Luciano De Crescenzo, il volgarizzatore

Information manipulation, mixed media on paper by Mary Blindflowers©

Luciano De Crescenzo, il volgarizzatore

Di Lucio Pistis©

Luciano De Crescenzo, il volgarizzatore

Information manipulation, mixed media on paper by Mary Blindflowers©

 

La televisione crea miti, addestra le coscienze a percepirli come tali, e confonde letteratura con divulgazione spiccia, filosofia con volgarizzazione per non-lettori.

Confesso di non essere mai riuscito a finire un libro di Luciano De Crescenzo, dopo venti pagine un senso di inutile banalità mi ha sempre assalito, con la forte sensazione di perdere il mio tempo. Con tutta la simpatia che potevo provare per il personaggio televisivo, le sue grandi capacità comunicative, la sua napoletanità divertente e scanzonata, tuttavia non sono mai riuscito realmente a convincermi che fosse uno scrittore di razza. Lo preferivo come regista, come comunicatore in tv ma non come saggista, perché di fatto non ha mai prodotto saggistica, ma una volgarizzazione ad uso del popolino della filosofia greca e dei poemi omerici. In Ulisse era un fico, pubblicato da Mondadori, chiarisce molto bene i suoi scopi:

“Perché leggere l’Odissea? Potresti chiederti tu, caro Michelangelo, così come potrebbero chiederselo tutti i ragazzi della tua età. Perché perdere tempo con avventure di migliaia di anni fa, quando adesso abbiamo a disposizione i videogiochi, la televisione e i film in tv?”

Già la risposta a questa domanda retorica appare realmente scontata e pure un poco offensiva dell’intelligenza del lettore stesso:

“Perché non esiste al mondo una storia con più colpi di scena. È la capostipite di tutte le telenovelas, la madre di tutti i romanzi d’avventura. Ci sono gli eroi, ci sono gli dei, ci sono i cattivi, ci sono le belle donne, c’è il viaggio, c’è l’aldilà, c’è l’amor sacro di Penelope e l’amor profano di Circe, c’è l’arrivano i nostri e c’è la vendetta finale, come in un qualsiasi film di Rambo che si rispetti”.

D’accordo, risposta ineccepibile a cui l’interlocutore forse può anche arrivare da solo. Ma a chi si rivolge un autore che introduce il suo testo con questi interrogativi banali? Non si sta rivolgendo a un lettore, ma a un fruitore di film di quarta categoria e di telenovelas, a uno spettatore televisivo che guarda appunto la tv e gioca coi videogiochi e non sa neppure cosa sia la mitologia greca e i poemi omerici, se non come sbiadito ricordo di qualche lezione a scuola. Ulisse era un fico, come tutti i saggi volgarizzanti di De Crescenzo, non è un libro per lettori, ma un libro per chi non legge. L’intento lodevole sarebbe quello di spiegare in chiave divertente e scorrevole, i miti greci. Il problema è che il non-lettore che fruisce questo tipo di volgarizzamento, dopo essersi fatto una bella risata, ne sa meno di prima, perché non ha mai visionato i testi originali né probabilmente si scomoderà a farlo.

Di cosa parliamo allora?

Di una cultura filtrata, interpretata, di una divulgazione che spinge il popolo a non leggere se non attraverso filtri, a non ragionare sulla fonte originaria, a non farsi un’opinione propria se non tramite terzi. La stessa operazione che fa dilettantisticamente Piero Angela in campo scientifico. Ma si può parlare di saggistica seria in entrambi i casi? Saggistica pubblicata dalla grande editoria? O non si tratta piuttosto del trasferimento dell’affabulazione e dell’intrattenimento televisivo sulle pagine di un libro non-libro? Non si tratta forse soltanto di un’operazione commerciale, che diffonde una pseudo-cultura spiccia, veloce, in pillole, propinata con la scusa che i non-lettori altrimenti non saprebbero nulla? Ma cosa sanno questi sprovveduti dopo aver letto? Idem, nulla, hanno un’infarinatura preparata da altri, e rimangono incapaci perfino di capire se la panatura del piatto pronto sia buona o cattiva, se sia stata interpretata bene o male, se le cose stiano realmente così, o potrebbero anche essere viste da un altro punto di vista, magari differente. La divulgazione-volgarizzazione dei contenuti, è un piatto da fast-food, che non richiede sforzo alcuno al fruitore, e rafforza l’opinione che sia di gran lunga più divertente mangiare il precotto che mettersi a cucinare con le proprie mani e capire con la propria testa. Così si ipnotizzano le masse, si fa loro capire che non occorre studiare nulla finché ci sono gli intermediari del sapere, finché c’è qualcuno, ben inserito nel sistema, che parla per loro e che pubblica le sue interpretazioni con gli editori a diffusione nazionale che distribuiscono dappertutto con massicce operazioni di marketing.

La volgarizzazione dei contenuti, impoverisce la cultura, semplifica attraverso un filtro, ciò che potrebbe essere già semplice se soltanto la si smettesse di allevare generazioni e generazioni nella convinzione fallace e illusoria che i testi originali siano difficili e per pochi eletti in grado di capire. C’è anche una sorta di snobismo più o meno involontario nella volgarizzazione dei testi classici: io li ho letti, li ho interpretati, tu non sei in grado, perciò leggi la mia volgarizzazione, non hai bisogno di andare a consultare i testi originali, lo faccio io per te, ti dico io cosa significano perché sono io l’intellettuale, il colto, tu sei il popolino, il telespettatore da ammansire.

Se vuoi far mangiare un affamato però non devi dargli un pesce ma una canna da pesca, in modo che possa pescare da sé, altrimenti finito il pesce, starà di nuovo come prima e diventerà dipendente da chi gli avrà dato il pesce, così non penserà mai di provare a pescare da sé, perché tutti gli hanno detto che non è in grado di farlo e se ne convincerà sempre di più. 

https://antichecuriosita.co.uk/destrutturalismo-e-contro-comune-buon-senso-punti-fermi/

https://www.youtube.com/watch?v=ANNONaeoxVM

 

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