Scalfari, ditegli di smettere!

Scalfari, ditegli di smettere!

Scalfari, ditegli di smettere!

Di Lucio Pistis & Sandro Asebès©

Scalfari poeta, ditegli di smettere!

Alla fine dei giochi il re è acefalo, mixed media on canvas by Mary Blindflowers©

 

“La libertà è sempre la libertà di dissentire. Chi non si muove, non può rendersi conto delle proprie catene”. Lo diceva Rosa Luxemburg che come ben sapete, non era una qualsiasi.

Il dissenso però oggi è diventato un termine da aborrire. Se un poeta laureato o uno scrittore affermato o una situazione non ti convincono del tutto, meglio tacere, perché arriverebbero in frotta nugoli di pseudo-intellettualetti a darti la lezione dell’autorevolezza, la lezione delle stelle intoccabili che sarebbero stelle unicamente perché di eccelsa levatura riconosciuta da tutti, ovviamente in questi tutti non si considerano coloro che invece le stelle le butterebbero giù dalla torre, né le poche voci che osano ragionare con la propria testa esercitando quello che la Luxemburg osava definire dissenso. Le menti libere infatti, colpevoli di non adeguamento automatico, vengono sempre bollate come invidiose. Se critichi un autore noto e apprezzato da molti, lo fai perché nutri una profonda e patologica invidia, perché vorresti essere al posto suo, soltanto che siccome non sei abbastanza capace, intelligente e bravo, non ci arrivi e non ci arrivi mica perché l’editoria è corrotta fin nelle sue profonde radici, ma semplicemente perché sei tu che non funzioni, che non hai capacità, sei tu che con la tua inettitudine crei una reazione d’indifferente ostracismo, allora t’incattivisci e sparli dei grandi, ma lo faresti solo per invidia.

Questo ragionamento funzionerebbe, se l’editoria che conta sfornasse soltanto capolavori.

Eccone uno. “L’ora del blu” Einaudi 2019, di Eugenio Scalfari.

Leggiamo una sua poesia:

Ora son vecchio e prima ero bambino

Cosa che cambia e non è mai la stessa

Con il mare che ha il colore dell’oblio

Nell’accecante buio del sole

Pensieri fuggitivi

La dolce amica Saffo

Si lamenta con Eros:

tramontano le Pleiadi

al mezzo della notte

e lei nel suo letto

resta disperata e sola

col tormento dei desideri

che insoddisfatti crescono

lasciandola senza respiro.

Così la nostra vita si dipana.

Crescono sempre e inseguono

Il ricurvo timone dell’Orsa

senza sapere

dove lo condurrà.

Anch’io son preda

Dei miei pensieri fuggitivi.

Dove vanno non so

Ma non li inseguo.

Resto sotto le stelle

Che già son morte

Ma la loro luce

M’illumina il destino

Di quel che ancora resta

Della mia lunga vita.

Si parte con un exordium alla Monsieur Lapalisse nella successione fisiologica cronologica della infanzia che precede la senescenza; Lapalissse non ci pare abbia mai creato effetti di choc in un testo; comunque proseguiamo; il poeta ci comunica che egli si sente un’entità continuamente cangiante: parrebbe anche questa una scoperta scientifica di ragguardevole portata, ed invece è la banalità del vivere animale e vegetale: boh? Andiamo avanti per esplosività originalissime; forse conscio della fiacca contenutistica, l’autore prova a risollevarsi aggrappandosi alla forma e spara un devastante distico ossimorico inerpicato sulle capacità orbanti dell’oscurità dell’astro illuminatore del giorno con una pennellata di vero struggimento sulle capacità annichilenti il ricordo da parte del mare; chiederemo al vate delucidazioni sul perché le distese marine determinino effetti Alzheimer su chi le osserva. Sempre a scopo vitaminico, visto che il lettore finora versa in totale catalisipenia nella lettura, il vate vira sul classico e si inventa una novella dicotomia amebea tra la poetessa di Lesbo e il dio dell’amore; sposa la causa di un impulso eretistico non sfogato da parte della capostipite della poesia d’amore omofilo: che cos’è? una crociata pro amore gay? Non crediamo che gli omosex abbiano bisogno di simili fiacchissimi paladini, ma se il poeta ha quest’anelito, va rispettato. “Così la nostra vita si dipana”: quale sarebbe il primo termine del paragone di uguaglianza? La successione cronologica infanzia-vecchiezza, l’oblio di fronte al mare, il mancato sfogo sessuale di Saffo? Un’oscurità concettuale immanente! Può darsi ci sfugga qualche passaggio, ma noi non riusciamo a capire la sequenza. ”Crescono sempre e inseguono il ricurvo timone dell’Orsa”: chi è il soggetto plurale di questa frase? Chi sono coloro che crescono e che inseguono l’Ursa Major? Aiutateci a capirlo, perché questo plurale sbuca aprosdoketon e non riusciamo a riferirlo ad alcunché di espresso precedentemente! Tanto più che poco dopo la subordinata esclusiva cambia il soggetto e lo singolarizza: “senza sapere dove lo condurrà”, laddove ci saremmo attesi “dove li condurrà”. Scalfari non è lucido; la veneranda età mina la perspicacia dei suoi pensieri a nostro modestissimo parere di lettori. Lo dimostra subito dopo quando asserisce che anch’egli è preda dei propri pensieri fuggitivi: e di chi altri ci ha parlato finora in analogo inseguimento di queste meditazioni evasive? Non si sa. Resti pure sotto gli astri a guardare la notte, ma eviti di generare oscurità in chi lo legge! Abbiamo già dato coi suoi editoriali! Iam satis!

