La perdita delle domande

La perdita delle domande e il trionfo delle risposte

La perdita delle domande

Di Mary Blindflowers©

La perdita delle domande e il trionfo delle risposte

The art of marketing, credit Mary Blindflowers©

 

La domanda nasce dal dubbio. Nell’età dei perché i bambini tra i due e i tre anni, man mano che procede lo sviluppo del linguaggio, si interrogano sul mondo circostante e torturano gli adulti con una serie di domande snervanti a raffica: perché il cane è nero? Perché il cielo è blu? Perché l’erba è verde e il gatto fa miao? Gli adulti sorridono, un poco scocciati, cercando di non perdere la pazienza e di rispondere alla meno peggio a tutti i quesiti.

Quando è un adulto a farsi domande sul mondo le cose cambiano, soprattutto nel microuniverso di verità preconfezionate che ci vengono servite, inducendoci a fare scelte che non faremmo se non esistessero pubblicità e marketing, due ingredienti fondamentali, che uniti alla politica, costruiscono i personaggi e ci danno tutte le risposte che darebbe un adulto ad un bambino, finché ad un certo punto le domande finiscono e il bambino capisce che è inutile sforzarsi e avere dubbi se tanto c’è qualcuno che ha già ogni risposta in tasca. Come lettori abbiamo perso la genuina curiosità di un bambino. Perché il cane è nero? Nessuno lo sa, è nato così. Perché quel libro sta in tutte le vetrine di tutte le librerie e perfino nei centri commerciali? Nessuno lo sa, è nato in vetrina. Alcuni azzardano a dire che se un titolo sta in tutte le librerie, è soltanto perché l’autore è bravo e merita tanto successo.

Ovviamente non è così che funzionano le cose, ma siccome il lettore medio è rimasto un bambino che ha superato da tempo la fase dei perché, si accontenta di risposte che non presuppongono alcuna domanda. Il lato oscuro della luna lo si lascia agli astronauti, non alle persone comuni. Molti pensano ancora che il meccanismo dell’editoria sia, 1 ho scritto un libro, 2 lo mando a un editore che conta, 3 l’editore mi legge  4 mi pubblicherà se gli piacerà. Purtroppo le cose non sono così semplici e i cestini della mondezza delle case editrici sono pieni di sogni infranti di gente che ha scritto un libro e pensa che il solo fatto di averlo scritto,  possa garantire anche la sola lettura.

Il meccanismo dei libri è uguale a quello della frutta. C’è gente che compra frutta che trova nei supermercati e di cui non conosce né storia, né provenienza, ma la compra perché la vede, bella lucidata, incerata, appetitosa dietro le vetrine. Che poi la frutta sia così lucida perché contiene cere sintetiche, che sia così bella e perfetta perché piena zeppa di pesticidi dannosi per la salute, a molti non importa, o non ci fanno caso, perché hanno smesso di farsi e fare domande e comprano semplicemente quello che vedono, dato che se sta lì non può far male, mica ti avvelenano, quindi tanto vale comprarlo. La coltivazione delle mele con metodo convenzionale, prevede un uso considerevole di pesticidi superiore a 10 chilogrammi di prodotti per ettaro, allo scopo di proteggere i frutti e le piante dai parassiti e dalle malattie. Non si può escludere che questi agrofarmaci non provochino conseguenze sulla salute umana, come non si può escludere che la lettura dei libri che vogliono farci leggere, non provochi conseguenze gravi sulle capacità neuronali e riflessive dell’uomo medio.

In poche parole il libro è diventato una mela piena di agrofarmaci che ci mangiamo contenti di avvelenarci.

Questo accade semplicemente perché abbiamo smesso di fare domande. Non ci chiediamo mai perché quel libro e non un altro sia sovraesposto, pubblicizzato, esaltato come grande novità. Che ci importa dei meccanismi dell’editoria? Mica siamo editori noi, siamo poveri semplici lettori rassegnati a leggere ciò che ci dicono si debba leggere. Le domande diventano superflue, inutili, possono creare disagio, possono indurre qualcuno a dire che se ci interroghiamo e rileviamo aspetti che non quadrano, siamo poveri invidiosi che non guarderanno mai le stelle in viso. Se diciamo che forse quel dato libro esposto in tutte le vetrine, avrebbe meritato di stare nell’ultimo scaffale in ombra della libreria, diventiamo acidi e malevoli. Chiunque si faccia una domanda in più diventa il cattivo della situazione perché una star è una star che fa il doppio brodo saporito coi fiocchi e con l’avvitamento carpiato, non può essere toccata, dato che se sta dove sta, è la stella più brillante del firmamento, la mela più buona, più lucida e invitante.

Quando si aboliscono le domande le risposte prendono il sopravvento. In un mondo in cui nessuno si fa la benché minima domanda, ognuno dà sempre ogni risposta.

Il mondo delle risposte senza domande è come un tunnel senza uscita, il modo più semplice per manipolare le coscienze che, private della filosofia della curiosità e dell’indagine critica, fluttuano nel nulla. La filosofia nasce dal dubbio su tutto ciò che l’uomo ritiene ovvio e scontato. Abbiamo perso lo stupor mundi tipico dell’approccio filosofico per rintanarci nel subnullismo, in quell’atteggiameno di inedia e passività psicologica che dà tutto per scontato, che sa sempre le risposte giuste ma non si pone mai domande. Eppure le domande sono le uniche in grado di negoziare col caos, di capirlo, di approfondirne i termini e le strutture. Le domande sono fondamentali, la loro perdita è un sintomo di vera decadenza a favore di risposte già date da un super ego che ha tutto l’interesse a non farci pensare.

Come diceva Voltaire, “giudicate un uomo più dalle sue domande che dalle sue risposte” perché non c’è niente su cui si possa dire che non sia lecito interrogarsi, o che sia così e basta, sulla base di risposte che non sono nemmeno le nostre.

https://antichecuriosita.co.uk/destrutturalismo-e-contro-comune-buon-senso-psico-pillole/

http://piras-sassari.blogautore.repubblica.it/2019/07/26/destrutturalismo-i-simboli-di-mary-blindflowers/

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