Le librerie non esistono

Le librerie non esistono

Le librerie non esistono

Di Mary Blindflowers©

Le librerie non esistono

Frédéric Godefroy, Dictionnaire de l’ancienne langue française, 1881, credit Antiche Curiosità©

 

Scriveva George Orwell in “Letteratura, palestra di libertà”, curiose notazioni sui librai:

Nel periodo in cui lavorai in un negozio di libri usati – un luogo che, finché non ci si lavora, è facile immaginare come una specie di paradiso dove affascinanti gentiluomini d’età scartabellano eternamente tra in-folio rilegati in pelle di vitello – mi colpì soprattutto la rarità delle persone davvero interessate ai libri. La nostra libreria offriva anche volumi eccezionalmente interessanti, ma dubito che uno sui dieci dei nostri clienti fosse in grado di distinguere un buon libro da uno brutto. Gli snob a caccia di prime edizioni erano molto più frequenti degli amanti della letteratura; gli studenti orientali che tiravano sul prezzo dei libri di testo economici erano anche più numerosi; ma i clienti più comuni erano le signore dalle idee confuse che cercavano regali di compleanno per i nipotini. Molti dei nostri acquirenti appartenevano a quella categoria di persone che, pur essendo capaci di rendersi insopportabili ovunque, riescono a farlo particolarmente bene in una libreria… Per esempio, l’adorabile vecchietta che “vuole un libro per un malato” (richiesta frequentissima), o quella che nel 1897 ha letto un libro tanto ma tanto bello e vi chiede se potete procurargliene una copia, peccato che abbia dimenticato sia il titolo sia il nome dell’autore: in cambio, però, si ricorda che aveva la copertina rossa. Oltre a questi, altri due ben noti flagelli imperversano nelle librerie dell’usato. Uno è il tipo del signore decaduto che puzza di croste di pane raffermo e che ogni giorno, spesso anche più volte al giorno, tenta di vendervi dei volumi che non valgono proprio nulla; l’altro è quello che fa grandi ordinazioni di libri senza avere però la minima intenzione di pagarli. Da noi non si faceva credito, però tenevamo da parte i libri, oppure li ordinavamo, se qualcuno ci chiedeva di venire a prenderli in un secondo momento. Non tornava mai neanche la metà di chi aveva fatto le ordinazioni. Nei primi tempi questo mi sconcertava. Cosa spingeva quelle persone a comportarsi così? Entravano, chiedevano qualche libro raro e costoso, si facevano promettere più e più volte che glielo avremmo conservato, dopodiché sparivano per non tornare più. Molti di questi clienti, certo, erano palesemente da ricovero. Parlavano di sé con aria solenne e ci raccontavano le storie più fantasiose (storie a cui, in molti casi, giurerei che erano i primi a credere) per spiegare come mai fossero accidentalmente usciti di casa senza soldi. In una città come Londra ci sono sempre un sacco di pazzi non ufficialmente accertati che vagano per le strade e tendono a gravitare intorno alle librerie, rari posti in cui si può perdere tempo a ciondolare senza spendere un quattrino. Alla fine le persone di quel tipo le riconosci al volo. Nonostante i grandi discorsi, c’è in loro qualcosa di tarlato e inconcludente“.

Orwell descrive la situazione dal punto di vista di un libraio nauseato. Ma se provassimo a descriverla oggi dal punto di vista di un cliente? Cosa verrebbe fuori?

Siamo alle repliche di libri tutti uguali, stessi autori il cui nome viene ripetuto all’infinito in radio, televisione, carta stampata, fino a convincere l’acquirente che esista solo un pugno di pochi scrittori i cui libri sono gli unici degni di invadere impunemente ogni angolo libero di ciascuna libreria che si rispetti, ogni pertugio in cui può dormire la coscienza definita a gran voce “collettiva”. Distese oceaniche di libri impilati, identici l’uno all’altro, nei supermercati accanto a pere e patate, negli autogrill, nelle librerie piccole, medie, enormi, gigantesche con i corridoi cunicolari che attraggono l’attenzione e scrivono la direzione da prendere nel caso ci si perdesse in quell’oceano cartaceo di gocce gemelle.

Il tempio della cultura fa paura, con le sue cattedrali di volumi impilate fino al soffitto che sembrano minacciarti dall’alto e quell’odore di carta fatta in Cina che sa di plastica.

Come orientarsi nel labirinto delle pantagrueliche librerie?

Ma certo, c’è il libraio, il faro nella notte, l’ancora di salvezza, eccolo, piccino dietro il bancone, giovane. I grandi stores assumono gente giovane, così la pagano meno.

Il cliente chiede, fiducioso e sorridente, ben disposto verso la vita e la gente: “Buon pomeriggio, avrei bisogno di un’opera di saggistica specificamente sul chiliasmo, mi può aiutare?”.

Il giovincello guarda a sinistra, spalanca la bocca come se avesse appena visto un venusiano o un malato di mente scappato da una clinica a lunga degenza, si gratta la testa, strabuzza gli occhi, si passa una mano sul mento, tormenta uno dei suoi brufoli e farfuglia qualcosa che somiglia ad un “chili… chilis… non so, abbiamo solo quello che vede”, guarda timido, constata l’effetto delle sue parole sul cliente, deglutisce e osa “provi a cercare tra gli scaffali, magari trova qualcosa. Poi si affretta a concludere la conversazione. “Se le sono stato utile spinga il bottone che vede davanti a sé e mi metta un bel feedback”. Abbozza un sorriso stereotipato solo con la bocca e guarda il cliente successivo. “Avanti un altro”.

La catena di montaggio prosegue il suo corso.

Il cliente se ne va scoraggiato, perché si è accorto che i librai non esistono più e che sarebbe inutile insistere. Del resto come ho sentito dire da un venditore di libri di nota esperienza, quello del libraio, dell’editore e dell’autore non sarebbe mestiere più nobile di altri, ma un lavoro come quello di qualsiasi altro commerciante. Lo scopo sarebbe vendere, non diffondere cultura. 

Personalmente invece mi rifiuto di entrare e comprare in una libreria sia pur piccola che mette in vetrina pile di libri uguali a quelli dei grossi stores. Che senso ha avere una libreria che non propone alternative ma scimmiotta le vetrine del sistema? Nessun senso. A quel punto chi pensa che fare il libraio sia solo vendere libri alla moda, pubblicizzati ovunque, meglio che chiuda. Di repliche delle repliche ce ne sono già abbastanza nel mondo.

https://antichecuriosita.co.uk/destrutturalismo-e-contro-comune-buon-senso-punti-fermi/

https://www.youtube.com/watch?v=G1So2IFpwiY

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