Arte concettuale, è pleonasmo

Arte concettuale, è pleonasmo

Arte concettuale, è pleonasmo

Di Mary Blindflowers©

Arte concettuale, solo pleonasmo

La bufala, credit Mary Blindflowers©

 

Joseph Kosuth usò per primo l’espressione pleonastica di “arte concettuale” a metà degli anni Sessanta. Con l’intento di superare il mero piacere estetico, l’arte si concettualizzerebbe, ossia il suo obiettivo non sarebbe più la bellezza fine a se stessa, ma il pensiero racchiuso nella rappresentazione. Una contraddizione in termini in realtà, perché a ben pensarci l’arte concettuale non esiste come categoria a sé, perché non esiste arte che non sia concettuale, ossia che non esprima un concetto. Tutta l’arte è implicitamente concettuale. Nemmeno le statue greche vive di compostezza formale, erano sola espressione estetica. Dietro ogni forma c’è una storia, un mito, un’elaborazione mentale, un archetipo. Nemmeno i dipinti del Rinascimento possono essere definiti soltanto estetici, altrimenti nessuno si sarebbe soffermato sui significati nascosti dell’arte leonardesca. E che dire poi di un Bosch altamente allegorico il cui scopo non era di certo soltanto la bellezza fine a se stessa. Se un’opera non esprimesse altro che bellezza non sarebbe nemmeno arte. In poche parole l’arte è tutta concettuale perché nasce da un pensiero creativo. Senza creazione non si dà arte. E nonostante si possa riuscire a mettere in scena lo shock e avere successo, oppure la tecnica tradizionale reiterata all’infinito per le masse, e avere successo, l’arte forse sta altrove. Non è precisamente suo il compito di scioccare ma nemmeno quello di annoiare. L’arte non ha compito se non quello della significazione che è implicita nella sua folle natura.

I seguaci dell’arte concettuale scomodano addirittura Hegel: “L’idea è idea in sé, ed è puro pensiero che per attuarsi deve uscire fuori di sé facendosi natura”. Joseph Kosuth affermava che l’arte deve prendere il posto della filosofia, tramite riduzione ed astrazione che taluni rimandano ad Husserl e che ridurrebbero tutto all’essenzialità dell’idea, l’unica cosa che conti.

In teoria tutte queste belle parole sembrerebbero funzionare alla perfezione, è nella pratica che si inceppano, perché tutto con la scusa del concetto diventa arte e chiunque può fare arte perché tutti hanno idee più o meno buone. Anche la creazione che dovrebbe essere base fondamentale per poter gridare all’arte, viene immeschinita dalla rappresentazione di un’idea che spesso non è nemmeno originale ma una replica della replica. Uno dei procedimenti più comuni e banali per gridare al capolavoro concettuale è il posizionamento di un oggetto fuori contesto. Si prende un elemento di uso comune, uno specchio o un wc per esempio o dei panni stesi, dei palloncini e altro e li si colloca dentro uno spazio destinato alle esposizioni d’arte o all’aperto. Si sosterrà così a gran voce che tale decontestualizzazione, siccome esprime un’idea filosofica (che ovviamente non si deve capire), fa diventare quell’oggetto già preesistente e non creato, mistero e arte. Si tratta del ready-made, l’utilizzazione di oggetti fatti in serie che si decide siano arte perché isolati dal loro abituale contesto e ridefiniti secondo discutibili filosofie: si pensi alla latrina capovolta che Duchamp intitolerà “Fontana”. Un altro filone è quello dell’iconoclastia. Si usa come base un dipinto celebre, lo si riproduce e lo si distrugge aggiungendo l’irriverenza di un paio di baffi o di un pizzetto, per esempio. Ma qual è lo scopo? Comunicare messaggi, simboli e rivoluzioni borghesi? No, l’unico scopo è fare soldi.

L’arte, per quanto se ne possa parlare, non si sta sostituendo alla filosofia, ma usa un certo tipo di pseudo-filosofia per coniare parole elogiative sul nulla e decidere arte è, arte non è.

Del resto, come si dice nel Mistero di Bellavista, se un muratore del tremila trovasse un wc decontestualizzato e oggi definito arte da più di un professore e di un critico importante che capisce tutto, come lo definirebbe? Un cesso scassato o arte?

In un gioco di incastri e interessi “arte è arte non è”, perché l’arte è una produzione umana, quindi è sempre l’uomo che decide a suo arbitrio, a seconda di quanto deve e può guadagnare in termini monetari, se un determinato lavoro possa e debba essere definito “arte” oppure un “cesso scassato”. Tra l’introito per una vendita di un’opera e l’esposizione, entra in gioco una dinamica finto-filosofica del posticcio che ci dà ad intendere che chiunque abbia una buona e già ricca posizione sociale e ottimi contatti coi galleristi che contano, possa prendere una sedia, dei panni, degli stracci, delle palline colorate, dei legni inchiodati insieme alla meno peggio, dei tagli su una tela, perfino materiale organico e animali morti, riprodurre dipinti celebri, deturparli e definirli arte. Tanto poi ci saranno buoni filosofi del nulla che strombazzeranno sull’importanza esiziale delle decontestualizzazioni ultra-significanti e della grande importanza che le arti visive, non siano solo impressioni della retina, ma idee che circolano provocando rivoluzionarie estasi.

Una cosa è certa, se siete dei poveracci senza un soldo, prendete un wc e lo mettete su un prato o un orinatorio e lo chiamate fontana o fate dei tagli su una tela e li chiamate concetto spaziale, o degli animali morti e li chiamate opere, oppure prendete la riproduzione della Gioconda e ci disegnate sopra un bel paio di baffetti, è probabile che vi consiglino una cura urgente presso un centro per le patologie mentali; ma se siete già ricchi, potete fare ciò che volete, il vostro wc sull’erba, il vostro orinatorio, i vostri animali putrefatti, la vostra Monna Lisa “stroppiata”, saranno arte. E i filosofi, la critica sulla carta stampata e i galleristi a cui pesano le tasche, grideranno alla grande rivoluzione della vostra meravigliosa arte concettuale perché arte è, arte non è, a seconda di quanto denaro si fa e c’è.

https://antichecuriosita.co.uk/destrutturalismo-e-contro-comune-buon-senso-punti-fermi/

https://www.youtube.com/watch?v=eA-kgNNBy4k

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