero” di altra natura. Già il caso Moravia è ben altra faccenda. Un narratore e non uno scrittore. Molta subordinazione agli schemi calviniani. Un Italo Calvino che diventa scrittore in “Palamar” in “Se un viaggiatore…”. E prima? Ma niente di nuovo dopo Pavese. Pavese è la centralità di un Novecento di mezzo con una straordinaria valenza poetica e letteraria, ma non certamente quel Pavese antologizzato nei testi scolastici. L’antirealista Pavese è soprattutto lo scrittore che non accettò la Resistenza né come modello politico e tanto meno come espressione letteraria. Pavese è il mito e l’alchimia nella storia ma è anche lo scrittore che condanna chiaramente il comunismo e i risvolti di una Resistenza assassina (“Dialoghi con Leucò” e la “Casa in collina” sono il manifesto dell’antiresistenza. Semplice constatare ciò. Basta leggerlo con serenità e non antologizzarlo con giustificazioni banali. Ma se Pavese è lo scrittore di mezzo del Novecento, che sostanzialmente spacca le visioni ideologiche, Corrado Alvaro è lo scrittore delle “memorie sommerse” che fa iniziare il suo percorso letterario, proprio nei primi anni del Novecento, con “L’uomo nel labirinto”. Siamo a livelli alti e non nella mediocre cronaca di un Primo Levi o nella superbia visione stilistica di Italo Calvino, che tutto deve al Pavese della coerenza, dello stile, dell’autenticità. Alvaro e Pavese avevano dietro dimensioni robuste: da una parte una visione musiliana e kafkiana e dall’altra la lezione eliadiana e vichiana ben ancorate alla tradizione letteraria e non ideologica. Bisogna rivendicare la letteratura vera e spogliarla dalla frenesia di un gramscismo che proviene da lezioni sovietiche di un realismo come vera forma di arte. Pavese è distante da ciò, come lo è Alvaro, come lo è Berto, come lo sono i contemporanei alti: Sgorlon e Bevilacqua. Qual può essere il ragionamento applicato nel centralizzare testimoni di scrittura come Primo Levi e non dare la giusta considerazione a veri scrittori come Giuseppe Berto? Mi devono spiegare perché si focalizza l’attenzione, il più delle volte, sulle contraddizioni di Sartre, defilando in un paracadute Camus. Ci vogliono ragionamenti critici e non teatralizzazioni consociative.Ma i cattolici si sono resi conto che la storia della letteratura dimentica Diego Fabbri, Mario Pomilio, Francesco Grisi, Ignazio Silone del “Celestino V”, e più avanti Saviane, Salvalaggio, Battaglia? Si ha il coraggio di leggere e proporre Giuseppe Berto (l’autore de “Il male oscuro” e di “Anonimo veneziano” oltre che della “Gloria”) senza lasciarsi condizionare dal suo libro “Guerra in camicia nera”? Non ci credo. Si ha il coraggio di proporre Pavese come egli stesso ha scritto nella pagina introduttiva a “Dialoghi con Leucò”, ovvero di non essere uno scrittore realista? Si ha il coraggio di penetrare Calvino ponendosi davanti ad una lezione di letteratura marxista anche quando cerca di introdurci nella fiaba o nelle sue interpretazioni “americane”, che non offrono alcuna originalità e innovazione dopo le lezioni critiche debenettiane? Ci vuole coraggio e capacità anche nel tentare di sfidare luoghi conformati e conformistici. Primo Levi. Non mi dice nulla. E consiglio di non leggerlo. Continuo a rileggere Giuseppe Berto. Non consiglio Italo Calvino perché è solo retorica letteraria. Rileggo i maestri come Pavese e Alvaro. Si può andare oltre. Ma prima bisogna lavorare epoche sugli scrittori e sui testi degli scrittori e non su indicazioni di terza mano. Bisogna spenderci una vita per potere essere certi di un pensiero e attraversare generazioni di maestri (pochi) e di mediocri (molti). Io non smetto di tenere tra le mie mani il Camus de “Lo straniero” e di cestinare il Sartre de “La nausea”. Convinto sempre che la confessione può diventare un genere letterario (Maria Zambrano), ma nella confessione ci deve essere il mistero dell’arte. Bisogna ritornare alla letteratura vera, alla letteratura degli scrittori e non dei testimoni o di testi inclassificabili solo perché indicati dal potere culturale di sinistra. Perché tanta enfasi per Primo Levi? Pavese aveva perfettamente ragione.

 

Trattasi di sproloquietto confuso, una sorta di minestrone arbitrario in cui si dà ragione incondizionatamente a Pavese, scrittore tra l’altro illeggibile e si mischia tutto, autori molto diversi, citati senza coerenza alcuna, da Saviano a Calvino, da Silone a Sgorlon, dalla Zambrano a Pomilio, Grisi, etc., giusto per sostenere la tesi insostenibile della presunta “mediocrità” di Levi, di fatto non provata con nessuna analisi del testo ma solo con una mera opinione, la stessa che cestinerebbe Sartre e Calvino, stigmatizzandoli superficialmente come retorica letteraria! La letteratura è politicizzata, d’accordo, ma non si può buttare tutto in uno stesso calderone. E poi che significa letteratura vera in questo contesto? Sono parole vuote, depauperate di senso se non si prova ciò che si afferma con la lettura. Ma nessuno legge più e forse nemmeno Bruni che tiene in mano Sgorlon (di cui francamente si può fare a meno) e cestina Levi.

C’è in “Se questo è un uomo” invece una filosofia profonda sulla vita e sulla morte, al di là del mero fatto cronachistico, del racconto della propria drammatica esperienza che non viene presentata nuda e cruda ma accolta dentro una concezione meditativa che non può e non deve essere bollata come mediocre o non letteraria:

Tutti scoprono più o meno presto nella loro vita, che la felicità perfetta non è realizzabile, ma pochi si soffermano invece sulla considerazione opposta: che tale è anche una infelicità perfetta. I momenti che si oppongono alla realizzazione di entrambi i due stati-limite sono della stessa natura: conseguono dalla nostra condizione umana che è nemica di ogni infinito. Vi si oppone la nostra sempre insufficiente conoscenza del futuro; e questo si chiama, in un caso speranza, nell’altro incertezza del domani. Vi si oppone la sicurezza della morte che impone un limite a ogni gioia, ma anche a ogni dolore. Vi si oppongono le inevitabili cure materiali, che, come inquinano ogni felicità duratura, così distolgono assiduamente la nostra attenzione dalla sventura che ci sovrasta, e ne rendono frammentaria, e perciò sostenibile, la consapevolezza.

Come si fa a dire che questa è cronaca? Qui si va ben oltre. Si tratta di filosofia. E cos’è la letteratura se non una filosofia del senso della vita e della morte? Come si fa dunque a non amare Primo Levi? Io vi consiglio di leggerlo e non solo per non dimenticare, ma per leggere libri degni ancora di questo nome, lasciando perdere il pattume degli scrittori tv che offendono la letteratura, quella “vera” e i pareri di scrittori troppo politicamente agganciati per avere una visione lucida e disinteressata. 

.

Rivista Il Destrutturalismo

Video – The Black Star of Mu

Christ was a female

DESTRUTTURALISMO Punti salienti

Post a comment