La guerra dei bottoni

Luigi Pergaud, La guerra dei bottoni, Formiggini, 1929

La guerra dei bottoni

Di Mary Blindflowers©

Luigi Pergaud, La guerra dei bottoni, Formiggini, 1929

Luigi Pergaud, La guerra dei bottoni, Formiggini, 1929, credit Antiche Curiosità©

 

La guerra dei bottoni dello scrittore e poeta francese Louis Pergaud (Belmont, 22 gennaio 1882 – Marchéville-en-Woëvre, 8 aprile 1915), vide la luce nel 1912. Si tratta di un romanzo parzialmente autobiografico, ambientato in Francia.

L’edizione Formiggini tradotta da Ferrarin coi disegni di Gustavino, data 1929, copertina in pergamenino, si prende la licenza di spostare l’azione del libro in Italia, specificandone i motivi nella prefazione:

“ci siamo, nella traduzione di questo romanzo, permessi delle notevoli libertà formali. L’azione anzitutto è stata portata dalla Franca Contea alla Lombardia e i pastorelli francesi di Pergaud sono diventati dei piccoli lombardi: I nomi di località sono stati travestiti all’italiana e alla lombarda, i pochi accenni a fatti e a cose francesi sostituiti con accenni a cose e a fatti italiani corrispondenti, etc. A parte queste licenze formali, rese necessarie dai motivi che andremo esponendo, la traduzione è fedelissima, dimostreremo anzi che è tanto più fedele appunto a cagione di questa iniziale e apparente infedeltà. Le traduzioni di opere straniere, ricche di modismi regionali, pongono sempre sul tavolo un problema spinosissimo. Si può tagliare il nodo gordiano facendoli scomparire del tutto, ma, specie se la parte che questi modismi occupano nel testo è cospicua, è un notevole tradimento fatto all’autore ed è assolutamente sconsigliabile. Sconsigliabile è anche l’espediente che si usa comunemente, quello cioè di tradurre le parti in questione, in uno qualunque dei nostri dialetti, lasciando inalterati gli altri elementi. Questo ripiego (anche se conta esempi autorevoli) è sconsigliabile, perché smaschera troppo quel tanto di convenzionale che c’è sempre in ogni traduzione…”

Il lettore, dunque, consapevole dell’alterazione dei nomi delle località originaria, trasferita in un contesto italiano, si accinge alla lettura. Al posto di Velrans e Longeverne leggerà Villarossa e Villalunga, per il resto il traduttore promette fedeltà all’originale.

Il punto di vista è quello dei protagonisti che sono dei bambini, dunque il linguaggio è volutamente semplice. Pergaud è conosciuto soprattutto per questa sua Guerra dei bottoni, considerata il suo capolavoro e definita da alcuni un grande romanzo dal tono scanzonato e leggero.

Il libro racconta le dispute tra due bande contrapposte di bambini che si fanno la guerra per un bottino simbolico, formato, come recita il titolo stesso, da bottoni.

Il racconto diventa un’occasione per capire la sostanza dei metodi educativi popolari in uso agli inizi del Novecento, metodi coercitivi, poco inclini al dialogo e alla comprensione.

La semplicità del linguaggio a tratti si traduce in banalità popolare. I personaggi sono piuttosto stereotipati, col capo dei bambini un poco più incisivo e dignitoso e gli altri a seguire, presi da ammirazione per le sue doti di coraggio. La vicenda a dirla tutta è un po’ noiosa. Le descrizioni brevissime non superano un lirismo abbastanza convenzionale, sembrano senza infamia e senza lode, fini a se stesse, che dicono esattamente ciò che dicono, senza sottintendere altro tra le righe:

“Era una bella giornata d’autunno: le nubi basse, che avevano protetto la terra del gelo s’erano dileguate con l’aurora; faceva tiepido, le nebbioline del ruscello del Verzale sembravano dileguare nei primi raggi del sole e dietro alle boschine della Salta, in fondo, al confine nemico, s’alzavano, irti nella luce, i fusti gialli e qua e là già spogli degli alti alberi. Una giornata veramente bella per battersi” (p. 86).

Lo stesso prefattore precisa:

“in questo romanzo ogni preoccupazione stilistica è abbandonata per secondare il piacevole gioco di contrasto tra la lingua e il dialetto, per riprodurre, per fotografare le caratteristiche espressioni dialettali dei suoi eroi” (p. 11).

In effetti lo stile lascia alquanto a desiderare. Perfino l’abbondanza di parolacce rimane alla fine, castissima, non provocando più nel lettore contemporaneo quell’effetto di rottura traumatica e scandalo che sicuramente però veniva avvertito in modo diverso da un lettore degli inizi del Novecento piuttosto che da un contemporaneo assuefatto a tutto.

Sicuramente il messaggio dell’inutilità di una pedagogia repressiva ed animalesca, in prospettiva rousseauniana, stile innocenza originaria, non è difficile da percepire, assieme all’idea del paradiso perduto dell’infanzia, terra di lealtà destinata a svanire con la crescita. Ma è un concetto semplicistico, che tende a dividere il mondo infantile da quello adulto, secondo un schema piuttosto elementare.

Le battaglie a forza di sassate poi, che nella realtà odierna, provocherebbero più di un ricovero immediato al pronto soccorso, diventano nella finzione un po’ ingenua del testo, sinonimo di libertà. Ma è un’illusione. Se Pergaud avesse conosciuto le baby-gang di oggi, probabilmente avrebbe cambiato idea sull’innocenza di un’età non ancora adulta.

La guerra dei bottoni rimane un testo terribilmente ancorato al suo tempo, giusto un momento di riflessione su come eravamo e come siamo cambiati. In questo senso vale la pena di leggerlo, senza aspettarsi quel grande spasso e quella profondità di cui parlano molti recensori.

https://antichecuriosita.co.uk/destrutturalismo-e-contro-comune-buon-senso-punti-fermi/

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