Adriano Tilgher, Homo faber

Adriano Tilgher, Homo Faber

Adriano Tilgher, Homo faber

Di Mary Blindflowers©

 

Adriano Tilgher, Homo Faber, Roma, 1943

Adriano Tilgher, Homo Faber, Roma, 1943, credit Antiche Curiosità©

 

Tra tutti i lavori giustamente dimenticati spicca un’opera in particolare di Adriano Tilgher, Homo faber, Storia del concetto di lavoro nella civiltà occidentale, analisi filosofica di concetti affini. Ho avuto occasione di leggere la seconda edizione, stampata a Roma dal Dott. G. Bardi Editore, nel 1943. Un libro sostanzialmente inutile che ha deluso completamente le aspettative del titolo. La pretesa analisi filosofica del fenomeno “lavoro”, non è nemmeno un’analisi ma un miscuglio di opinioni e dati non approfonditi saccheggiati non si sa bene dove, dal momento che manca completamente una bibliografia indicante la fonte.

Si parte dal concetto di lavoro presso i popoli antichi per arrivare al Novecento.

La lettura è sicuramente scorrevole ma inefficace dal punto di vista contenutistico. Gli argomenti vengono soltanto abbozzati, gli autori citati disordinatamente, toccata e fuga. Il lettore, scorrendo le pagine, ha come l’impressione di leggere un sussidiario delle elementari che fa il riassunto del riassunto e si lancia in dissertazioni bignamiche anche piuttosto scontate e talvolta ripetitive, suddividendo i capitoli per epoche storiche e note ideologie. Nel capitolo sul lavoro nella concezione di Gesù, non si fanno che riportare stereotipi ben noti:

chi ben guardi, l’atteggiamento di Gesù non si esaurisce tutto in una pura e semplice negazione ascetica del lavoro e della ricchezza come tali. Se la ricchezza è avversata, non è già perché in sé, materialmente considerata, essa sia cattiva, ma solo perché le preoccupazioni che sono inerenti all’acquisto e al possesso di essa inevitabilmente distolgono l’animo dalla sola cosa che veramente importi, Il Regno e il servire a Dio: chi si preoccupa della ricchezza serve a Mammona, e chi serve a Mammona non può, in pari tempo, servire a Dio. Per la stessa ragione, preoccuparsi del vestito e del cibo quotidiano è dannoso perché distoglie da Dio, ed è anche inutile perché non dipende dall’uomo procurarseli, nulla essendovi che non dipenda da Dio. Insomma, a Gesù niente importa fuori della sola cosa che veramente importa, cioè il rapporto tra uomo e Dio, e questo rapporto dev’essere per lui di assoluta fiducia in Dio, di confidente abbandono nelle mani dell Divina Provvidenza per tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno...”

Certo, bastasse la Divina Provvidenza a procurarci i beni materiali, mentre noi meditiamo sulla Creazione, saremmo tutti più felici ma saremmo stati anche più contenti se l’autore fosse andato oltre queste banalità che non hanno apportato nessuna novità alla sua trattazione piatta, stereotipata e superficiale, infarcita di analisi semplicistiche ed elementarmente ingenue.

Non tutti i libri meritano dunque di essere salvati dall’oblio. Eppure Tilgher (Resìna, 8 gennaio 1887 – Roma, 3 novembre 1941), qualche merito ce l’ha. Antifascista, scrisse, per esempio, con note irriverenti, una bella Stroncatura contro l’attualismo di Giovanni Gentile e della propaganda del fascio ne “Lo spaccio del bestione trionfante, stroncatura di Giovanni Gentile, un libro per filosofi e non-filosofi dove mette in guardia il lettore dal fascino perverso dei totalitarismi, parafrasando il titolo di “Spaccio della bestia trionfante”, scritto da Giordano Bruno nel 1584 al quale infatti dedica il suo lavoro nel 324° anno della sua morte.

Lo spaccio del bestione è un testo che vale la pena di leggere, tra l’altro è stato plurimamente ristampato, quindi facilmente reperibile sul mercato. Un libro nato per rompere  le uova nel paniere degli altri:

Non è improbabile che nei manuali di storia della letteratura ad uso delle persone definite colte Benedetto Croce e Giovanni Gentile passino ai posteri come l’Achille e Patroclo, l’Oreste e Pilade, il Damone e Pizia della cultura italiana del primo quarto dell’intelligentissimo secolo XX. Per conto suo Gentile ha già provveduto alla codificazione della leggenda celebrando nella dedica di uno dei suoi libri, la sua amicizia con Croce esempio e monimento delle giovani generazioni. Ma poiché dietro la leggenda c’è sempre una istoria vera che qualche indiscreto si diverte a scoprire, così per questa volta, alle legittime curiosità degli eruditi dell’avvenire voglio provvedere io, nato sì, a portare la croce, ma anche a rompere le uova nel paniere degli altri… In Gentile si sente il professore vissuto nell’ambiente meschino del travet, privo di finezza e di gusto grossolano e cafone, che inferocisce sugli alunni indifesi ma dinanzi al Preside del quale è abituato a venerare la sacra autorità del Superiore Ministero, vive nel perpetuo timore di una solenne ramanzina. Croce non sopporta che lo si contraddica, ma ha in uggia la gente che ripete il suo pensiero. Gentile tutto si bea quando sente le sue parole ripetute in coro dalla pappagalliera nella quale ha trasformato l’infelice scuola italiana e guai a chi sgarra una sillaba…”.

Un ritratto impietoso che a me ha fatto venire in mente un docente di storia moderna, pennellate sempre attuali, purtroppo, in cui non è difficile nemmeno oggi identificare la figura del professore universitario medio, meschino, volgare coi sottoposti e condiscendente coi superiori, sempre politicamente schierato. 

https://antichecuriosita.co.uk/destrutturalismo-e-contro-comune-buon-senso-punti-fermi/

https://inpoesia.me/2011/10/10/canzoni-italiane-sul-lavoro/

 

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