Ci vuole una buona dose di stomaco a definire quest’accozzaglia di versi “poesia”. Ora, noi saremo pure invidiosi, ma proprio non riusciamo a capire come questo nulla contenutistico, questa totale assenza di ritmo musicale, queste parole buttate giù a caso tra il classicheggiante e il vuoto, possano essere definite eccelsa poetica.

Forse noi non capiamo niente né di poesia né di letteratura, e insomma i simpatizzanti del fondatore di Repubblica, potranno esercitare le loro acute penne definendoci dei pessimi recensori carichi di livorosa invidia, ma proprio non ce la facciamo a definire il libro di Scalfari poesia. Ci si torce lo stomaco di fronte a tale definizione e più rileggiamo la sua raccolta, più ci sembra insulsa sia stilisticamente che contenutisticamente, più la rileggiamo, più ci appare incredibile che la grossa editoria pubblichi questi pigolii da senescente in crisi, spacciandoli per liriche dense e piene di significati filosofici.

Da lettori, ci sentiamo letteralmente presi per il naso. E non possiamo rinunciare alla nostra libertà nel dissenso, perché non ci importa nulla degli schiavi del marketing e della politica che non hanno giudizi propri e si conformano al lavaggio del cervello operato dai media, perciò affermiamo con forza che Scalfari sta alla poesia come Lucignolo alla voglia di studiare.

Chiamateci pure invidiosi, a noi non importa un fico secco. Resta il nero sul bianco, la pagina scritta, l’onta di definire arte e poesia il puro e semplice nulla.

Ma concludiamo con i primi versi della pregevole “chicca” che Scalfari ha pubblicato nel suo spazio “Il vetro soffiato” su Repubblica, una perla intitolata “Il futuro del caos”:

Un tempo i maschi andavano a caccia,

d’altre prede e di buon cibo erbose.

Le donne li facevano mangiare

e se loro volevano possederle

diventavano femmine godendo

ma il tempo non passava mai…

Si tratta di una prosa spacciata per poesia, talmente brutta e aritmica, vuota e con accenti misogini, che a commentarla ci sentiamo quasi ridicoli. Una donna diventa femmina godendo in virtù del maschio? Ma si può perdere il proprio tempo dietro una simile corbelleria, espressa poi con uno stile talmente stentato, incerto, e antiestetico che farebbe scansare perfino un alunno di prima elementare?

Poi imperterrito continua:

Il futuro era ignoto

anche Socrate lo rimpiangeva

ma per morire s’era avvelenato

perché la legge lui voleva farla.

Corrono le stelle dell’Universo

e noi giochiamo a tanti giochi…

Si commenta da sola. Qualcuno seriamente dovrebbe dire a questo signore di smettere di scrivere poesie, e di farlo anche in tempi brevi, perché non è mai stato un poeta, e a dispetto del nome che porta, non lo sarà mai in quanto non ha alcun talento, un dono che non si può comprare coi soldi anche se si pubblica con Einaudi e si fonda un giornale.

https://antichecuriosita.co.uk/destrutturalismo-e-contro-comune-buon-senso-psico-pillole/

https://www.youtube.com/watch?v=w854FbDn3Fc

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