La bottega della poesia

La bottega della poesia

La bottega della poesia

Di Mary Blindflowers©

 

La bottega della poesia

Poesia? Drawing on paper by Mary Blindflowers©

 

Stante l’abitudine, oggi diventata una moda, di promuovere derubricate rubriche di poesia su famosi giornali a tiratura italico-nazionale, per saggiare e sondare il livello poetico di tanti aspiranti poeti-scrittori in giro (impuniti e impunibili, decomponibili trasformabili ma mai decimabili) lungo un ormai fuori moda stivaletto con le suole tarlate impossibili da risuolare, si nota il livello medio dei testi pubblicati. Politicamente corretti, accondiscendenti, pateticamente innocui, con moto ascendente verso il tema eterno dell’amore, dell’introspezione fine a se stessa, dei fiorellini di campo. Si tratta di una poesia che non dà scampo per la costruzione di versi prosaici che non contengono versi, spesso nemmeno uno. L’imbarbarimento della cultura prevede e concede spazi all’acqua di rose tinta, i metodi di selezione discutibili, gli esaminatori anche. Se famose collane di poesia di altrettanto celebri editori nostrani chiudono i battenti forse un motivo c’è. I tentativi di salvare la poesia facendo credere ai lettori che tutti possano essere poeti, ottengono più che altro il risultato finale di invitare al dilettantismo, di continuare a pubblicare prosa che finge di sembrare poesia e di comunicare al lettore che il testo possa e debba essere immediatamente capito da tutti, senza alcuno sforzo, perché privo completamente di quella simbolizzazione, di quel significato che non si esaurisce in se stesso. Poesia priva di poesia, svuotata di quell’istinto primordiale che ti fa dire, però poesia! Il termine così abusato, diventa ufficialmente per operazioni di bottega, impossibilità di definizione univoca di cosa poi sia questa maledetta poesia di cui tutti parlano ma nessuno sembra sapere nulla, impossibilità che diventa scusa e appello epidemico per pubblicare qualsiasi cosa provenga dalla bottega degli affiliati del proprio partito, della propria casacca, del proprio gruppo di riferimento. Ogni giornale ha il suo, si sa. Laddove la poesia diventa sempre più un fatto politico, si può e forse anche si deve riflettere su quale strada si stia ufficialmente percorrendo, se sia il caso di percorrerla ancora per secoli, di continuare nella follia del campanile, del gruppo, degli amici, dei simpatizzanti, o se non si debba valutare il testo in se stesso, dimenticando per un attimo sospeso nell’infinito dell’arte vera, chi l’abbia scritto. La valutazione sul testo è pura utopia, parole al vento che le tempeste e le alluvioni dei nostri tempi hanno cancellato da tempo, disperso chissà dove.

La poesia che segue è dispersa prima di nascere perché non entra nelle botteghe della poesia né entrerà mai in quei santuari patinati in cui si dice che si fa arte con la A maiuscola, in quelle rubrichette in cui si dice ai lettori che l’Italia sa scrivere. Mi pregio di non saper scrivere una poesia ma di volerla soltanto vivere così come viene.

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La bottega della poesia

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Strage a corte,

dentro illividite apoteosi d’aorte morte,

amicali stinchi ammorbiditi sotto sali,

macacospirti d’avantieri.

Scrittori come ceri semiseri

ridono in riunioni di democrazia

ma finta,

la giostra malstinta tinta

ha preso spinta in strateghe botteghe di giornali.

Vuoi un dolcetto di morte dipinta, una poesia

propieghe, due raccomandati, ma abituali?

Poi dicono siano solo relazioni accidentali.

 

https://antichecuriosita.co.uk/destrutturalismo-e-contro-comune-buon-senso-punti-fermi/

https://www.youtube.com/watch?v=OM_fMxVGGUc

 

 

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