La morte della poesia

La morte della poesia

La morte della poesia

Di Lucio Pistis & Sandro Asebès©

"Non come vita", la morte della poesia

Nell’alto dei cieli, credit Mary Blindflowers©

 

Fiaccati dal caldo, tra un bagno e l’altro di mare in acque cristalline e fredde, ci riposiamo con le nostre rispettive mogli sotto l’ombrellone e vagando in rete coi cellulari in mano, tra uno sbadiglio e l’altro, mentre le nostre donne si crogiolano al sole, leggiamo che Repubblica ha inaugurato da un po’ la sua “Bottega di Poesia”. In pratica i lettori potranno mandare i loro componimenti poetici alle varie redazioni, in vista di un’eventuale pubblicazione nella rubrica stessa. Per esempio per la redazione di Roma chi deve decidere quali poesie pubblicare è una certa Gilda Policastro, definita poetessa, narratrice e critica letteraria. Insegna addirittura poesia. Non sapevamo che la poesia si potesse insegnare, ora lo sappiamo.

Non avendo mai letto questo talento della letteratura e della poesia, ci siamo incuriositi e abbiamo trovato “Non come vita” un libro di poesie pubblicato da Nino Aragno Editore.

Siamo sinceramente rimasti delusi e perplessi. Sarà forse l’età che avanza, ma di quell’accozzaglia confusa di parole che taluni definiscono poesie, non abbiamo compreso molto. Un lavoro frammentario, ostentatamente costruito, che opta per un’artificiosità incomprensibile, per versi che cozzano gli uni contro gli altri come ciarpame affastellato. Il risultato è una brutta poesia, concepita come un elenco pseudo-dotto che di significato ha veramente poco. Inoltre manca del tutto di quella musicalità che ipnotizza e ammalia, optando per un linguaggio rudemente meccanicistico, senza alcun pathos. Bill Viola, per esempio, è una poesia che non ha nemmeno un verso. Si tratta molto semplicemente di un frammentario elenco:

Bill Viola

Avvicinati, più lento

e dimmi cosa vedi La madre, vedo lui,

non vedo nessuno,

l’acqua, il fuoco, vedo chi li riceve

e i morti e i vivi

capovolti

nel riflesso che appare

Andiamo, andiamo piano

passiamo attraverso

e guardiamo com’è

il corpo ch’è mosso,

per finta, a far fine

quando muore,

lo guardano altri

e da lontano tutti

più lenti di così,

molto di meno

ci vanno

accanto,

dondolandosi piano

Prendi quei due, sembrano vivi e sono

nell’acqua ch’è mossa non dai fiati

ma da come li vedi,

piano, andando

altrove

che è fine, e ricomincia, per tutti,

piano

Sullo stesso piano frammentario anche la seguente lirica che definire brutta e aritmica è poco, una prosa spezzata in una congerie senza musica e senza senso:

I cari altri

Gli altri sono:

mangiare il panino a morsi,

gridare al telefono e

sputare

mentre lo fanno

I gesti che non durano,

la bambina dire ciao dalla porta,

e lui che ci hai dormito, una notte,

la mattina non ne sai il nome più

– ma non è come pensi

Gli altri sono:

il ventre che spinge

sotto le calze, e sopra i seni

le mani,

ma pensare che non resiste,

e ochéi, ci sentiamo domani

Un’unica forma, o misura, ha il fare,

il resto è represso

dal vestito di madre,

dal divieto,

e più chiedono, gli altri, più ingombrano,

meno ci stai

con gli altri sono:

i figli, morire, tu-figlia-loro-morti,

e le coperte, e il velo

e i pigiami e le giacche,

gli altri le porteranno, li butteremo,

e quel giorno non verrai

nel sogno a rimproverare

non come vita, ma più di dormire o meno,

adesso non ricordare, non dire il nome, che non sai

degli altri, che a te chiedono, loro,

di non andartene

e che hanno paura,

non vanno a letto, non si sdraiano come d’amore,

eppure non passa, non va-e-non-viene, e sono a metà

Ci domandiamo se sia lecito sincopare e frastagliare la successione logica di una sintassi codificata da secoli nella lingua utilizzata; una lingua che è, sì, dinamica e in divenire, ma che, vivaddio, conserva delle regole e dei codici ineludibili da parte di chi voglia fare soprattutto comunicazione: perché la poesia è essenzialmente saper comunicare in un linguaggio chiaro e scorrevole le emozioni e le meditazioni individuali; e se essa vuol essere ermetica, la cripticità deve pur avere una logica consequenzialità senza che il lettore si domandi centimetro per centimetro delle linee affastellate che cosa voglia esternare lo scrittore! Viene l’emicrania a tentare di leggere la Policastro, un nomen che davvero rischia di divenire omen, poiché rischia davvero di evirare molteplicemente tutti coloro che si azzardino a tentare di copulare le sue linee paranoiche. Questo per ciò che riguarda i disastri eminentemente comunicativi che fanno le sue strutture sintattiche; senza voler scendere nella forma bruta; perché allora dovremmo stare a sottolineare che introdurre una interrogativa indiretta con “cosa” senza farlo precedere da “che” è un gergalismo da evitare; senza andare a dire che la traslitterazione dell’acronimo anglofono OK, dovrebbe essere O KEY e non ochéi, poi l’abbondanza degli anacoluti indicatori di forme bambine e niente affatto mature sintatticamente, le elencazioni prive sovente delle fisiologiche separazioni asindetiche.

Iam satis: il caldo forse ci rende intolleranti, ma temiamo che riprovare a leggere la Policastro in inverno possa generare dentro di noi vecchiacci una galaverna impenetrabile alla comprensione. Si cerchi lettori meno attempati di noi che avranno più energia per sfasciarsi il cranio nel riuscire a capire cosa cavolo stia dicendo.

https://antichecuriosita.co.uk/destrutturalismo-e-contro-comune-buon-senso-punti-fermi/

https://www.youtube.com/watch?v=w854FbDn3Fc

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